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Tale padre tale figlio
19 mar 2016
La festa del papà.
(articolo)
10 min
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Il giorno in cui mia figlia è diventata grande abbastanza da camminare speditamente sulle proprie gambe, avvicinarsi a un pallone e dargli un calcetto non ho provato l’entusiasmo che ho sempre immaginato mi avrebbe pervaso: mi è sembrato che non ci fosse nulla di più buffo e nonsense di un pezzetto di carne caracollante che allunga una gamba per simulare un movimento che ha visto fare al suo papà, a qualcuno in televisione, agli altri ragazzini mentre scivola sulla giostra del parco giochi. Mi sono chiesto se anche i calciatori provano la stessa delusione, e mi sono dato la risposta che probabilmente no.

Quanto c’è, di innato, di istintivo, nel calciare una sfera? A quale punto del processo di crescita si trasmette la naturalezza del gesto? Per i figli dei calciatori, quel momento arriva prima?

Con Livia deve per forza esserci stato un istante in cui, inconsciamente, le ho passato il codice, però non me lo ricordo. Ed è sicuramente stato un istante meno reiterato rispetto alla presenza quotidiana che un oggetto come il pallone può ricoprire nella vita del figlio di un giocatore.

Mi sono emozionato di più quando l’ho vista per la prima volta aiutare in cucina: i suoi movimenti erano la copia perfetta di quelli di sua madre, che cucina ogni giorno per mestiere. Credo che quella scintilla emotiva sia la stessa che scocca nei cuori dei calciatori.

Ho selezionato una dozzina di video di padri calciatori che giocano con i loro figli, classificandoli per livello di tenerezza, cercandoci all’interno un qualche insegnamento pedagogico, o differenze nell’approccio. Uno che per mestiere gioca, quando gioca fuori dal gioco, sembra sempre che non stia soltanto giocando. Anche se pare solo un bisticcio verbale.

Robinho insegna a suo figlio la bicicleta

Livello di puccyness: ❤️❤️ (più un cuore bonus al momento del bacino finale)

Sooo cute

All’epoca di questo video Robson Jr ha quattro anni, e cammina sul campo con lo swag naturale di tutti i ragazzini di quattro anni pieni di sé, perché mi viene da immaginare che Robson Sr., alla prima diretta emanazione di sé, abbia voluto insegnare che l’attitude è tutto (insegnamento peraltro ampiamente assorbito). Il video è la perfetta rappresentazione di quel principio pedagogico codificato da Piaget noto con il nome di egocentrismo intellettuale: il bambino è convinto che il proprio punto di vista, il proprio modo di fare, sia l’unico possibile e valido e accettabile.

Non sono troppo convinto su chi sia il bambino, qua, tra il padre e il figlio.

Una menzione d’onore, per la coerenza, alla soundtrack, che è una canzone di Will Smith, Just the two of us, che parla del rapporto padre-figlio: come scriveva Jean d’Ormesson a Frank Bernard, «ogni cosa che succede nel mondo sembra un pretesto per portare avanti il nostro lungo discorso».

Neymar e David Lucca se la ridono molto

Livello di puccyness: ❤❤❤(più un cuore bonus nel momento in cui il piccoletto esulta mettendo le mani a forma di cuore)

Quanto è psichedelico il salotto di O’Ney?

David Lucca sembra più il figlio di Rakitic che di Neymar: tra le tante fortune che praticamente ogni bambino del mondo potrebbe invidiargli c’è il fatto che possieda un pallone della Champions League di gommapiuma grande il doppio di un pallone normale, un oggetto per il quale forse Livia baratterebbe lo stetoscopio della Dottoressa Dotty. Nel video non c’è la seriosità di Robinho Jr che porta il broncio mentre inscena una pisadita acerba, David Lucca è più spensierato, la gigantografia lisergica che troneggia sulla parete grande del salotto non lo intimorisce, non avverte l’esigenza di diventare come il padre. Infatti probabilmente non lo diventerà, nel senso che se l’istinto paterno che ho sviluppato in questi ultimi due anni non mi tradisce non lo vedremo mai in campo, così come neppure il figlio di Messi. Anche se sta già imparando a gestire la sua vis mediatica, con ottimi risultati drammatici.

RVP, fattela una risata ogni tanto

Livello di puccyness: ❤

Robin Van Persie ha avuto un figlio a 24 anni e gli ha messo nome Shaqueel, una variante (storpiatura?) di Shaquille che è poi l’anglicizzazione di Shakil, che in arabo significa bello. Mettere nome bello a un figlio non è che sia poi così originale, non è vero? Esisterà una versione olandese di Ogni scarrafone eccetera? Può darsi che c’entri la parola Shaqueel. Forse nella versione araba, a pensarci bene.

RVP secondo me è un padre severo, che non ti dà mai soddisfazione, e anche distratto, focalizzato altrove, tipo che quando Shaqueel gli racconta cosa ha fatto a scuola fa finta di ascoltarlo ma con la mente è al prossimo gol che segnerà con il Fenerbahce. Mi sono fatto quest’idea quando li ho visti entrambi nel video qua sotto, un video in cui non c’è amore:

Il frame al minuto 0.30 è una specie di riassunto in gif del motteggiare latino talis pater talis filius: dove l'avete già visto quello scrollare d’anca? Ah, ma nel video del giardino di casa!

RVP cerca di insegnare a suo figlio qualche trick, più con la voglia di sciorinare le sue skills che con l’afflato didattico. Shaqueel mette il broncetto, e la tenerezza che proviamo diventa presto angoscia quando intorno al quindicesimo secondo il papà lo mette alla prova: ora tocca a te, sembra dirgli. Con le mani tiene il ritmo della giocata, Shaq sbaglia lo stop e RVP si stringe in una smorfia di disappunto. Ma quanto è difficile essere il figlio di un top-player? E il padre di una potenziale pippa?

Fortuna che lo sceneggiatore di questo cortometraggio deve essere uno con la penna imbevuta di retorica: l’esibizione di freestyle diventa una partitella, in cui Shaq dà il calcio d’inizio e chiude con un tiro al volo su assist flamboyante del padre. Provate però, per avere la misura di quanto affetto paternale scorra tra i pixel di questi video, a contare quante volte Shaq sorride.

CR7 ± CR Jr

Livello di puccyness: tra lo 0 e ❤️❤️❤️❤️❤️

Se non avete ancora visto Ronaldo, il docufilm sulla vita assurda di CR7, dovreste farlo subito non solo perché c’è talmente tanto materiale da mandare in pappa il cervello di Adinolfi e con lui di tutti i sostenitori della famiglia tradizionale, ma soprattutto perché non mi stupirei se tra qualche anno finisse in bibliografia per un corso monografico da 4CFU in Pedagogia dell’Infanzia. Il rapporto di CR7 con il figlio è il vero protagonista del lungometraggio, e alla fine della fiera finisce per descrivere chi sia CR7 con molta più eloquenza di un mix di giocate o dichiarazioni o profili che affondano nel retroterra familiare del calciatore portoghese.

C'è un video in giro in cui papà e figlio si sfidano a calci di punizione: l’obiettivo è centrare una porta giocattolo, piccolissima, protetta da una barriera di tutto rispetto composta dall’Incredibile Hulk, un pinguino e un pupazzo rosso. Cristiano mette subito in chiaro che non si tratta solo di un gioco: «Il primo che segna vince». Il gioco, si sa, perde molto del suo interesse se non c’è una posta in palio. Per CR7 una posta c’è sempre. E l’avversario va non solo sconfitto, ma umiliato: c’è un bias quasi à la Achille, innato in lui. Anche se di fronte c’è quello scricciolo di suo figlio. L’urlo finale è francamente eccessivo.

Cristiano, a un certo punto del documentario, spiega che il suo più grande desiderio era quello di diventare padre prima dei venticinque anni: dato che CR7 è uno delle quindici-venti persone al mondo alle quali è permesso realizzare ogni desiderio, CR jr si è materializzato alla stessa maniera di come si materializzano le volontà che seguono lo sfregamento della Lampada magica di Aladino.

Ricapitolando: la signora a destra è la madre (senza padre) del signore a sinistra che è il padre (senza madre) del ragazzino in basso. Tutto chiaro? Qualcuno porti i sali minerali a Maroni.

CR7 è riuscito a concentrare nella sua figura quella del padre e quella della madre: il risultato è stato la trasformazione in un ibrido tra Elettra ed Edipo che ha mandato in tilt lo sviluppo cognitivo di questo ragazzino, sospeso a metà tra l’emulazione (istintiva o indotta) e la più cocente indifferenza (qua suo padre aveva appena segnato un poker).

In un'altra sfida girata su YouTube l'obiettivo è far cadere un dinosauro in equilibrio su un maiale giocattolo, una bambola e una pila di pentole. CR7 infila i primi due, poi ha come un moto di misericordia, di comprensione nei confronti del figlio; lo lascia vincere, e quando le pentole vanno giù lo celebra regalandogli un grande insegnamento: guarda sempre in camera, e rivendica il tuo ruolo centrale nella vittoria.

È ovvio che CR7 voglia ridefinire il concetto di tal palo tal astillo (o come sono le fuscelle vengon le ricotte) svuotandolo della componente ineluttabile e riempiendolo di forgiabilità. Michelangelo diceva che non c’è concetto che il marmo solo in sé non circumscriva: Cristiano vuole che suo figlio sia la sua copia esatta, ed è per questo che lo sta smussando a sua immagine e somiglianza. Dopotutto facciamo tutti dei figli per cercare di procrastinare la nostra caducità, e perpetuare la nostra presenza al mondo.

Il mio modello di paternità, cioè Zizou

Livello di puccyness: ❤ ❤ ❤ ❤ ❤

Nel giardino di casa sua ZZ ha un campetto che sembra la Gabbia della Nike degli anni ’90.

Mi piace pensare che il segreto di come Zizou sia riuscito a crescere tre figli calciatori sulla buona strada per diventare professionisti sia racchiuso in questa piccola scena di vita familiare, in questo spaccato di quotidianità rilassata. Théo, Lucas (già con i guanti da portiere) e Enzo non vogliono soltanto giocare con il loro papà, c’è qualcosa in più - soprattutto nell’atteggiamento del più grande, che porta il nome di Francescoli: ne vogliono mettere in discussione l’autorità costituita.

La maniera in cui Zizou schiva i tentativi di parricidio, si schermisce («sono stanco, ho giocato una partita importante ieri», dice all’inizio: ma poi gioca, come ognuno di noi, quando torna distrutto dall’ufficio, si mette a giocare coi propri piccoli anche se sta per crollare), e poi distribuisce in egual misura soddisfazioni («Oh mio Dio» sulla veronica di Enzo, oppure l’high-five a Lucas) e premure (le coccole a Théo infortunato) fanno del francese, definitivamente, un modello cui ispirarsi.

Zinedine fa con i suoi ciò che ogni figlio dovrebbe lecitamente aspettarsi da un padre: che le sue ambizioni, e desideri, ma anche bisogno di affetto, vengano assecondati, assolti.

Qualche tempo fa, mentre intervistavo Higuaín, mi sono trovato a chiedergli se gli dispiacerebbe che suo figlio diventasse calciatore. Mi ha dato una risposta gonfia di retorica, nella quale in buona sostanza diceva che non importava davvero la professione che avesse scelto, l’importante è solo che fosse stato felice.

Io credo che ogni calciatore, in cuor suo, veda inscritto nel futuro dei propri figli una sfera di cuoio.

Solo chi ha un lavoro frustrante, o umile, spera che suo figlio non affondi i piedi nelle proprie orme.

Qualche bonus track

Ciao, sono Benjamin Agüero e salto in dribbling mio nonno Diego Armando, che mi fa pure fallo.

Ah, nostalgia canaglia: Gica e Ianis Hagi quando lo Steaua si chiamava ancora così, e Ianis era un ragazzino che si divertiva a fare le sforbiciate con la magliettina rossoblu, non uno dei migliori prospetti rumeni sul quale tutti ripongono un sacco di aspettative.

Uno dei primi insegnamenti da fare a tuo figlio deve per forza avere a che vedere con l’attaccamento alla maglia.

Training day with my son ⚽️

Un video pubblicato da Miralem Pjanić (@miralem_8) in data: 3 Nov 2015 alle ore 07:29 PST

Non sembra anche a voi che il figlio di Miralem dica «eeeeeh, Dzeko!»?

Ok, in una Scala Richter della puccyness questo video raggiunge la magnitudo 8.5: Vadim Evseev gioca la sua ultima partita con il Saturn Ramenskoye e si fa sostituire dal figlio di cinque anni. Che segna pure.

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