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Michele Pelacci
Tadej Pogacar, l'irripetibile
04 mar 2024
04 mar 2024
Lo sloveno ha vinto la sua seconda Strade Bianche attaccando a 81 chilometri dall’arrivo.
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Michele Pelacci
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IMAGO / Belga
(foto) IMAGO / Belga
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Come accade in gran parte delle corse di ciclismo, le prime immagini di gara non sono in diretta. Agli spettatori in fremente attesa viene sempre fornito un riassunto di ciò che è successo prima, nei cento e passa chilometri in cui l’intreccio inizia a complicarsi. Fin dalle primissime battute, però, già si distingue il volto smagliante di Tadej Pogacar, lo stesso che rivedremo molti chilometri più tardi. In telecronaca Pancani e Petacchi parlano del «grandissimo punto interrogativo» sulle reali possibilità dello sloveno: è al debutto stagionale, mentre il suo grande rivale di questi anni, Jonas Vingegaard, ha già vinto tappe e classifica generale di una corsa in Spagna.L’unico dei 175 in gara a non aver ancora corso quest’anno, effettivamente, è proprio Pogacar. È il grande tema della vigilia: come sta? Ci ha abituato a vincere al primo clac degli scarpini sui pedali (l’ultima corsa d’esordio che non vince è il Tour Down Under 2019), ma stavolta il livello è davvero alto e la corsa piena d’incognite. Per la prima volta, infatti, la Strade Bianche ha un chilometraggio superiore ai 200 chilometri, sono 15 i settori di sterrato e circa 3.600 i metri di dislivello. E potrebbe piovere: da giorni a Siena non fa bel tempo e, nonostante la corsa femminile sia stata quasi asciutta, certi nuvoloni neri affacciati sulle crete senesi non promettono bene.A proposito, la corsa femminile. Terminata quando mancano un centinaio di chilometri agli uomini, ha avuto uno sviluppo lento ma un finale emozionante. Due delle grandi attentatrici al trono SD Worx, Longo Borghini e Niewiadoma, sembravano avere la gamba giusta per mettere in difficoltà Vollering e Kopecky, compagne di squadre nonché le due cicliste più forti del mondo. Abbiamo ancora negli occhi la rasoiata di Kopecky sul punto più ripido di via Santa Caterina, il sorriso d’argento e soddisfatto di Longo Borghini, lo sconforto di Niewiadoma manifestatosi in un pianto a dirotto sul selciato di Piazza del Campo, e forse di emozioni ne avremmo anche vissute a sufficienza per ritenerci soddisfatti come spettatori, quando arrivano le prime immagini in diretta della corsa maschile.Sono riprese dall’alto e la telecamera sull’elicottero è imperlata di pioggia. I ciclisti si vedono come formichine laggiù, sugli ultimi chilometri dello sterrato di San Martino in Grania. La fuga più duratura di giornata (Craddock, Brun, Johannessen, Donovan, Smith) presentava almeno un paio di elementi pericolosi, quindi non è stata lasciata andare e ora non fugge più nessuno. Le sorti di un due volte campione del mondo sono quasi sempre ferro o piuma alla Strade Bianche, nessuna sfumatura: quest’anno ferro, Julian Alaphilippe si è già ritirato. Un giovane contradaiolo dell’Onda pare sia stato l’unico a vedere un attacco di Magnus Cort e Quinn Simmons, durato poco e già rientrato. Chissà se è avvenuto davvero.Le prime riprese della moto di fronte alla corsa mostrano finalmente cosa sta accadendo: Del Toro pedala sul brecciolino a bordo strada intento a sorpassare da destra il suo compagno di squadra Wellens in testa al gruppo. Sono rimasti in pochissimi lì, 30 massimo, e li sta guidando un ragazzo di nome Isaac. Il ventenne messicano s’incarica di fare corsa dura per il suo capitano, Pogacar, ma, appena tornano le ruote sull’asfalto e la strada in discesa, riceve l’ordine di fermarsi. Lo blocca Wellens, dopo aver parlato fitto alla radiolina. Non è ancora il momento.All’improvviso, rallentamento. Matej Mohoric, vecchia volpe, prende subito qualche metro di vantaggio, poi ricorda che mancano ancora 92 chilometri all’arrivo e si ravvede. Quinn Simmons, giovane lince, prende diverse decine di metri e sembra crederci. Ha le maniche blu stellinate di bianco, come vuole la maglia di campione americano, e il suo tentativo è talmente malvisto dagli dei del ciclismo che inizia a piovere tremendamente. I fanali delle motostaffette si riflettono sull’asfalto e in testa al gruppo, che ora sta inseguendo il ciclista di Durango, Colorado, si è portata la Ineos.I grenadieri avrebbero in squadra il campione in carica, Tom Pidcock, ma non appena comincia il settore più impegnativo della corsa, Monte Sante Marie, tornano nella pancia del plotone. Si incarica dell’inseguimento Tim Wellens, che sarebbe Eddy Merckx se la stagione del ciclismo si svolgesse tutta tra febbraio e l’inizio di marzo. Il settore dedicato a Fabian Cancellara è molto bagnato e sulle prime rampe al 18% arrancano Arensman, Higuita, Canal, Peters. Anche Michael Gogl, "cavallo nero" di qualche edizione fa, non se la passa bene nel tremendo kit-jeans della Alpecin. Sta facendo un ritmo senza senso Tim Wellens là davanti, tanto che Quinn Simmons è già stato ripreso. Non starà mica preparando un attacco di quel suo compagno di squadra arrivato alla Strade Bianche coi capelli sbiancati, vero?

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Se gli ultimi paragrafi sono stati una descrizione maniacale di una parte di corsa solitamente riassumibile con uno sbadiglio, è perché l’evento catartico sta per accadere adesso, quando mancano 8.5 chilometri alla fine di Monte Sante Marie, 81 alla fine della corsa. Quando i tifosi sul percorso hanno gli ombrelli aperti e quelli a casa pensavano di potersi godere almeno un pranzo di mezz’ora. Su uno zampellotto fangoso Tadej Pogacar attacca.Fa il vuoto. Pur partendo dalla testa del gruppo nessuno riesce a seguirlo. Sulla sua scia arrancano Neilands, Simmons e Kuss. In un replay si vede che quest’ultimo gli era a ruota nel momento decisivo. Pogacar si guarda indietro una prima volta, passa rapidamente il guanto sugli occhiali a mo’ di tergicristallo e dà una seconda occhiata oltre la sua spalla sinistra. Poi aumenta la frequenza di pedalata, supera Wellens e se ne va. Sepp Kuss, pedina fondamentale nel detronizzare Pogacar dal Tour de France, si accorge subito del pericolo e si alza sui pedali. Scarta Wellens, dà qualche frustata nervosa sui pedali, poi si guarda indietro a sua volta, consapevole che è il solito dubbio ad essergli affiorato in testa: rispetto a quello lì siamo tutti comuni mortali, noi?Forse scioccato dal concepimento e dalla messa in pratica di un attacco così folle, primo testimone dell’impotenza umana laddove accadono prodigi, Sepp Kuss non finirà la corsa.Quanti sono, però, 81 chilometri di attacco solitario? Una marea. Così tanti che non si ricorda, in questo secolo, un’azione a così lunga gittata finita in gloria, oltre al celeberrimo attacco di Chris Froome sul Colle delle Finestre nel 2018. Marc Hirschi nella Pau-Laruns al Tour 2020 se ne andò ai -88, ma poi fece terzo in volata. Philippe Gilbert vinse il Giro delle Fiandre 2017 attaccando da lontanissimo, ma erano “solo” 56 chilometri. Per trovare esempi buoni bisogna abbassare sensibilmente il livello della corsa (Lutsenko alla Coppa Sabatini 2019), ampliare la ricerca (Van Vleuten ai Mondiali di Harrogate) o andare indietrissimo (la Liegi 1980 di Bernard Hinault). Tadej Pogacar stesso, due anni fa, vinse questa medesima corsa attaccando da lontano che più lontano non si poteva: 49.2 chilometri dall’arrivo, sullo stesso Monte Sante Marie.Ma quest’anno il percorso è 30 chilometri più lungo. Non ci sono Van der Poel né Van Aert, è vero, ma il livello è comunque pazzesco ed è la tua prima gara dell’anno Tadej, dove vuoi andare? «Lo rivedono al Giro d’Italia», scherza qualcuno, fantasticando un attacco simile sulla Maddalena o ad Oropa.Quanti sono, dunque, 81 chilometri di attacco solitario? Alla media oraria su cui si corre la Strade Bianche, sono due ore. Per dire quanto tempo è su una bicicletta, una persona mediamente allenata in due ore senza traffico e semafori può arrivare dalla Stazione centrale di Milano al lago di Como, dal Colosseo al porto di Anzio. Per dire quante sono due ore e basta, ci si guarda un film in due ore, una partita di calcio, si possono leggere un paio di longform del New Yorker o un racconto di Allan Poe. Un altro giovane che sta andando forte in questo inizio di stagione si incarica dell’inseguimento. È Maxim Van Gils della Lotto Dstny, il cui gesto di mettersi gli occhiali sul retro del colletto preannuncia lo spuntare del sole. Ma l’assolo di Davide non può nulla contro l’assolo di Golia: il vantaggio di Pogacar cresce sensibilmente e in poco tempo. In tre chilometri ha mezzo minuto, all’uscita delle Sante Marie più di 70 secondi. Dietro mancano coraggio e organizzazione forse, ma soprattutto le gambe. Tanti fattori induriscono ancor di più le fibre muscolari degli inseguitori: Del Toro e Wellens spezzano i cambi in testa al gruppo, pochissime squadre sono rimaste con più di un corridore, soprattutto a una persona viene facile ciò che per gli altri è fantasia. Marco, amico ciclista e insegnante, vede per la prima volta Pogacar pedalare dal vivo su uno dei settori sterrati. Mi scrive come se avesse assistito allo sbarco degli alieni: "Epifania pura: gli altri soffrono, lui si diverte. Ora so come spiegare l’Iliade in prima media".La corsa è già finita, Pogacar ha di nuovo distrutto lo spettacolo, affermano alcuni. È una critica comprensibile seppur vecchia quanto Girardengo, ma perde di vista le tempistiche di fruizione di questo sport. Come spesso ci ha relegato ad un apparentemente infinito tempo della noia, il ciclismo ha tempi del bello, momenti della meraviglia, molto particolari. Si parla della durata stessa di un gesto tecnico, di una giocata si direbbe nel calcio, di ciò che ti fa dire “wow”. Un passaggio visionario di Jokic o una stoppata sovrumana di Wembanyama provocano una folgorazione istantanea, una corsa palla al piede di Bernardo Silva si misura nell’ambito dei secondi, una discesa libera di Goggia a volte supera il minuto, non di più. Nel ciclismo l’estasi può durare anche due ore, quattro minuti e dieci secondi, ovvero la durata precisa dell’attacco di Pogacar. Se il gesto rimane lo stesso (la pedalata di Pogacar è immediatamente riconoscibile quanto un dribbling di Robben), impressionante è la semplicità con cui riesce ad imprimere il suo volere nei modi e nei tempi che preferisce.Raramente si è visto un ciclista così fiducioso in se stesso. Lo si vede pedalare solo, tra le crete senesi, con la maglia sporca di fango, con una camera d’aria di scorta attaccata al sellino di una bicicletta nera sempre più imbrattata, e all’improvviso, nella sua perfezione, il ragazzo buffo e alla mano sembra così distante da noi, così irraggiungibile.Continuano ad accadere cose, certamente. Simmons scivola e trascina con sé nel fango Toms Skujins, che riuscirà a rientrare solo dopo un grande sforzo. Van Gils viene riassorbito dal gruppo inseguitore, in cui si distinguono il volto noto di Formolo e quello inatteso di Busatto. Ma si rimane come bloccati, col pensiero fisso a quello là davanti, il cui vantaggio supera ora i due minuti. Espandendo l’analogia che Curzio Malaparte fece tra una bicicletta e un geroglifico, che cosa significherebbe il profilo di Pogacar che spinge sui pedali tra gli ulivi e i calanchi se fosse scolpito «in un obelisco egizio? Esprimerebbe il movimento o il riposo? Il fuggire del tempo o l’eternità? Non mi stupirei se significasse l’amore».In queste due ore, quindi, abbiamo perso la testa un’altra volta per questo corridore che al contempo apre nuovi orizzonti e scomoda i grandi del passato. E ci siamo innamorati un’altra volta di queste corse sempre simili a loro stesse, che di anno in anno si ripetono nei protagonisti e nelle strade, ma più di ogni altra cosa attendono la venuta messianica del corridore che sappia squarciare le routine di pomeriggi molli. Con la sua azione scriteriata ci ha fatto dimenticare i battibecchi sul percorso allungato, sulla monumento-non-monumento, pure del nostro nome non siamo stati più certi. È stato, insomma, un altro di quei giorni.Altroché 30 chilometri in più, sarebbe dovuta durare all’infinito, questa corsa perfetta. Dopo la pelle d’oca del doppio passaggio sulle Tolfe, dopo il definitivo rassegnarsi degli inseguitori, dopo che Skujins e Van Gils si sono involati a completare il podio, dopo aver dispensato sorrisi e saluti ovunque in giro per Siena, Tadej Pogacar è entrato trionfante in Piazza del Campo. Subito dopo il traguardo, ha festeggiato nel miglior modo possibile: sollevando a due braccia il mezzo che gli ha permesso di compiere l’impresa.L’aveva detto, prima della corsa, che avrebbe attaccato a Monte Sante Marie, ma nessuno lo ha ascoltato. Forse non si è dato retta nemmeno da solo: nel post-gara ha rivelato di non sapere bene neanche lui perché proprio lì. Cita le «poche risorse rimaste» nel gruppo di testa come una causa, ma le migliori parole per descrivere cos’è successo non sono le sue, bensì quelle del campione uscente Tom Pidcock. Quarto a quasi quattro minuti, Pidcock non riesce a spiegarsi la differenza di valori evidenziata dalla corsa: quando è partito Pogacar «ci siamo chiesti: “cosa cavolo è successo?” Sembrava quasi che fossimo il gruppetto di fine corsa. Just dead bodies racing». Solo corpi morti che corrono. Pogacar ha scherzato con lui e con diversi tra i migliori ciclisti al mondo. È esterrefatto anche il giornalista, che non chiede altro a Pidcock se non «incredibile, eh?». Il campione olimpico di mountain bike fa una smorfia ripugnata: «Non so cosa dire, a essere sincero, solo what the fuck». Sembra quasi offeso dal modo in cui è stato battuto.

La più vivida rappresentazione del divario tra Pogacar e gli altri non è nemmeno questa, né un paragone primo-ultimo. Basta una descrizione del secondo classificato, Toms Skujins, nel massimo splendore della carriera. Il lettone della Lidl-Trek è arrivato con un ginocchio sanguinante, la tuta strappata, le scarpe rovinate. Se Pogacar, fresco come una rosa dopo il traguardo, è andato subito a cercare la sua ragazza, Skujins sembra avere bisogno solo di una bottiglietta di Fanta e di un fazzoletto di Piazza del Campo sul quale sdraiarsi.Nel frattempo il ciclismo va avanti. Mentre ancora si attendevano gli ultimissimi su via Santa Caterina, in Belgio Alec Segaert ha vinto la sua prima corsa da professionista anticipando i velocisti: ne risentiremo parlare. È già cominciata la Parigi-Nizza, tra poche ore tocca alla Tirreno-Adriatico. Chissà se dopo tanto stupore riusciremo a guardare anche le corse in cui non prende il via Pogacar, se il ciclismo degli altri sembrerà un po’ più povero. Certo non è il tipo da mancare gli appuntamenti più gustosi: tra una dozzina di giorni sarai ancora una volta tu, Tadej, sulle strade della Milano-Sanremo, a toccare le corde più profonde del nostro cuore nonostante nemmeno una fibra del nostro corpo sia simile alla tua?

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