Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Luca Fortini
Breve storia dell'amore tra Nettuno e il baseball
20 giu 2022
20 giu 2022
La cittadina laziale ha un rapporto unico in Italia con lo sport statunitense.
(di)
Luca Fortini
(foto)
Dark mode
(ON)

Sabato sera: il momento in cui la città prende vita. Tanto più se in estate, in una località di mare. Nettuno non fa eccezione. Il caratteristico borgo medievale pulsa vivacità, alimentato dal flusso di persone che passeggia sul lungomare, accanto al porto. Per i meno attenti non è facile immaginare che c’è un luogo in cui è custodita un’altra cultura del paese, forse si potrebbe dire la cultura del paese.


 

Bisogna fare un salto indietro di quasi 80 anni, alla catastrofe della Seconda Guerra Mondiale, uno tsunami che si è abbattuto sul lido sotto forma di una sanguinosa battaglia in seguito allo sbarco di Anzio. Tra le onde provocate, però, non solo la distruzione della guerra, ma anche il baseball. Uno sport mai visto prima di quel momento, che, come per magia, è stato accolto dalla città, che nel tempo ha permesso a Nettuno di conquistare 17 Scudetti e di ergersi per 7 volte a campione d’Europa.


 

In questo senso, il luogo che più di tutti oggi contiene la storia del paese è lo Stadio Steno Borghese, al punto che ad una prima, tradizionale funzione – ovvero essere la casa delle squadre casalinghe di Nettuno – ne ha affiancata una seconda, quella di fungere da centro di aggregazione. Lo stadio è un punto di ritrovo per ogni età: per i bambini, che ammirano i loro idoli, per i ragazzi, che si danno appuntamento sulle tribune e rimangono per qualche inning prima di muoversi altrove, per gli adulti, che guardano la partita insieme alle loro famiglie e ai loro amici.


 

Me lo conferma anche Giuseppe Mazzanti, che ho intervistato per la realizzazione di questo pezzo. Un’avventura negli Stati Uniti, una parentesi biennale a Rimini e una stagione a Bologna, ma la carriera di Mazzanti è stata soprattutto caratterizzata da ben 19 anni a Nettuno, la sua città natale. Vanno poi aggiunte 120 presenze in Nazionale, culminate con la vittoria dell’Europeo 2010, 2 MVP del Campionato italiano e 6 trofei conquistati con le squadre di club.


 

Peppe, così come viene affettuosamente chiamato da tutti, mi dice che a Nettuno «il baseball non solo è entrato a far parte della tradizione popolare, ma rappresenta un vero e proprio stile di vita: i ragazzi giocano con mazze e guantoni nei parchi, la domenica non c’è luogo in cui non si parli della partita del Nettuno e tutti conoscono quei ragazzi che li fanno emozionare quando indossano la divisa ed entrano nel diamante». Un legame così profondo tra città e squadra originato anche dal fatto che molti dei giocatori della squadra, fin dalle origini, siano originari proprio di Nettuno: «Si tratta ormai quasi di una tradizione», mi dice Mazzanti. «Un nucleo di nettunesi, che gioca per la maglia, per la città, per il pubblico: è un’arma in più». A questo proposito, è relativamente famosa la storia di Bruno Conti, nato proprio a Nettuno, che, prima di intraprendere la sua carriera nel mondo del calcio, sembrava poter aver un futuro come giocatore di baseball, al punto di essere stato messo sotto osservazione da alcuni scout americani.


 

È questo legame ad aver dato notorietà a livello mondiale ad una cittadina di meno di 50mila abitanti situata 40 chilometri a sud di Roma, ad di averle fatto guadagnare l’appellativo di City of Baseball - titolo anche dell’omonimo documentario diretto dal regista statunitense Christopher Ralph e prodotto da John Borgonovo.




 

Nettuno, la fenice del baseball europeo


La diffusione del baseball a Nettuno, abbiamo detto, è legata ad un evento tragico come quello della Seconda Guerra Mondiale e, in particolare, allo sbarco di Anzio, che si protrasse per tutta la prima metà del 1944. La fine della battaglia, coincisa con l’arrivo dell'estate, rappresentò il primo vero contatto tra i soldati americani e la popolazione locale, con cui da subito si creò un clima di collaborazione. Uniti dapprima dalle sofferenze che la guerra portava con sé, le due parti trovarono un ulteriore punto d’incontro quando i ragazzi del posto vennero attratti dal passatempo dei soldati. Tra gli effetti personali di uno degli oltre 7000 americani caduti nello scontro, fu anche ritrovato un guantone da baseball, e questo evento oggi viene considerato il seme che ha dato origine al baseball a Nettuno.


 

Il primo germoglio risale al 1945, sbocciato grazie alla passione del sottotenente Alberto Fasano, innamoratosi del gioco sempre tramite i militari americani, ma a Napoli. Fasano decise quindi di frequentare un corso per allenatori e arbitri di softball a Roma e, trasferitosi a Nettuno presso la scuola di Polizia, creò la prima squadra di softball cittadina. Softball e non baseball, semplicemente perché la palla soffice ha bisogno di meno materiale ed è più semplice da imparare: campi più piccoli, palle più maneggevoli, lanci più semplici. Il Nettuno P.S., così si chiamava la squadra, composto sia da allievi della scuola di Polizia sia da ragazzi nettunesi, venne ammesso nella Prima divisione nel 1946, riuscendo fin dalla sua prima stagione a dominare gli avversari e a conquistare la promozione in Serie B.


 


Il Nettuno P.S. in tenuta da gioco. In piedi a sinistra Alberto Fasano.


 

L’anno successivo arrivò in città Charles Butte, un tenente americano incaricato di sovrintendere ai lavori di costruzione del Cimitero Americano di Nettuno. Colpito dalla passione per il baseball in città, Butte decise di contattare i suoi superiori per farsi autorizzare la costruzione del primo stadio, utilizzando parte del materiale previsto per il cimitero. Nacque così lo Stadio Villa Borghese, costruito dai giocatori stessi.


 

Nel 1948 venne fondata la seconda squadra nettunese: al Nettuno P.S., rimasta sotto la guida di Fasano (e che a quel punto venne riservata ai ragazzi provenienti dalla scuola di Pubblica Sicurezza), si affiancò la Libertas Nettuno, allenata dallo stesso Butte e composta da giovani del luogo, la maggior parte dei quali lavorava nella realizzazione del memoriale. A quel punto per il primo acuto a livello nazionale era solo una questione di tempo. Nel 1949 la ex Libertas Nettuno, che nel frattempo aveva cambiato nome in Nettuno USMC, conquistò il titolo di Campione d’Italia di Softball. Il cambio di nome e l’inserimento dell’acronimo di United States Military Cemetery (USMC per l’appunto) fu deciso per onorare i giocatori, molti dei quali lavoravano nella costruzione del camposanto, a dimostrazione del legame ormai certificato tra la comunità nettunese e quella americana.


 


Butte con trofeo di "Campioni d'Italia" di softball, conquistato con la sua Nettuno USMC nel 1949.


 

Il 1950 è l’anno della svolta. Charles Butte viene sostituito nella direzione dei lavori di costruzione del cimitero da Horace McGarity, che ne eredita anche la guida del Nettuno USMC. Con lui, la squadra decide di compiere il grande salto e di passare dal softball al baseball. La scelta, seppur rischiosa, ha avuto un esito inimmaginabile, anche per i più ottimisti: dopo una seconda piazza nel campionato d’esordio, i giocatori guidati dal “mago” McGarity, com’era stato chiamato dalla tifoseria, si aggiudicheranno il Campionato Italiano per ben 7 volte in 8 edizioni, dal 1951 al 1954 e dal 1956 al 1958, conquistandosi così un posto d’onore nell’élite del baseball italiano.


 

Fu a quel punto che iniziò a diffondersi la nomea di city of baseball, un titolo che trovò un enorme cassa di risonanza nell’estate del 1957. Joe DiMaggio, uno dei più grandi giocatori della storia del baseball, noto anche per via del suo matrimonio con Marilyn Monroe, era in vacanza a Roma dopo aver appeso il guantone al chiodo da ormai sette anni. Arrivato a conoscenza della realtà di Nettuno, DiMaggio chiese di poter raggiungere la città e di essere portato al campo, dove la squadra era impegnata in una sfida contro l’AS Roma. Venne riconosciuto non appena fece il suo ingresso nello stadio e il pubblico andò in visibilio, non riusciva a credere ai propri occhi. La partita venne sospesa, tale era la fibrillazione che aveva creato DiMaggio, che venne invitato a dirigersi verso il box di battuta. Sul monte di lancio, invece, c’era Carlo Tagliaboschi, lanciatore mancino, tra i migliori dell’epoca, dotato di una palla veloce formidabile. Il primo lancio infatti fu una proprio una palla veloce. DiMaggio la lasciò passare e terminò nel guanto del ricevitore. Il silenzio colmo di tensione dello stadio fu rotto dal pop of the glove, il suono emesso dal guantone quando accoglie la palla… «Strike!» urlò l’arbitro. Il pubblico cominciò a fremere ed ecco in arrivo il secondo lancio: un’altra fastball e di nuovo DiMaggio fermo a guardarla senza batter ciglio: secondo strike. La folla non stava più nella pelle, la grande star americana era ad un solo strike dall’eliminazione. C’erano tutti gli elementi per creare un momento leggendario: il campione aveva le spalle al muro, messo in difficoltà dall’idolo locale, figlio di un marinaio, nato e cresciuto a Nettuno: bastava un ultimo lancio ben eseguito per creare una scena da romanzo di DeLillo. A quel punto, però, Joe DiMaggio compì un gesto insolito: si tolse la giacca, la piegò e la adagiò con delicatezza sulla terra battuta, si arrotolò le maniche della camicia e chiese al lanciatore di iniziare a lanciare sul serio. Tagliaboschi, che in realtà già nei primi due lanci aveva dato tutto ciò che aveva per cercare di impressionare il suo leggendario avversario, eseguì il terzo lancio. DiMaggio girò la mazza e colpì la palla. Il rumore fu inconfondibile: il caratteristico crack of the bat lasciò poco spazio all’immaginazione. La palla finì ben oltre il muro esterno che delimitava il ballpark: fuoricampo.


 

Tagliaboschi continuò a lanciare: alcuni sostengono ancora due volte, altri sono convinti fossero tre, secondo alcuni furono addirittura quattro le fastball lanciate a seguito di quel primo, maestoso fuoricampo. Ciò su cui tutti concordano è l’esito di tutti quei lanci: tutti fuoricampo. La leggenda narra che l’ultima pallina battuta da DiMaggio sia atterrata in mare e non sia mai stata ritrovata.



Il racconto dell’arrivo di DiMaggio, vissuto attraverso le parole di chi quel giorno era presente.


 

Durante gli anni ’50 il baseball iniziò a diffondersi in tutta Europa. Italia, Spagna, Olanda e Belgio furono tra i primi stati ad organizzare rappresentative nazionali e amichevoli in cui sfidarsi. Risale al 31 agosto 1952 il primo incontro della Nazionale azzurra, disputatosi allo Stadio Nazionale di Roma, che vedrà la Spagna prevalere per 7-4. La prima manifestazione ufficiale, invece, risale al 1954, quando vennero organizzati ad Anversa, in Belgio, i primi Campionati Europei di baseball: l’Italia sconfisse per 6-1 i padroni di casa del Belgio e per 7-4 la Spagna, conquistando così la prima storica edizione del torneo.


 

Anche all’interno delle squadre di club iniziò a nascere la voglia di competere a livello europeo, che venne soddisfatta nel 1963 con la creazione dell’European Champions Cup, anche chiamata Coppa dei Campioni. Non ci volle molto prima che anche il neonato trofeo venisse accolto nel porto di Nettuno: già alla sua terza edizione, nel 1965, la squadra nettunese riuscì a sbaragliare la concorrenza e a diventare campione d’Europa. Forse è proprio la terza edizione dei neonati trofei a portar particolarmente fortuna a Nettuno: anche la Coppa Italia, infatti, traslocò nella città laziale alla sua terza edizione, nel 1970.


 

Da city of baseball a hottest city in baseball


Forse il momento migliore per la SCAC Nettuno è arrivato all’inizio degli anni ’90. In particolare nel 1990 quando, dopo un inizio incerto che la portò ad avere dopo 15 partite un record di 8 vittorie e 7 sconfitte, la squadra si trasformò in una vera e propria armata, anche grazie all’arrivo del lanciatore americano Bob Galasso. Con un biglietto da visita di 55 partite lanciate in MLB nell’arco di tre annate, appena sceso dall’aereo venne invitato a vedere una partita dei suoi futuri compagni. Inizialmente rimase perplesso: perché sul retro delle maglie tutti portavano la scritta SCAC? Non poteva certo essere il cognome, era impossibile fossero tutti fratelli. Intuì quindi che si trattasse di uno sponsor, ma questo non lo fermò dal ribattezzare l’intero gruppo squadra “SCAC brothers”.


 

Bobbe, così come veniva chiamato dai nettunesi, contribuì a trasformare la mentalità dell’intera squadra, portandola a interrompere il digiuno di titoli nazionali durato 17 anni. Arrivò infatti a giocarsi le finali scudetto contro la Ronson Lenoir Rimini, in una serie al meglio delle 7 partite. Le cose sembravano essersi messe nella giusta direzione, con Nettuno che comandava la serie 3-1. Bastava soltanto una vittoria nelle restanti 3 partite, ma Rimini riuscì comunque a forzare la serie a gara 7.


 

La sfida decisiva si svolse allo Stadio dei Pirati di Rimini, dove giunse numerosissima anche una rappresentanza del “Bronx”, la frangia più calorosa dei tifosi nettunesi. Nettuno si presentò in campo con la consueta tenuta da trasferta grigia, Rimini con la divisa casalinga arancione. Divise che venivano adeguatamente modificate, inserendo nome e sponsor della squadra, dopo essere state acquistate dalle squadre MLB. Nettuno, infatti, utilizzava la divisa dei Cleveland Indians, Rimini quella dei Baltimore Orioles.


 

Nettuno sembrò fin da subito più pronta, riuscendo a segnare 2 punti nei primi 3 attacchi, anche grazie alla complicità della difesa di Rimini, non proprio ineccepibile. L’incontro proseguì con un dominio dei lanciatori sugli attacchi fino al nono inning, in cui improvvisamente si riaccese la sfida. Nettuno segnò un altro punto, ancora per un errore della difesa di Rimini e si presentò nella parte bassa dell’inning con un rassicurante 3-0. Sarebbero bastati altri 3 out e il tricolore sarebbe tornato sulle divise nettunesi. Sul monte di lancio ovviamente si trovava Bob Galasso, che nei precedenti 8 inning aveva concesso soltanto 4 valide agli avversari: un dominio.


 

Il primo battitore fu eliminato da una presa al volo degli esterni. Il titolo si avvicinava, mancavano solo 2 out. Ma a quel punto il baseball si dimostrò per quello che è veramente, e cioè uno di quegli sport in cui, come amava ripetere Yogi Berra, “non è finita finché non è finita”. Rimini si risvegliò e con due valide e una base su ball riempì le basi. Un’altra battuta valida avrebbe potuto pareggiare la partita, un fuoricampo addirittura vincerla. A Galasso andò a far visita il Manager del Nettuno, Giampiero Faraone, per tranquillizzarlo e ridargli fiducia, ma lo Stadio dei Pirati era ormai una bolgia, con il pubblico di fede riminese tutto in piedi. Si tornò a giocare e Galasso rimase ovviamente sul monte di lancio, nonostante la stanchezza. Ma ecco che dopo un lungo turno in battuta, il prima base di Rimini trovò una valida su una palla veloce sfuggita a Galasso. Arrivarono a casa due corridori e dopo una partita senza avere alcuna possibilità concreta, Rimini accorciò sul 3-2, avendo anche tutta l’inerzia dalla sua parte.


 

A quel punto i due out che mancavano sembravano impossibili da conquistare: i battitori vedevano ormai la pallina grande come una palla da basket e ogni giro di mazza sembrava poter essere una valida. Ma ecco che la partita riprese e Galasso intraprese una lunghissima sfida contro un battitore appena entrato nella partita per Rimini. Bob ebbe però il coraggio, nel momento decisivo, di lanciare la stessa palla veloce che gli era costata due punti contro il battitore precedente. Questa volta non la sbagliò, ma la piazzò dove voleva lui. Il pinch-hitter riminese girò la mazza, ma non colpì la palla. Strike out Galasso, il quinto della sua partita, ma soprattutto due eliminati e Nettuno ad un solo out dal titolo.


 

In battuta salì il seconda base di Rimini, Galasso lo affrontò ancora una volta con una palla veloce, la stessa che gli era valsa lo strike out nel turno precedente. Ancora una volta il riminese girò la mazza, riuscendo finalmente a impattare la palla. Non la colpì bene, però, facendola impennare in un campanile. Guglielmo Trinci, prima base del Nettuno e della Nazionale Italiana, la inseguiva. Sembrò quasi perdere l’equilibrio, ma provò comunque a prendere la palla al volo per effettuare l’eliminazione che sarebbe valsa lo scudetto. Chiuse il guantone, la palla rimase dentro. L’arbitro di prima base, il signor Marchi, segnalò l’eliminazione. Era ufficialmente finita. Nettuno aveva vinto, la panchina si svuotò, tutti corsero in campo e si abbracciarono. Anche il “Bronx” invase il campo e festeggiò con i giocatori. Nettuno era Campione d’Italia 1990.



Sintesi della Gara 7 delle Finali scudetto tra Ronson Lenoir Rimini contro SCAC Nettuno.


 

Nel baseball viene definita rally una situazione in cui l’attacco improvvisamente si accende: i battitori riescono leggere in anticipo le intenzioni del lanciatore e colpiscono una valida dopo l’altra, la difesa sembra impotente al cospetto degli avversari e i punti segnati si susseguono. Ecco, il rally metaforico per mezzo del quale Nettuno ha conquistato 14 trofei in 12 stagioni – dal 1990 al 2001 – è uno di quelli che entra di diritto nella storia di questo sport. E la spina dorsale di quel gruppo devastante, composta da 7 giocatori nati e cresciuti proprio a Nettuno, è stata fondamentale anche con la maglia azzurra, indossata con successo sul palcoscenico continentale, mondiale ed olimpico.


 

L’ultimo decennio è stato caratterizzato invece da una serie di problemi societari, che hanno costretto il Nettuno Baseball Club persino ad un paio di retrocessioni in Serie A2. A seguito del fallimento della società nel dicembre 2018, nella stagione 2019 il Nettuno Baseball Club si era trovato a non poter partecipare a nessuna competizione ufficiale, per cui molti giocatori nati a Nettuno avevano deciso di indossare le maglie di altre squadre di serie A. L’anno successivo, però, una nuova società – la ASD Nettuto BC 1945 – è stata in grado di acquisire il titolo sportivo dello storico club ed è riuscita a ripartire dalla Serie A2.


 

È soprattutto in questo momento di difficoltà che si è visto l'affetto dei nettunesi nei confronti della squadra, dato che molti giocatori originari di Nettuno decisero di riunirsi tutti insieme sotto la bandiera del Nettuno Baseball Club 1945 in Serie A2, ben al di sotto del loro livello. Il desiderio di giocare per la squadra della propria città e riportarla ai fasti del passato ha avuto la meglio su ogni altra motivazione, con la conquista della promozione che non è mai stata in discussione.


 

Oggi le questioni che poco hanno a che fare con il baseball giocato sembrano essere alle spalle e lo scudetto, che manca da più di 20 anni, è di nuovo un obiettivo possibile. La bacheca è ferma al 2011, con la vittoria dell’ultima delle 4 Coppe Italia, ed il desiderio di aggiungere un nuovo trofeo da affiancare ai 17 Campionati Italiani, 7 Coppe Campioni, 3 Coppe CEB e 2 Supercoppe CEB è sempre più insistente.


 

È così che la stagione 2021 si è aperta con il concreto obiettivo di tornare a vincere. Giunta alla seconda fase della regular season sulle ali dell’entusiasmo, dopo un percorso netto nel Qualification Round, la squadra nettunese si è trovata ad affrontare nel proprio girone lo scoglio più arduo dell’intera lega italiana: la T&A San Marino BC.


 

Gara 1 è iniziata male: 7 punti concessi a San Marino già nel primo inning hanno archiviato la prima sfida. Ma nulla era ancora compromesso e in Gara 2 Nettuno è arrivato al nono inning avanti 2-1. Sul monte di lancio ha preso posizione Rhiner Cruz, rilievo dominicano con quasi 80 inning lanciati in MLB. Tutti sapevano che in quei tre out che separavano la formazione laziale dalla vittoria si sarebbe decisa una buona parte della stagione: Nettuno aveva bisogno della vittoria per continuare a sperare nel primo posto nel girone e tenere vivo il sogno scudetto, San Marino doveva vincere per chiudere il discorso sul suo primato nel girone. Come ogni grande squadra deve saper fare, San Marino ha alzato il livello del suo gioco quando si trovava con le spalle al muro, segnando 2 punti nell’ultimo attacco della partita, che gli sono valsi la vittoria per 2-3.


 

È stato il turning point della stagione di Nettuno, che ha mancato l’accesso alle finali scudetto. Un sogno che, ancora una volta, è stato rimandato. Nonostante questo, il clima che circonda Nettuno, la passione che trasuda dagli spalti dello Steno Borghese, rimane unico. Come ha detto Giuseppe Mazzanti: “Qui si percepisce una passione, un desiderio per questo gioco che in Italia non ha eguali”. Basta anche solo vedere una partita di baseball a Nettuno per capire cosa intende.


 

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura