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Dario Ronzulli
Sulla Sirena – Livorno-Milano 1989
14 gen 2022
14 gen 2022
Un estratto dal libro di Dario Ronzulli che racconta una delle finali più incredibili della storia del basket italiano.
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Dario Ronzulli
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L’ennesima crisi di governo, marchio di fabbrica dell’Unità d’Italia sin dal 1861, accompagna il maggio ‘89 del Belpaese. Al Congresso del Partito Socialista nell’ex fabbrica Ansaldo, con tanto di maxischermo a forma di piramidi, il segretario Bettino Craxi tra le tante cose dice chiaramente che il Governo De Mita può anche esaurirsi lì senza troppi rimpianti. E infatti Ciriaco De Mita sale puntualmente al Quirinale per rassegnare le dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. In estate arriverà il sesto Governo Andreotti, a testimonianza che il concetto filosofico dell’Eterno Ritorno caro a Friedrich Nietzsche può trovare un appiglio concreto nella realtà politica nostrana.

 

Di Eterno Ritorno si può parlare anche per l’Olimpia Milano che negli anni Ottanta è costantemente in finale: cambiano gli avversari ma lei c’è sempre, sin dal 1982. Un’impressionante continuità che mette la Philips su un piano diverso rispetto alla neofita Enichem che dalla sua ha un entusiasmo non contenibile. A Livorno non si parla d’altro e la città è spaccata in due parti: la sponda libertassina è sovraeccitata, è la prima volta che si gioca uno scudetto, la vecchia e derelitta Milano non fa paura, sarebbe stato peggio incontrare Pesaro, quella sì che sarebbe stata una sfida difficile. In casa Pielle invece si vive una gran sofferenza, in primis perché quegli altri si giocano lo scudetto e in secundis perché l’Allibert è invischiata nel girone di playout per non retrocedere. Ci sono altre cinque avversarie prese dall’A1 e dall’A2, la Pielle sembra aver ingranato poi nel girone di ritorno ne perde tre di fila e nulla sembra poter cambiare il trend. Spoiler: la Pielle tornerà in A2 dopo quattro stagioni e nel massimo campionato non rimetterà più piede. C’è un notevole via vai tra la città e Montenero, la zona collinare dove c’è la Chiesa (non ancora Santuario) della Madonna delle Grazie o, appunto, di Montenero: è la patrona della Toscana ma conta parecchio di più per i livornesi e soprattutto, in quei appassionanti giorni di maggio, per i baskettari labronici credenti.

 

In tutto questo tourbillon emozionale che si vive sotto la statua dei Quattro Mori c’è anche chi deve mantenere un ruolo super partes ed è il Sindaco, Roberto Benvenuti. Da bravo primo cittadino tifa per le squadre della città e nelle interviste pre finali non manca di ricordare le difficoltà della Pielle. In realtà il sindaco è impegnato in prima fila in un’altra partita tutt’altro che secondaria: la costruzione del nuovo palasport. A quello di viale Allende vogliono tutti bene, è un luogo del cuore e dell’anima per giocatori e tifosi di entrambe le sponde ma non è più adatto ai tempi che corrono sia come infrastruttura che per capienza. Il progetto c’è ed è quello di una moderna arena da 8500 posti, più del doppio di quello vecchio, da costruire nella zona periferica di Campo di Marte sfruttando i finanziamenti erogati nell’ambito della legge quadro sui Mondiali di calcio di Italia ‘90. Insomma il fermento che c’è in città è propizio, sembra davvero la volta buona per Livorno per dotarsi di un palazzetto degno della passione per la palla a spicchi. Ma intanto c’è il PalAllende, si gioca lì ed è lì, nel suo fortino, che la Libertas e i suoi tifosi attendono la grande Milano. L’Olimpia invece giocherà le gare interne di finale nel PalaTrussardi, dal nome dello sponsor. È una tensostruttura in metallo e cemento armato messa su in pochi mesi nel quartiere di Lampugnano dalla famiglia circense Togni all’inizio del 1986 per tamponare l’emergenza nata dal crollo del Palazzone, il palasport in zona San Siro il cui tetto non aveva retto all’abbondante nevicata del 17 gennaio 1985. In quell’anno e mezzo l’Olimpia si divide tra il PalaLido, impianto che avrebbe avuto bisogno di un profondo restyling ma nell’emergenza si va lì, e il PalaTenda, struttura sorta sempre a Lampugnano. Il PalaTrussardi nasce sostanzialmente in regime di abusivismo edilizio con due autorizzazioni provvisorie per strutture mobili che vengono poi successivamente annullate dal Tar della Lombardia che le giudica inadeguate; viene allora concessa una deroga in sanatoria che ogni due anni viene rinnovata. Tra le particolarità dell’impianto c’è pure quella di essere costruito in prossimità di un convento di monache piuttosto seccate dalla folla e dai rumori forti che arrivano, siano essi dei tifosi di basket o di Frank Sinatra o di Prince. Se la squadra più importante della pallacanestro italiana non riesce ad avere un palazzetto come si deve, pensate a come dev’essere la situazione di tante altre...

 

Per il terzo anno l’atto conclusivo dei playoff si gioca al meglio delle cinque partite, ergo servono tre vittorie per potersi fregiare del tricolore sulle maglie. Livorno, seconda alla fine della regular season, ha il vantaggio del fattore campo su Milano, finita quinta, e quindi potrà giocare l’eventuale Gara 5 tra le mura amiche. I due precedenti della stagione regolare hanno detto entrambi Livorno. Contano poco, quasi zero, ma bastano per dare alla Libertas la sensazione di poter fare l’impresa e all’Olimpia quella di dover prestare grande attenzione alla banda di Bucci. Dal punto di vista tattico ci sono due cose che sulla carta possono far pendere l’ago della bilancia dalla parte dell’Enichem. La prima è la difesa match-up che Bucci riproporrà anche in altri contesti ma che mai raggiungerà i livelli visti in riva al Tirreno. È una zona 1-2-2 che si trasforma nel corso dell’azione avversaria affidandosi alla lettura della squadra che decide sul momento se rimanere a zona o se passare a uomo o se seguire quel taglio o quell’altro. C’è un’evidente responsabilizzazione dei giocatori e una altrettanto evidente necessità di profonda conoscenza e fiducia reciproca e questo, l’abbiamo visto, alla Libertas non manca.

 

L’altro punto potenzialmente a favore di Livorno è l’accoppiamento difensivo di Milano quando difende a uomo con il quintetto base. D’Antoni prende Fantozzi e ok, Premier va su Forti e va bene, King si dirige su Alexis e ci siamo. Poi cominciano i problemi perché McAdoo prende Carera e sull’agile e rapido Tonut deve andarci Dino Meneghin che avrà pure tutta l’esperienza e l’abilità di questo mondo ma è comunque costretto a rincorrere il diretto avversario per tutta la metà campo: non proprio il lavoro dei sogni per lui. Tonut è esperto e smaliziato a tal punto da capire prima di scendere in campo che non può mettersi a lottare sotto canestro contro Meneghin perché gli servirebbero cinque minuti per girare intorno all’avversario. La bidimensionalità del triestino permette alla Libertas di porsi tra le antesignane del basket contemporaneo, nel quale si cerca di dilatare sempre di più lo spazio dell’attacco. Ecco, questo può dare molto fastidio a Milano. Insomma la stella polare della Philips sarà congelare il ritmo, andare piano, gestire le risorse e sfruttare il fisico oltre ad affidarsi spesso e volentieri alla cara vecchia zona 1-3-1; l’Enichem dovrà avere solo un mantra ovvero correre, correre appena possibile, correre come dannati, unica strada per continuare a divertirsi e divertire.

 

Non che Milano non abbia situazioni da sfruttare. Quando ti giochi un titolo la capacità di gestire il flusso di sentimenti che ti arriva addosso fa la differenza e se c’è una squadra capace di farlo al meglio beh, quella è proprio l’Olimpia. I successi arrivati negli anni sono stati costruiti su questa predisposizione a sapere cosa fare e quando. Ovvio, non sempre è bastato ma certo si tratta di una base eccellente con cui approcciare una finale. Se la Libertas è un meccanismo consolidato figlio degli anni, l’Olimpia non è da meno. Per quanti problemi possa aver avuto in stagione, Milano ha fuoriclasse assoluti e tutte le qualità per vincere tre partite su cinque. Anche perché il tempo di una finale è diverso dal tempo della stagione regolare: giocando ogni due-tre giorni partite che valgono tutto devi avere la forza di gestire le risorse, di non farti travolgere dall’alternanza gioco-riposo-gioco, di comprendere che dopo una partita non c’è il tempo di riflettere e ricaricarti ma soltanto di rammendare. E in questo Milano ha qualcosa, forse parecchio, in più di Livorno.

 

E poi c’è la sfida nella sfida tra due coach che si stimano, si rispettano e si vogliono pure bene. Tra Bucci e Casalini c’è un rapporto fraterno, un legame nato anche per l’indole di entrambi all’ironia e all’umorismo, due capaci di non prendersi troppo sul serio ed è per questo che si piacciono a vicenda.

 

Martedì 16 maggio, ore 20.30, PalAllende, Gara 1. Alberto Bucci è ancora alle prese con i problemi di salute avuti in semifinale ma provateci voi a tenerlo a casa tranquillo. A casa si sono presentati nei giorni precedenti i suoi ragazzi per le sedute video e per preparare il piano partita, poi l’allenamento vero e proprio è stato fatto con Massei e Restani nella fornitissima palestra di via Pera dove Boris e i D’Alesio hanno creato la nuova sede del club. Palasport già pieno ben prima che le squadre entrino in campo per il riscaldamento. Al momento dell’ingresso ululati, fischi e insulti per Milano, ovazioni, esultanze e tripudio per Livorno. Come ogni prima gara che si rispetti, la tensione è elevata e gli errori sono dietro l’angolo e poco importa se a questi livelli sei un novellino o un veterano. Sbaglierai comunque. Palle perse, errori al tiro, scelte forzate: un compendio di come non si dovrebbe giocare a pallacanestro. Ma è la finale e tanto basta. In questo ginepraio viene fuori Albert King che benissimo non sta ma che trova il canestro meglio degli altri; gli dà manforte McAdoo mentre Livorno è attorniata da una nube di smarrimento figlia dell’emozione e neanche la grazia di Alexis riesce ad essere d’esempio. L’Olimpia non scappa e allora in qualche modo la Libertas si scrolla di dosso i timori e a farle coraggio ci pensa l’uomo meno atteso. David Wood si prende amorevolmente cura di McAdoo, gli entra sotto pelle, possesso dopo possesso lo manda in tilt, lo urta di nervi fino a prendersi una gomitata intenzionale quando mancano poco più di 5 minuti alla fine. L’equilibrio nel punteggio che fin lì aveva dettato legge si spezza: Livorno si piazza alla tolda di comando, infila una tripla dietro l’altra mentre gli ospiti boccheggiano e non sanno più a che santo votarsi. Finisce 92-79 tra gli olé del pubblico che si è fatto sentire ininterrottamente per tutto il match. Libertas 1, Olimpia 0.

 

Sabato 20 maggio, ore 17, PalaTrussardi, Gara 2. Nei dodici precedenti dall’introduzione dei playoff in Italia, chi ha vinto la prima sfida della finale si è poi aggiudicato lo scudetto. Va detto che in dieci casi la serie è stata al meglio delle tre, dunque è una statistica che lascia il tempo che trova. Lo sa Livorno, lo sa soprattutto Milano che di tempeste ne ha affrontate e domate tante. Casalini predica calma, è convinto che la sconfitta di Gara 1 sia dovuta a episodi e non ad una mancanza di energia dei suoi; il confronto con il suo assistente Faina corrobora questa idea. Bucci, che dopo la vittoria è tornato a casa a mettersi sotto flebo, pure predica calma ma perché ha timore che i suoi ragazzi si sentano appagati e intanto il viaggio lo fa in macchina e non in pullman per poter stare più comodo. Ha il fiuto di un cane da tartufo, Alberto. E non si sbaglia: l’avvio di partita è devastante per l’Enichem. L’Olimpia fa tutto ciò che non ha fatto quattro giorni prima, innanzitutto canestro e con tutti tranne che con King. McAdoo si ricorda di essere uno splendido giocatore di basket e non un pugile, Premier decide che quel pomeriggio di sbagliare non ne ha voglia, D’Antoni – uno dei più criticati dopo Gara 1 – si toglie di dosso una quindicina d’anni e orchestra la squadra come solo lui sa fare. E poi la difesa, la 1-3-1 che imbriglia la giovane Enichem e non le lascia spazio vitale. Un lieve sussulto livornese ad inizio ripresa viene presto spento dal quarto fallo di Fantozzi e dalla regia di D’Antoni. Una dimostrazione di forza che non fa comunque pensare al commissario tecnico dell’ItalBasket Sandro Gamba che la finale sia già chiusa in favore di Milano.

 

 

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