Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Fabrizio Gabrielli
La strada che ha portato Thauvin a Udine
06 feb 2023
06 feb 2023
Il campione francese approda all'Udinese dopo un'esperienza fallimentare in Messico.
(di)
Fabrizio Gabrielli
(foto)
IMAGO / Uk Sports Pics Ltd
(foto) IMAGO / Uk Sports Pics Ltd
Dark mode
(ON)

In ogni foto che gli è stata scattata da quando è arrivato a Udine – con Pierpaolo Marino, con Totò Di Natale, con la maglia bianconera e il suo nome sulle spalle – Florian Thauvin ha il sorriso disteso, l’espressione di qualcuno che ha trovato la serenità, o che perlomeno così vuole farci credere. Eppure, se facciamo uno sforzo, possiamo scorgerci una vena malinconica, quel tipo di malinconia che scivola via da quelle fossette che i sorrisi sforzati non riescono davvero a riprodurre. Ha dichiarato di aver scelto l’Udinese perché ha ricevuto «tante chiamate da parte della società. Per un giocatore è importante sentire la fiducia [...]. Adesso voglio subito ripagarla». Florian Thauvin, con la fiducia è evidente abbia un problema: se non da sempre, sicuramente ora. Sente di averne ricevuta molta, nei suoi confronti, durante la sua parabola, e in fondo è cosciente di non averla mai ripagata del tutto. Soprattutto, sente che gli è sfuggita via la fiducia più importante, quella in se stesso, quella che lo ha portato a farsi fotografare seduto sul prato del Lužniki una sera di metà luglio del 2018.

È ancora quel giocatore, Thauvin? Probabilmente non più – ammesso e non concesso che lo sia mai stato: oggi è più un calciatore spogliato dagli orpelli, dalla dribblomania, da quella capacità di essere efficace che nella stagione terminata con il mondiale russo sembrava dominare in maniera irresistibile. Con l’Olympique Marsiglia, per l’Olympique Marsiglia, è stato uno dei calciatori più importanti del ventunesimo secolo, secondo solo a Bokšić e a Papin, capace di segnare 22 gol in un solo campionato, quasi ai livelli di Drogba, o di Ravanelli. Thauvin ha portato a lungo con sé quell’idea di appartenere archetipicamente al mondo sospeso tra i trequartisti fantasiosi e gli attaccanti-razzo-fotonico: ma d’altra parte Thauvin non è già più da un pezzo quel tipo di uomo che si muove in campo con l’eleganza del pattinatore artistico, al quale la sublime tecnica basta di per sé. Il primo pallone che ha toccato in Serie A, pochi istanti dopo aver fatto il suo ingresso in campo nella sconfitta dell’Udinese con il Torino, lo ha ammaestrato bene, certo, ma quando ha provato a imprimere uno dei suoi celebri strappi Djidji lo ha eradicato dal campo. Thauvin, con il tempo, è diventato schiavo, succube del contesto: e il contesto, ultimamente, non è più stato in grado di sostenerlo.Svanito l’idillio, l’Arcadia marsigliese, Thauvin si è perso. Ed è complicato che nella nebbia friulana possa miracolosamente ritrovarsi. A fargli smarrire le coordinate è stata l’impossibilità di vincere: finalista in Coppa di Francia nel 2016, in Europa League nel 2018, se avesse alzato una di quelle coppe, forse, oggi lo vedremmo ancora trotterellare sul prato del Vélodrome. A pensarci bene, Thauvin è dovuto scappare da Marsiglia perché rappresenta troppo bene l’idea di Marsiglia calcistica dei nostri tempi: l’ambizione che non riesce a essere all’altezza della propria ambizione. «È un club meraviglioso», ha detto poco prima che la storia d’amore si spezzasse, «ma anche un club in cui tutto si fa troppo duro. C’è una pressione enorme nel quotidiano, sono passato attraverso momenti difficilissimi, psicologicamente ci sono state cose che mi è stato difficile accettare». A Marsiglia, Thauvin è sembrato sfiorire. «Mi sono trovato con il morale sotto i tacchi delle scarpe. E la depressione parte da lì».La fretta è cattiva consiglieraA quindici anni, quando era nelle giovanili del Grenoble, gli hanno detto che correva il rischio di non giocare più a pallone. Una frattura da stress alla schiena lo aveva bloccato: lui avrebbe opposto una determinazione sconfinata, ma il problema c’era, ed era oltre l’anatomia, era di concetto: frattura da stress. È questa, dopotutto, la vita dell’atleta di livello, no? Sarebbe potuta essere anche la sua? Il Grenoble è fallito mentre lui era in rosa: molti compagni hanno visto svanire i loro sogni, abbandonato il calcio. Lui, invece, è riuscito a farsi ingaggiare dai corsi del Bastia, con i quali si è affacciato in Ligue1. Contro il Valenciennes ha segnato un gol che gridava il suo nome in ogni avversario seminato con la velocità e il cambio di passo che marcavano la differenza, un gol che gridava THAUVIN, e chi ascoltava rimaneva estasiato. Il Lille gli ha puntato gli occhi addosso. «Volevo una squadra che giocasse le coppe europee. I discorsi di Rudi Garcia e il progetto del Lille mi piacevano molto. Era gennaio. Poi, tutto corre così velocemente nel calcio… avrei dovuto aspettare». Thauvin non è ancora del tutto sbocciato con il Bastia che già firma per i "Dogues", che lo lasciano in prestito per un altro semestre al Bastia. L’OM, che lo aveva seguito per includerlo in una sorta di progetto che ricalcava le orme di quello del Borussia Dortmund di inizio anni Dieci, non desiste: la firma con il Lille, per Vincent Labrune, il presidente del Marsiglia, non è quell’ostacolo insormontabile che sembra essere.Anche perché Thauvin non è poi così convinto di volerci andare sul serio, al Lille. Durante un incontro con il direttore generale Frédéric Paquet, a inizio stagione, Thauvin esplode. I termini contrattuali non lo convincono, arriva a dirgli: «se volete mettetemi pure un collare e datemi qualche colpo di frusta». Con i "Dogues" giocherà soltanto una partita, in estate, poi deciderà di non allenarsi più. Perché nel frattempo si sta delineando un passaggio epocale nella sua carriera.Adil Amazzough è meglio conosciuto con il nomignolo di Tonton Adil. È socio di una macellerie nel diciottesimo arrondissement parigino, conosce Thauvin da quando era un ragazzino e si propone di dargli consigli. In questo momento della sua vita, di fare da interlocutore con l’OM. Nello spogliatoio del Lille, Thauvin è il bersaglio preferito dei compagni, che lo prendono in giro per il salario di fame che la squadra gli ha proposto, poco più di settantamila euro al mese, una ridicolaggine per un calciatore di Ligue1. È uno dei prospetti più interessanti di Francia, e rischia di bruciarsi immediatamente. Tonton Adil stringe le maglie della trattativa, e all’ultimo giorno utile di mercato riesce a portare Thauvin a Marsiglia.In riva alla corniche, Thauvin però non riesce a trovare la sua dimensione giusta, anche perché adattarsi alle richieste del "loco" Bielsa non è nelle sue corde. Gioca poco, segna meno. Ha venti anni, e non può permettersi di dissipare così il suo talento. Per questo – e per la caratura dei giocatori che lo hanno preceduto, da Ginola a Laurent Robert – decide di accettare la proposta di trasferirsi in Inghilterra, al Newcastle.Poetica è la fantasia, impoetico il delirio.Quello al St. James’ Park, però, si rivela un passaggio a vuoto. Stordito dalle critiche, dai detrattori che lo bocciano ancor prima di vederlo scendere in campo, Florian si presenta a una delle amichevoli estive in smoking. Alan Shearer, leggenda del club e maître à penser, lo critica severamente, che equivale a scavarti la fossa, dal fondo della quale Florian cerca di difendersi, di gridare la sua identità. «Dice che mi sto facendo passare per qualcuno che non sono», si schermisce dalle accuse di essere una primadonna. «Ma perché ce l’hanno sempre tutti con me? Che mi lascino solo!».Un semestre più tardi, Thauvin torna a Marsiglia. Dapprima in prestito, rinnovato per la stagione successiva. Poi verrà anche riscattato. Perché Marsiglia ha sempre creduto nel giocatore, anche quando le condizioni esterne hanno portato il loro rapporto a sfaldarsi. Allo stesso tempo anche Thauvin ha sempre creduto nella possibilità di esplodere del tutto a Marsiglia. Di restituire all’OM tutto ciò che aveva ricevuto.Nel 2017 esordisce in Nazionale: dopo tante delusioni finalmente un’iniezione di fiducia nei propri mezzi. Forse quello è proprio il motivo per cui inscena una stagione da applausi, da trascinatore, anche se senza riuscire a ricoprire quel ruolo taumaturgico di cui il contesto che lo circondava si sforzava di investirlo, proprio nel finale di stagione. Mi riferisco al fallimento nella finale di Europa League, contro l’Atletico Madrid. Di sicuro il momento più cocente della sua esperienza a Marsiglia.

La convocazione per il Mondiale di Russia, se da una parte sembra il giusto riconoscimento, dall’altra fomenta in Thauvin una specie di sindrome dell’impostore, che si sarebbe acuita con l’incedere del torneo: quella coppa baciata sotto i coriandoli moscoviti, in fondo, gli appartiene sul serio? In Russia gioca soltanto tre minuti: l’ultima partita intera è stata la finale con l’Atletico Madrid, in cui ogni volta in cui poteva essere pericoloso è stato, semplicemente, annientato. Chi è, insomma, Florian Thauvin? Ošinski e Starosta, in «Pattinaggio veloce e figurato», scrivono: «Si nota spesso, tra la gente, il timore di cadere. Cadere può capitare a tutti, perfino a un campione di pattinaggio figurato. Come si fa a cadere senza dolore? Controllando il nostro corpo durante la caduta, in modo da atterrare con le parti meno sensibili e più protette. Se, mentre cadiamo, rilassiamo i muscoli e ci ranicchiamo incassando la testa tra le spalle, la caduta non sarà pericolosa; mentre il cercare a tutti i costi di evitarla ci fa spesso cadere in modo doloroso, e senza possibilità di controllo».La carriera di Thauvin a Marsiglia, resa più complicata anche da un brutto infortunio al ginocchio, è in caduta libera. Ha la sfortuna di – o forse è così incauto da – battibeccare con Dimitri Payet: la situazione si fa pian piano insostenibile, tanto che nel mercato di Gennaio del 2021, a qualche mese dalla scadenza del contratto, già medita di lasciare Marsiglia. Lo cercano il Napoli, il Milan, il Siviglia, l’Atletico Madrid. L’accordo con i rossoneri sembra cosa fatta. «Abbiamo preso tempo, però, perché loro non sapevano quali sarebbero stati i presupposti per la stagione successiva. Non sapevano se sarebbero riusciti a qualificarsi per la Champions League. Mi chiesero di aspettare. Ma arrivò aprile e di aspettare non avevo più voglia». La fiducia, Thauvin: non sa più come è fatta, la fiducia. Per questo decide di fidarsi soltanto di se stesso, delle sue sensazioni, delle sue esigenze. «Dovevo ritrovare quella passione per il calcio, quella per cui si gioca quando si è ragazzini, quella per cui non ci si fanno domande, non ci sono screzi nello spogliatoio, c’è un ambiente familiare». Thauvin ha raccontato di essere andato in cucina, dove c’era sua moglie. Avevano un bambino da cinque mesi. «Ho deciso di accettare un’offerta dal Messico», ha confessato alla moglie. «Aspetta: sai dove si trova il Messico?», le ha risposto lei.Thauvin forse non lo sapeva del tutto. Ma il Messico, i Tigres, erano quel posto in cui si trovava André Pierre Gignac. A Florian bastava sapere quello. E che ad aspettarlo c'erano anche cinque milioni di dollari a stagione. Un ingaggio che nessun’altra squadra gli avrebbe corrisposto. Perché nessun'altra squadra era pronta a riporre in lui tutta quella fiducia.Conquistador?Napoleone III, nel 1861, invase il Messico. Tre anni dopo insediò suo cugino, Massimiliano I, sullo scranno di imperatore del Messico stesso. Nella nostra storia, Napoleone III sarebbe André-Pierre Gignac, e Thauvin un Massimiliano I piuttosto coerente. Certo, Massimiliano I, tre anni più tardi, sarebbe finito sulla forca per aver rifiutato l’esilio. Thauvin, be', c’è andato molto vicino. Ma per ora rimaniamo sull’incoronazione: in Messico un campione del mondo in carica, arrivato al prime della propria carriera, non lo avevano mai visto. Per la LigaMX era un successo senza precedenti, la dimostrazione che il processo di crescita stava portando il campionato messicano davvero tra le prime leghe calcistiche al mondo. E Thauvin? Come doveva sentirsi?Nel documentario El Expatriado prodotto da Canal Plus il processo cognitivo di Thauvin ci si srotola sotto gli occhi come in un film. Dalle parole che scambia al telefono con Gignac, in quel momento ad Acapulco in ritiro pre-stagione appena atterrato a Monterrey, per esempio: «Mi sento come un ragazzino, è una pazzia». Ci sono quindicimila tifosi. «Perché mi stavano ricevendo così?», si chiede Florian. È sempre stato, nella sua visione, sottostimato. Si è sempre sentito sottostimato. Non era andato in Messico per quello, alla fine della fiera? Per coltivare la propria capacità di stupirsi, di sorprendersi? «E tu che volevi andare al Napoli», gli dice Gignac quando finalmente si incontrano. I due sono legati da un rapporto longevo: quando è arrivato a Marsiglia, Thauvin, era poco più che ventenne, e Gignac gli ha fatto da guida alla cittadina di Cassis dove vivevano, gli ha letteralmente – racconta Thauvin – installato il televisore in casa.

La voglia di restituire tutto quell’amore, di ripagare tutta quella fiducia, lo frega da subito. Nel primo allenamento sarà l’emozione, sarà la stanchezza del viaggio, finisce a letto con del ghiaccio sulla caviglia. Qualche settimana dopo, insieme a Gignac, vola in Giappone per giocare, con la Francia, le Olimpiadi di Tokyo. Finirà malissimo, una delusione enorme, che forse Thauvin non può sopportare. A maggior ragione se la stampa francese, in quell’insuccesso fragoroso, trova la giustificazione al fatto che a soli 28 anni Florian abbia abbandonato il calcio competitivo, secondo la loro visione. Come si torna, da una spedizione così fallimentare? Carichi, decisi a voler dimostrare il proprio valore? Alla prima partita con la maglia del Tigres, dopo un intervento piuttosto scomposto, viene espulso. Gli era successo anche alla prima gara con la maglia dell’OM, di ritorno dalla parentesi al Newcastle. Nei giorni successivi ha raccontato che non ha dormito, non sapeva darsi pace, si è sentito male. A distruggere Thauvin, un pezzo per volta, e poi tutto insieme, è stata l’incapacità di sentirsi all’altezza di tutto l’amore, la fiducia, la stima che si è visto piovere addosso in Messico?I mesi messicani – perché un anno e mezzo, come si fa con i neonati, non ha senso quantificarlo in maniera adulta, resteranno sempre diciotto mesi, diciotto mesi su cui fare la tara ai percentili di ogni prestazione – sono stati scevri di emozioni, di colpi di scena, di epifanie eclatanti. Ha segnato un gol bellissimo, aprendo il destro a compasso, al Queretaro; il secondo gol è arrivato nella semifinale di Liguilla, contro il Leon, all’ultimo minuto, in mezza rovesciata.

«Ho trovato l’equilibrio della mia vita, la mia felicità», dice dopo quella partita, vinta 2-1 nei tempi di recupero. Ma nella gara di ritorno, “el piojo” Herrera lo tiene in panchina tutto il tempo, il Leon vince, ribalta il risultato, accede alla finale. Per Thauvin, l’ennesima delusione. E non basterà un gol stratosferico ai rivali cittadini del Monterrey, nel clásico regiomontano, per lasciare un segno indelebile.In fondo, Thauvin è stato più utile al calcio messicano di quanto il calcio messicano sia stato utile a Thauvin: ha aiutato il movimento a prendere fiducia, a poter dire al mondo «ehi, noi abbiamo un campione del mondo nel prime della sua carriera che ci ha scelti!». Se Florian doveva diventare il successore di Gignac, be': non lo è diventato. Non è riuscito neppure a scalzare dalla titolarità Nico “Diente” López, se è per questo. «È piacevole all’uomo il pane procurato con la frode», dice il Libro dei Proverbi; «ma poi la sua bocca sarà piena di granelli di sabbia». L'esperienza di Thauvin in Messico, in un certo senso, è stata una grande menzogna. Di questo lo accusano i messicani, perlomeno. Di essersi portato via cinque milioni di dollari senza restituire, in cambio, le prodezze che ci si aspettava.A inizio gennaio, esasperati, i Tigres hanno pianificato una strategia per sostituirlo. Hanno ingaggiato dal Toluca Nicolás Ibáñez, e Thauvin si è trovato a essere, semplicemente, di troppo. Gli è stato interdetto l’accesso al Cedeco, il centro sportivo in cui si allena il Tigres, e lui si è presentato con il suo avvocato, per rivendicare il suo diritto ad allenarsi, non foss’altro per non lasciarsi accusare di abbandono del posto di lavoro. Udine, l’Udinese, sono arrivati come una salvazione. In una Serie A malinconica e depressa, impoverita dall’ultima sessione di calciomercato, senza idee di rinnovamento e alle prese con ruggini malmostose che sembrano affossare sempre più il nostro calcio, Thauvin arriva cercando fiducia. Saprà ritrovarsi? O si perderà definitivamente?Quello che vedremo nei prossimi sei mesi non sarà mai quel Thauvin che ricordiamo nella stagione prima dei Mondiali di Russia. Ma neppure, speriamo per l’Udinese, il giocatore che arriva esclusivamente per mettere una pezza sull'infortunio di Delofeu, il Thauvin messicano.Nei “Colloqui con se stesso”, Marco Aurelio scrive: «E poi devi domandarti: tutta questa roba, adesso, dov’è? Fumo, cenere, fama: o fama, nemmeno». Florian, tutta questa roba, dove l’avrà nascosta? Saprà far rivivere la sua magia, o vagherà per il resto della sua carriera nella sua infruttuosa ricerca?

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura