Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Francesco Andrianopoli
Sull'orlo del baratro
25 mag 2016
25 mag 2016
Come gli Oklahoma City Thunder hanno spinto i Golden State Warriors a un passo dall’eliminazione.
(di)
Francesco Andrianopoli
(foto)
Dark mode
(ON)

E così, la miglior squadra nella storia della regular season NBA si trova sull’orlo del baratro. Un baratro che ha i contorni di uno svantaggio 1-3 nella serie contro gli Oklahoma City Thunder, da cui nella storia dell’NBA sono risalite soltanto nove squadre su 229 tentativi (e due squadre su 153 tentativi quando la squadra che si trovava 1-3 era partita con il fattore campo nella serie).

 



 

In quel baratro ce li ha spinti “Billy The Kid” Donovan, che ha vinto sette delle ultime otto partite contro due delle squadre migliori di sempre in regular season, e lo ha fatto schierando il quintetto

che potesse utilizzare, contro gli Spurs, e il quintetto più piccolo e leggero, contro i Warriors.

 

Nelle ultime due gare,

, 91-35; in queste stesse due gare, Draymond Green (il giocatore con il miglior plus-minus di sempre in regular season, chiusa a +1.070 per i Warriors con lui in campo) vanta un plus-minus di -73 — nientemeno che il peggiore su un lasso di due partite da quando l’Elias Sports Bureau tiene il conto di questa voce statistica.

 

L’attenzione mediatica dopo gara-3 si è concentrata quasi esclusivamente su Green, ma essenzialmente per la valutazione del suo “calcio/non calcio” “volontario/non volontario”

. Forse però sarebbe stato meglio lasciar perdere le questioni disciplinari ed emotive e analizzare con più attenzione il suo rendimento: molti spettatori della serie, compreso il sottoscritto, si aspettavano una risposta d’orgoglio, una reazione leonina come quella mostrata nella scorsa stagione dopo il 2-1 per i Cavs (reazione che peraltro il  #23 aveva promesso, dichiarando che il rischio di squalifica per una partita al prossimo flagrant non lo avrebbe condizionato: “

”); invece, per la seconda gara consecutiva, si è rivelato non soltanto un non-fattore, ma una vera sciagura per la sua squadra.

 



 

 



 

Le braccia infinite e la reattività di Kevin Durant — che dovrebbe iniziare ad essere considerato nei discorsi con Kawhi e lo stesso Green quando si parla dei migliori difensori della lega — lo stanno letteralmente togliendo dalla serie, impedendogli sia di attaccare il ferro che di sciorinare i suoi passaggi e la sua visione di gioco.


 

Dopo una partita da 1/9 al tiro, 4 palle perse e 3 assist ne è arrivata una da 1/7, 6 palle perse e due rimbalzi offensivi. E quando è accoppiato a Durant la situazione addirittura peggiora (in questa serie

), e persino Kerr ha ammesso di averlo visto “un po’ scosso” nel momento in cui ha deciso di toglierlo nel primo quarto, con più di 3 minuti ancora sul cronometro.

 

Le falle di Green

, il quintetto che da due anni a questa parte ha devastato qualsiasi avversario, l’arma non convenzionale che in gran parte dei playoffs Kerr e il suo staff hanno tenuto da parte per i momenti più difficili:

ci interrogavamo, insieme al resto della lega, su quale potesse essere il modo per provare a disinnescarlo, ma Donovan sembra aver scoperto che la risposta migliore era anche la più semplice: giocare al loro stesso gioco.

 

Ha estromesso dalla rotazione Kanter e altri panchinari, affidandosi di fatto soltanto a sei giocatori (i cinque menzionati in precedenza più Adams), prediligendo cambi sistematici in difesa e alzando il ritmo a livello parossistico in attacco, costringendo i Warriors a ingoiare la loro stessa medicina, dovendo affrontare una versione più forte, più fisica, più atletica, più lunga e più esplosiva del loro stesso gioco.

 

Golden State non ha trovato alcuna risposta a questa strategia: non l’ha trovata nelle prestazioni individuali, perché di Green abbiamo già parlato, ma anche l’MVP Steph Curry, da cui ci si aspettava un’esplosione in grado di annichilire gli avversari, è stato nuovamente freddo in attacco e soverchiato in difesa; anche se Kerr non cerca scuse e insiste a dire che fisicamente è a posto, la sua condizione atletica ovviamente non può essere ideale (secondo il sempre ben informato Woj e The Vertical, gli addetti ai lavori lo ritengono al 70% del suo potenziale fisico): magari è soltanto una coincidenza, ma dopo aver subìto soltanto una stoppata su tiro in sospensione in tutta la stagione, nelle ultime due ne ha subita una a partita, entrambe da Steven Adams.

 

Al di là del dato fisico, anche la sua collocazione tattica in difesa inizia a essere preoccupante: i quintetti piccolissimi di OKC lo costringono a lunghi tratti di difesa individuale su Westbrook, un compito improbo e che drena ogni sua goccia di energia, ma al tempo stesso non lasciano altri attaccanti su cui nasconderlo — neppure Andre Roberson, che in Gara 4 è esploso con 17 punti, 12 rimbalzi e 5 palle rubate (cifre mai raggiunte da alcun avversario di Golden State nelle ultime quattro stagioni).

 



 

 



 

Quando è senza palla, anziché accamparsi per un tiro da tre che non spaventa nessuno, si muove in modo molto più aggressivo nelle vicinanze del canestro, sfruttando i maggiori spazi forniti da Ibaka sul perimetro, la sua aggressività e il fatto di essere costantemente ignorato dagli avversari per accumulare rimbalzi offensivi e regalarsi facili canestri sullo scarico di un compagno.


 

Uscire da questo baratro è possibile? Certamente sì: i Warriors non hanno accumulato i successi delle ultime due stagioni per caso o grazie alla buona sorte — sono una clamorosa corazzata con molte frecce al suo arco.

 

Il problema sta nel trovare aggiustamenti a un problema che non si è mai posto, una squadra che corre più di loro, meglio di loro, in difesa cambia su ogni gioco a due e in attacco gioca d’istinto, non ti lascia ragionare, attacca il canestro e sa punire sugli scarichi. Quali possono essere questi aggiustamenti?

 

Innanzitutto ci vorrebbe almeno una partita di Steph Curry “alla Steph Curry”, una di quelle gare in cui scava semplicemente un solco tra la sua squadra e gli avversari grazie al suo solo talento: Portland ne ha già avuto un assaggio, e non più tardi di gara-2 si è visto anche in questa serie. Ora però i Warriors ne hanno bisogno più che mai, ginocchio o meno.

 

Potrebbe anche essere utile iniziare ad utilizzare più costantemente i cambi difensivi: i Warriors avrebbero tutte le potenzialità, grazie ai loro eccellenti difensori, di cambiare praticamente su ogni pick and roll avversario, visti i quintetti che Donovan sta utilizzando — ma Kerr non ha mai utilizzato questa strategia, con la conseguenza di regalare quasi sempre a Westbrook uno-due passi di vantaggio per le sue inarrestabili partenze lanciate, oppure concedere un facile piazzato al bloccante.

 

Infine, la risposta ai quintetti piccoli di OKC potrebbe essere quella di ribaltare il tavolo e giocare pesante, utilizzando in modo massiccio Bogut ed Ezeli: può sembrare assurdo, per una squadra che ha predicato i suoi successi sullo small ball e il death lineup di cui sopra, ma giocare piccolo si è dimostrato disastroso contro questi Thunder, mentre i quintetti con Bogut hanno avuto un discreto successo (+12.8 di differenziale con lui in campo nella serie).

 

Quei quintetti quantomeno consentono a Golden State di abbassare il ritmo e impedire a OKC di catturare rimbalzi a piacimento: in attacco, un pochino di pazienza in più permette di trovare le falle nei cambi ossessivi della difesa di OKC, che è troppo atletica ed esplosiva per essere battuta con il primo passaggio, il primo taglio backdoor, il primo isolamento contro il lungo. Dopo il cambio, i Warriors devono avere la compostezza di non attaccare subito, lasciar sviluppare il gioco, far girare la palla e ritorcere contro di loro l’aggressività di OKC; in difesa l’enciclopedica conoscenza del gioco e degli angoli dell’australiano gli consente di complicare la vita ai penetratori avversari (soprattutto a Westbrook), ingolfando il pitturato e inducendo Westbrook e Durant a prendersi tiri difficili dal mid-range, anziché andare al ferro selvaggiamente, generando occasioni di rimbalzo offensivo, tiri liberi e caricando di falli gli avversari.

 

Può sembrare un’idea antiquata e in controtendenza con tutto quello che ha funzionato nella lega negli ultimi anni, ma visto che il loro stile innovativo si sta ritorcendo contro i Warriors, forse fare una mossa contro-intuitiva potrebbe riportarli in carreggiata e salvare la loro stagione.

 

 

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura