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Umberto Preite Martinez
Cosa si intende per "tattiche di gara" nel ciclismo
20 gen 2019
20 gen 2019
Carlo ci ha chiesto in che senso si parla di strategie collettive nel ciclismo. Risponde Umberto Preite Martinez.
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Umberto Preite Martinez
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Cara redazione,

 

Permesso che di ciclismo ne capisco niente, mi potete spiegare in parole semplici cosa si intende per "tattiche di gara" nel ciclismo? Nella mia ignoranza penso che il tempo al traguardo di un ciclista è indipendente da quello che fanno gli altri concorrenti (al contrario per esempio della Formula Uno, dove dipende da sorpassi e traffico ai box etc). Quindi perché c'è la necessità di organizzare fughe a sorpresa, fare accordi con il gruppo, etc?

 

Ciao,

Carlo


Caro Carlo,

il ciclismo, come ogni sport, è apparentemente molto semplice: si parte tutti insieme e vince il primo che arriva al traguardo. Il problema è che in ogni gara ci sono circa 180-200 atleti che partono contemporaneamente e devono percorrere distanze molto lunghe (un tempo le tappe del Giro d’Italia erano intorno ai 300 chilometri, oggi siamo intorno ai 200 scarsi ma sono comunque un bel po’) in tempi che oscillano fra le 3 e le 6 ore abbondanti di corsa a circa 40 km/h di media. Per darti un’idea: Vincenzo Nibali ha vinto la Milano-Sanremo 2018 dopo una gara di 7 ore e 18 minuti alla media di 40,208 km/h.

 

Questo ci avvicina al motivo per il quale il risultato del singolo è forzatamente condizionato dal comportamento degli altri e, di conseguenza, dalle strategie delle varie squadre visto che non si possono correre 6 ore di gara “a tutta” ma bisogna scegliere con cura il momento giusto per sferrare l’attacco vincente; ma ancora non possiamo essere soddisfatti.

 

Un altro fattore da tenere in considerazione è l’aerodinamica o, per dirla in termini gergali, il prendere il vento in faccia. Come nella Formula Uno, anche nel ciclismo le scie hanno un’importanza fondamentale, soprattutto in quei frangenti di gara in cui le velocità sono molto sostenute. Di solito la prima ora di una corsa va via a una media molto vicina ai 50 km/h, una velocità che fa sì che l’effetto della scia si senta parecchio. Nei tratti in pianura, dove quindi la velocità è costantemente più alta, è importantissimo stare a ruota per risparmiare energie sfruttando il lavoro di altri ciclisti detti “gregari”, ovvero quei ciclisti che non hanno ambizioni di vittoria ma sono lì solamente per aiutare il “capitano” a vincere. E come lo fanno? Lo spingono fino all’arrivo? No, questo non si può fare (è espressamente vietato dal regolamento) ma possono fare altre cose fondamentali: andare all’ammiraglia a prendere acqua o cibo vario per i compagni (in sei ore di corsa bisogna anche alimentarsi bene); “tirare” il gruppo mettendosi in testa a fare l’andatura proteggendo il capitano dal vento; stare sempre vicino al capitano per tenerlo fuori dai guai (che nel gruppo sono tanti e di varia natura: si va dal pericolo del viaggiare in bicicletta in mezzo a un centinaio di altre persone fino ai pericoli dati dalla strada stessa come spartitraffico, marciapiedi, tombini, buche e quant’altro) o per prestargli la ruota in caso di foratura in modo da non farlo attendere a bordo strada fino all’arrivo dell’ammiraglia.

 

Mi rendo conto di non aver ancora spiegato che cos’è l’ammiraglia: molto semplicemente è la macchina della squadra che segue il gruppo con a bordo il direttore sportivo (che è in contatto diretto con i ciclisti in gara tramite le radioline e riveste un ruolo simile a quello del team principal nelle scuderie di Formula Uno) e, soprattutto, un meccanico sempre pronto a intervenire in caso di problemi.
Il problema dell’aerodinamica spiega anche perché le divise dei ciclisti sono così attillate e perché nelle prove a cronometro indossano quei buffi caschi a punta. Secondo gli studi fatti nelle gallerie del vento, il 94% dell’energia spesa da un ciclista lanciato a 50 km/h è utilizzata per vincere la resistenza dell’aria. Questo ci spiega perché per la maggior parte del tempo i ciclisti procedono in gruppo. In una fila di ciclisti, il beneficio del secondo atleta in termini di resistenza aerodinamica è di circa il 45%, valore che aumenta se aumenta il numero di ciclisti in fila.



 

Nell’immagine si vede bene come i primi ciclisti del gruppo subiscano molto di più la resistenza dell’aria rispetto a chi sta nella pancia del gruppo. In una situazione-tipo, le prime posizioni sono occupate quindi dai gregari mentre i capitani rimangono coperti nel gruppo e possono risparmiare energie per il momento clou della gara.

 

A questo punto possiamo parlare delle “tattiche di gara” ma per farlo dobbiamo inquadrare le varie tipologie di corsa. Possiamo innanzitutto individuare due macrocategorie: le corse a tappe e le corse di un giorno. Le prime sono gare che si svolgono su più giorni: le tre corse a tappe più importanti, Giro d’Italia, Tour de France e Vuelta di Spagna, durano 21 giorni (più due o tre giorni di riposo sparsi nel mezzo); poi ci sono le corse a tappe di una settimana, come il Giro di Svizzera, il Criterium del Delfinato, la Tirreno-Adriatico e la Parigi-Nizza, e altre corse più o meno importanti; infine ci sono le brevi corse a tappe di durata minore e, spesso, anche di minore importanza.

 

Le corse di un giorno sono, invece, tutte quelle corse che si compongono di una sola tappa e le più importanti fra queste vengono definite Classiche. Abbiamo già citato la Milano-Sanremo, una delle Classiche più importanti del mondo, ma probabilmente avrai sentito parlare della Liegi-Bastogne-Liegi (resa celebre al di fuori del mondo ciclistico dal noto regista Bruno Liegibastonliegi, autore di capolavori del calibro di “Mobbasta”, “Ahia - Una toccante introspezione sul dolore” e “Momenevado”), del Giro delle Fiandre, della Milano-Torino, del Giro di Lombardia o della Parigi-Roubaix.

 

Nelle corse di un giorno il sistema è molto semplice: si parte tutti insieme e il primo che arriva ha vinto. Non importa il tempo, il distacco o altro, conta solo tagliare il traguardo prima degli altri. Non tutte le Classiche sono uguali, però: ci sono quelle più o meno piatte, dove la strategia migliore è tenere il gruppo compatto con i gregari mentre il velocista della squadra risparmia energie nella pancia del gruppo in vista della volata. Ci sono le Classiche vallonate (chiamate così dalla regione simbolo di questa tipologia di corsa, la Vallonia, in Belgio) caratterizzate da continui saliscendi su brevi ma dure collinette (dette anche “côte” se ci si trova in vallonia, salite che solitamente non superano i due chilometri di lunghezza). Questo tipo di gara presenta un andamento molto più nervoso ed è più difficile per il gruppo tenere la corsa chiusa, ovvero far sì che nessuno vada in fuga anticipando la volata di gruppo. Un po’ perché è più difficile per i velocisti tenere il passo su queste brevi salite, visto che sono specializzati nella potenza e nell’esplosività, non nella resistenza in salita; un po’ perché essendoci pochi tratti in pianura è meno importante, soprattutto negli ultimi 20-30 km di gara, stare a ruota ed è anche più complicato organizzare un trenino di squadra per guidare il gruppo. La Liegi-Bastogne-Liegi, ad esempio, è una Classica vallonata che si svolge ogni anno nella quarta domenica di Aprile su un percorso di circa 250 chilometri (che Bob Jungels, vincitore dell’ultima edizione, ha percorso in 6 ore e 24 minuti). Il profilo altimetrico della Liegi è un continuo su e giù per le colline della Vallonia dove però le salite più dure sono concentrate negli ultimi 30 chilometri e sono la Redoute (2 km, 8.9% di pendenza media), la Roche-aux-Faucons (1.3 km, 11.0% di pendenza media) e la Côte de Saint-Nicholas (1.2 km, 8.6% di pendenza media). Bob Jungels ha vinto la Liegi 2018 scattando nel tratto in falsopiano subito dopo la Roche-aux-Faucons mentre gli altri stavano tirando il fiato dopo lo sforzo molto intenso. Da dietro, le squadre avversarie ci hanno messo un po’ a organizzare un inseguimento, anche a causa della tortuosità della strada. E quando finalmente sono riusciti a organizzarsi, Bob Jungels era già lontano e i suoi compagni di squadra si sono impegnati a “rompere i cambi” dietro. Rompere i cambi significa inserirsi nelle rotazioni delle squadre avversarie e rallentare il ritmo del gruppo. È una strategia lecita e molto produttiva se fatta bene, ma che, ovviamente, provoca l’ira di tutti gli avversari che si sentono sabotati nel loro inseguimento.

 

Cosa succede però nei primi 220 chilometri? Semplicemente i capitani rimangono il più possibile a ruota mentre i gregari tengono a portata di mano la fuga del mattino (c’è sempre una fuga del mattino, composta da ciclisti che di vincere proprio neanche gli passa per la testa e vanno avanti all’inizio della gara solo per farsi vedere e per far contenti gli sponsor che così vengono inquadrati dalle telecamere. Il resto del gruppo li lascia fare per un centinaio di chilometri e poi li va a riprendere, spesso senza troppi patemi). Poi, sulla Redoute, le squadre dei favoriti iniziano ad aumentare bruscamente il ritmo creando la cosiddetta selezione da dietro, che è quando i ciclisti più deboli non riescono a seguire il ritmo e si staccano. Davanti quindi rimangono solo quelli che riescono a tenere il passo. Sulla Roche-aux-Faucons, poi, si continua col forcing per allungare il gruppo e far fuori qualche altro elemento prima di provare l’attacco col capitano. Nel caso della Quick-Step, la squadra di Jungels, il capitano era il belga Philippe Gilbert che ha provato l’attacco sulla Roche-aux-Faucons senza però riuscire a fare il vuoto. In cima si sono ritrovati una ventina di corridori e mentre tutti si guardavano per “fare la conta” e capire quanti dei grandi nomi erano rimasti in testa, Jungels è partito in contropiede e li ha lasciati tutti lì. A quel punto i capitani delle altre squadre si sono guardati per capire come muoversi: continuare a marcare Gilbert, il capitano designato della Quick-Step, o lanciarsi subito all’inseguimento di Jungels? Il più esperto del gruppo, Alejandro Valverde, ha capito la strategia della Quick-Step e ha provato a riacciuffare subito Jungels ma a quel punto Gilbert gli si è piazzato a ruota facendo da stopper. Il ruolo dello stopper, in questi casi, è quello di seguire l’attacco di chiunque provi ad andare a riprendere il compagno in fuga cercando di farlo desistere. E perché dovrebbe desistere? Banalmente, perché se tutto dovesse andar bene e l’inseguitore riuscisse a riprendere il fuggitivo, si ritroverebbe da solo contro due compagni di squadra e in quel caso, a meno che non stia correndo contro la nazionale spagnola (vedi il Mondiale di Rui Costa nel 2013), è destinato alla sconfitta. Nel 2vs1 solitamente i due compagni di squadra scattano a turno a ripetizione fiaccando la resistenza dello sventurato solitario che a un certo punto è destinato a cedere lasciandone andare uno da solo verso la vittoria.

 

Poi ci sarebbero le classiche del pavé ma quelle seguono logiche troppo complicate e troppo particolari per spiegarle ora, quindi possiamo passare direttamente alle corse a tappe. In questo particolare tipo di corsa non importa arrivare per primi al traguardo perché non vengono presi in considerazione i piazzamenti ma soltanto il tempo totale. Può succedere, cioè, che il vincitore di una corsa a tappe non vinca neanche una tappa (come è successo ad Alberto Contador al Giro d’Italia del 2008). È chiaro però che se un ciclista dovesse vincere tutte le tappe, allora matematicamente vincerebbe anche la corsa, ma è un caso limite che come tale non ci interessa perché la varietà della tipologia delle tappe di un grande giro è tale da rendere impossibile a un solo ciclista di vincerle tutte.

 

In una grande corsa a tappe (ma anche nelle corse a tappe di una settimana) ci sono tappe piatte per i velocisti (che puntano alla classifica a punti), tappe vallonate, tappe di montagna e tappe a cronometro. Delle tappe per velocisti

, le tappe vallonate seguono un andamento simile alle classiche anche se si inserisce prepotentemente il fattore degli uomini di classifica che devono evitare di rimanere imbottigliati nel traffico e di perdere tempo prezioso per la classifica generale. I grandi distacchi nella classifica generale si fanno nelle tappe di montagna e nelle prove a cronometro, ed è qui che i capitani si mettono finalmente in mostra dopo essersi nascosti e aver risparmiato preziose energie negli altri giorni.

 

Le prove a cronometro sono semplici: si parte uno alla volta, a distanza di qualche minuto, e si valutano i tempi di percorrenza totali. In queste prove, solitamente su percorsi pianeggianti di 30-40 chilometri, è favorito chi riesce a sprigionare una grande potenza sui pedali. Quindi i grandi passisti, come Fabian Cancellara, o i cosiddetti passisti-scalatori; sarebbe a dire quegli uomini di classifica che vanno forte in salita ma riescono a difendersi molto bene a cronometro. Chris Froome è l’esempio più calzante di questa tipologia di corridore, ma anche Vincenzo Nibali o, più recentemente e seguendo il percorso inverso (ovvero da cronoman puro a uomo da corse a tappe), Tom Dumoulin. I più sfavoriti nelle cronometro sono proprio gli scalatori puri, quei piccoli ed esili ciclisti che riescono a mangiarsi le salite andando su con agilità ma che perdono nettamente il confronto quando si tratta di sprigionare pura potenza in pianura. Nairo Quintana, Domenico Pozzovivo, Romain Bardet, sono solo i primi tre esempi che mi vengono in mente quando si parla di scalatori puri. Andando nel passato e facendo un nome che tutti conoscono, Marco Pantani era uno scalatore puro, e infatti per vincere il Tour de France del 1998 contro Jan Ullrich (tipico passista-scalatore fortissimo a cronometro) si è dovuto inventare un numero pazzesco in una tappa di montagna passata alla storia.

 

In ogni caso, gli uomini di classifica, siano essi scalatori puri o passisti-scalatori, hanno bisogno di compagni di squadra che li aiutino a risparmiare energie nelle fasi pianeggianti della corsa, che tengano il gruppo sotto controllo e che facciano il forcing in salita per sfiancare gli avversari. Il Team Sky di Chris Froome è una macchina studiata perfettamente per questo. Al Tour 2017, l’ultimo vinto dal ciclista britannico, la squadra era composta da nove corridori perfettamente assortiti: Rowe e Knees erano i due passistoni che tiravano il gruppo in pianura, insieme a Vasil Kiryenka (campione del mondo a cronometro nel 2015), Henao e Nieve subentravano nelle tappe più mosse dove i passisti faticano troppo per poter fare l’andatura in testa; per le montagne, invece, Kwiatkowski, Landa e Thomas erano gli uomini destinati ad aumentare l’andatura per scremare il gruppo prima dell’attacco decisivo del capitano unico, Chris Froome. Lo schema poteva variare a seconda dello stato di forma dei vari gregari (alla fine Henao si rivelò pressoché inutile e Thomas fu costretto al ritiro alla 9ª tappa) ma quel che è importante è notare come ogni singolo aspetto della corsa fosse studiato e controllato grazie al fondamentale lavoro di squadra.

 

Poi, certo, per fare imprese come quella di Chris Froome al Giro 2018 serve la classe sopraffina del campione, ma anche in quell’occasione niente è stato lasciato al caso. La Sky ha tirato fortissimo fin da subito, ha sgretolato il gruppo all’inizio del Colle delle Finestre e quando nel gruppo di testa sono rimasti solo i capitani delle varie squadre, Froome ha piazzato l’attacco decisivo. A quel punto, il peso dell’inseguimento era tutto sulle spalle dei suoi avversari, lasciati da soli senza compagni di squadra, in un lunghissimo tutti contro tutti dove la superiorità di Froome ha avuto la meglio.

 

Insomma, se il ciclismo è uno sport tendenzialmente molto semplice, in realtà nasconde dei meccanismi molto complessi che sono difficili da spiegare in poche righe. Il consiglio che do sempre è quello di iniziare guardando qualche classica del nord o qualche tappa di montagna del Giro d’Italia insieme a un amico che ne capisce e che possa chiarire qualsiasi dubbio. Poi, da lì, si può pensare di cominciare con le altre classiche e gradualmente inserire anche le volate dei grandi giri e il Tour de France. Una volta superato anche questo scalino ci si può finalmente cimentare con le cronometro, ma è un passo molto importante, da compiere con le giuste precauzioni e solo dopo aver consultato uno specialista. Effetti collaterali: può provocare sonnolenza, formicolio agli arti inferiori, aumento dell’appetito, dipendenza cronica.

 

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