Nella stagione 2008-2009 la Federcalcio, accogliendo le istruzioni dell'International Board, ha introdotto nel regolamento nuove disposizioni sui raccattapalle. Oggi i testi ufficiali prescrivono la presenza di dieci ragazzi a partita a carico della società ospitante, ciascuno dei quali munito di un pallone. Devono essere così schierati: due lungo ciascuna linea di fondo, all'altezza delle intersezioni con la linea dell'area di rigore, e tre lungo le due linee laterali (uno a centrocampo, gli altri due più o meno alla metà di ogni metà campo). Sembra tutto facile ed estremamente meccanico: invece, mai sottovalutare il potenziale creativo di uno sport in cui il fattore umano può essere moltiplicato per sé stesso infinite volte.
Anni Settanta – I bambini ci guardano
Nonostante fosse tutto pronto già da quindici anni, testato più volte e introdotto da anni in Francia, Germania e Inghilterra, il colore si impadronì della tv italiana solamente nel 1977, dopo anni di ostinata resistenza da parte di un certo ceto politico che temeva una deriva economica e consumistica del Paese, su tutti il segretario del Partito Repubblicano Ugo La Malfa (Il Paese scoppia, non riesce a risolvere i suoi problemi di fondo, e gli vorremmo dare la televisione a colori!»). Tra le cose maggiormente danneggiate ci fu il racconto dello sport, che oltre confine acquisiva nuovo slancio e fascino grazie a tecnologie sempre migliori, che per esempio avevano saputo esaltare, rendendo quella squadra ancora più mitica, l'arancione delle maglie dell'Olanda 1974. Proprio come il bambino che nella fiaba di Hans Christian Andersen sollevava pubblicamente i dubbi taciuti da tutti sul nuovo look dell'imperatore, in un calcio monocamera, tecnicamente troglodita, in cui l'unico replay consisteva nella riproposizione dell'immagine precedente a velocità dimezzata, il problema di ciò che “non si poteva non vedere” fu sollevato da un ragazzo di sedici anni in cospicuo anticipo sulla VAR.
Negli anni Settanta le squadre più piccole scelgono i raccattapalle affidandosi al caso: basta presentarsi allo stadio alle 10 del giorno della partita, i primi dodici vengono reclutati e istruiti scrupolosamente. Nato a Montreal da papà emigrato, operaio nelle terribili miniere di amianto del Québec per conto degli Stati Uniti, Domenico Citeroni ha 16 anni e frequenta il terzo anno all'INAPLI di Ascoli Piceno (che vuol dire INAPLI? È un'altra sigla di un'Italia che non c'è più: Istituto Nazionale per l'Addestramento e il Perfezionamento dei Lavoratori dell'Industria). La città vive anni strepitosi: non soltanto sta disputando il suo primo storico campionato di Serie A (la sta trascinando un giovane allenatore romano di idee pratiche e spirito sanguigno di nome Carlo Mazzone), ma da qualche anno è persino finita sulla mappa di Hollywood come set della commedia Alfredo, Alfredo, in cui accanto a una stratosferica Stefania Sandrelli ha recitato una star mondiale come Dustin Hoffman. Il premio Oscar rimane in città per ben otto mesi e pare che se la spassi un bel po' – quando tornerà nel 2009, per ricevere la cittadinanza onoraria, si rivolgerà ai presenti scherzando ma non troppo: “Chi di voi c'era nel 1972? C'è qualche mio figlio che non so di avere?”.
Negli ultimi sedici mesi l'Ascoli di Mazzone ha perso in casa solo una volta, 0-1 contro la Fiorentina, ma la mattina del 12 gennaio 1975 langue all'ultimo posto della classifica, a due punti dalla zona-salvezza. Domenico ha già una discreta esperienza come raccattapalle, compreso qualche incontro ravvicinato con i portieri avversari: «Al portiere del Vicenza Sulfaro dissi: dove vai, piccione? Mi corse dietro per tutto lo stadio», ricorderà anni dopo alla Gazzetta dello Sport. Al Del Duca arriva il Bologna di Giuseppe Savoldi, uno dei centravanti più forti d'Italia, e la partita segue i confortanti binari della logica: ospiti in vantaggio con Lanzini, pareggio ascolano di Zandoli e poi doppietta di Beppe-Gol, con partita chiusa a pochi minuti dalla fine. Al 90' Ghetti lancia ancora Savoldi verso la porta di Pier Luigi Masoni, il portiere di riserva dell'Ascoli che ha sostituito all'intervallo il titolare Grassi. Lo anticipa con un tocco preciso di sinistro e manda la palla nell'angolino opposto, senza più alcuna opposizione.
Citeroni è proprio dietro la porta e, mentre osserva mestamente il pallone rotolare verso la rete, decide di anticipare di qualche mesela famosa massima di Guido Necchi - “Che cos'è il genio?”, eccetera (Amici Miei uscirà al cinema nell'estate del 1975). Allunga il piede sinistro e con sprezzo del pericolo ricaccia via il pallone in direzione del difensore ascolano Castoldi, che spazza oltre la linea di fondo. Di palo si è trattato, e dunque con un calcio d'angolo si prosegue, secondo il direttore di gara Enzo Barbaresco di Cormons. Quest'arbitro con il nome da vigneto era già stato protagonista tre anni prima di un altro abbaglio simile, uno dei grandi casi da moviola degli anni Settanta: in Sampdoria-Torino del 12 marzo 1972, a pochi minuti dalla fine sul 2-1 per la Sampdoria, aveva giudicato non entrato un pallone colpito di testa da Aldo Agroppi e allontanato dal difensore blucerchiato Marcello Lippi ben oltre la linea di fondo (e a fine campionato il Torino arriverà secondo, a un solo punto dalla Juventus).
Tale è l'eccezionalità della situazione che del Bologna protestano solo in pochissimi; di certo non Savoldi, coperto dall'uscita del portiere. «Vedo agitazione sulle panchine e me la squaglio. Filo dritto a casa senza dire niente a nessuno, mi metto a letto senza neppure aspettare la Domenica Sportiva. Non ne parlo con gli amici, ma due giorni dopo trovo i giornalisti all'uscita della scuola». La settimana dopo è ospite in RAI proprio insieme a Savoldi. Quella dopo ancora, quando al Del Duca arriva la Lazio campione d'Italia, gli si avvicina Giorgio Chinaglia: «Se avessi rubato un gol a me, ti avrei strozzato». Prima di iniziare, l'arbitro Menicucci gli intima di starsene vicino alle panchine. Ma nel secondo tempo l'Ascoli va in vantaggio, c'è da difendere un preziosissimo 1-0 e allora Citeroni cade vittima della legge del contrappasso: «Rimandai in campo un paio di palloni con troppa fretta e Mazzone mi guardò male: “Calma, calma…».
Siccome sono anche gli anni in cui nascono i primi gruppi ultrà organizzati (quello dell'Ascoli, fondato nel 1974, si chiama “Settembre Bianconero”), dall'anno successivo Domenico, il raccattapalle tifoso, si sposterà dal campo alla curva e lì rimarrà per anni, nella buona e nella cattiva sorte, in serie A, B e C1, così a lungo da vedere in campo con la maglia dell'Ascoli, stagione 1998-99, anche Savoldi Gianluca, figlio d'arte. Bilancio non memorabile: tre gol in 13 partite. Su quelli non convalidati dai raccattapalle, non è dato sapere.
Nel 1996 un Fabio Fazio già incline al nostalgismo celebrò la prodezza di Domenico Citeroni con enfasi oratoria vagamente fantozziana.
Anni Ottanta – Lezioni di Piana
Daniel Passarella ha sempre avuto un rapporto problematico con le sconfitte. A volte, anche con alcune vittorie: il “Kaiser” è l'unico giocatore non italiano-brasiliano ad aver vinto il Mondiale due volte, ma a Messico 1986 la sua stella fu oscurata da quella di Maradona e da una lunga serie di problemi intestinali che lo costrinsero a lungo in ospedale, senza poter mettere piede in campo neanche un minuto, con annesse accuse complottiste al ct Carlos Bilardo e al medico della Nazionale Raul Madero.Secondo quest'ultimo, tutto nacque perché Passarella, assiduo consumatore di whisky, aveva ignorato i consigli di bere solo acqua imbottigliata e si era avventurato nell'utilizzo di fatali cubetti di ghiaccio messicani, aprendo squarci memorabili sui retroscena di quel Mondiale.
Acquistato dall'Inter per un miliardo di lire proprio nel 1986, Passarella visse due stagioni malinconiche, simboleggiate dalla palla persa maldestramente sul pressing di Virdis (non proprio un fulmine di guerra)nel famoso derby in cui i nerazzurri faticarono anche a superare la metà campo. L'episodio più notevole dei suoi due anni ci serve però a riflettere sul rapporto, spesso complesso e sottovalutato, tra chi va in campo e i piccoli spettatori che li osservano da fuori.
L'8 marzo 1987 l'Inter gioca a Genova, in casa della Sampdoria. La squadra di Trapattoni è reduce da due sconfitte consecutive contro Roma e Milan che le hanno fatto perdere contatto con il Napoli, ormai lanciato verso il suo primo scudetto. Il terzo stop di fila fa volare gli stracci contro l'arbitro Mattei, accusato di aver fischiato a Mancini un rigore fasullo e di averne negato uno a Passarella per fallo di Vierchowod. Proprio l'argentino è tra i più agitati, accendendo gli animi di Marassi per aver spinto fuori dal campo il capitano doriano Pellegrini a terra infortunato. Sul 2-1, a pochi minuti dalla fine, la Samp si guadagna una punizione dal limite. Mentre Mattei sta verificando la distanza della barriera, Zenga si rivolge al raccattapalle Maurizio Piana, 16 anni, per farsi riconsegnare il pallone, ma ecco che arriva Passarella unchained che gli entra dritto sulla gamba destra, poco sotto il ginocchio. Parapiglia.
La scena sfugge alle telecamere, in compenso si vede al minuto 1:25 il piccolo Maurizio portato fuori dal campo da Vialli.
Passarella non ha un curriculum da educanda e molte delle sue, già numerose, malefatte italiane hanno visto come protagonista lo stesso arbitro Mattei, il primo a espellerlo in serie A per una gomitata a Danova in un Torino-Fiorentina del 1983. Sempre Mattei era l'arbitro di un Verona-Fiorentina in cui, nel sottopassaggio, Passarella si era azzuffato col massaggiatore veronese Stefani, rimediando quattro giornate di squalifica. Ancora a Mattei, infine, era sfuggita una testata a Edinho in Fiorentina-Udinese sempre del 1983, vero e proprio anno di grazia disciplinare del Caudillo.
Pur consolato dai classici quindici minuti di notorietà che fanno di lui “il raccattapalle più famoso d'Italia”, il piccolo è risentito, ma per nulla turbato: «Volevano portarmi subito negli spogliatoi, ma io ho preferito restare in campo, la partita era quasi finita e volevo gustarmi la vittoria della Samp. All’uscita dal campo volevo gridare di tutto a Passarella, ma Vialli e Ferri mi hanno bloccato e portato via. Volevo parlare con l’arbitro, fargli vedere la ferita, ma Mattei non ha voluto ricevermi». Il lunedì viene accolto festosamente da compagni e insegnanti al ritorno in classe, all'Istituto Nautico “San Giorgio” di Genova. Il referto dell'ospedale San Martino parla di “ferita lacero-contusa con abrasione” e stabilisce una prognosi di 10 giorni. Sotto i 30 giorni l'intervento della magistratura ordinaria non è obbligatorio e sta all'offeso decidere se sporgere denuncia; la famiglia Piana, rabbonita dal presidente interista Pellegrini che le ha comunicato l'intenzione di devolvere i 5 milioni di multa a Passarella in una borsa di studio a favore del ragazzo, decide di sorvolare. Papà Ivo Piana, titolare di una pellicceria al centro di Genova, vive l'ebbrezza di un intervento in diretta telefonica al Processo del Lunedì: «È un padre anche lui, ci siamo capiti, anche se il suo gesto rimane ingiustificato. Dopo aver parlato con lui e con l'Inter ho deciso di lasciar perdere. Ci incontreremo e ci abbracceremo». Quanto al referto sportivo, stilato dalla terna arbitrale, decisivo è l'intervento di un guardalinee che riporta tutto l'accaduto: visti i precedenti di Passarella, il Giudice Sportivo Alberto Barbè interverrà con la mano pesante e lo squalificherà per sei giornate.
A trattenere il Passarella furioso, si nota la bonaria figura di Astutillo Malgioglio, storico secondo portiere dell'Inter di fine anni Ottanta.
Anni Novanta – Portieri sull'orlo di una crisi di nervi
Il rapporto tra l'Inter e i raccattapalle ha vissuto momenti complicati. Due anni prima della giustizia privata di Passarella, era stato un giovanotto di fede presumibilmente interista di nome Massimiliano Scaglia a finire nella piccola cronaca dei giornali: il 6 gennaio 1985, durante Inter-Roma, uno spettatore aveva lanciato una monetina che aveva colpito in faccia il giallorosso ed ex milanista Ruben Buriani, e Scaglia aveva prontamente occultato il corpo del reato sotto la scarpa, prima di venire convinto da altri giocatori della Roma a restituire il maltolto. L'Inter era stata multata di 9 milioni scontando dunque, per il principio della responsabilità oggettiva, il comportamento scorretto di tutto ciò che fa da corollario alla partita: gli spettatori, ok, ma anche i piccoli amici addetti al recupero della sfera di gioco, ma a volte nient'affatto innocenti.
Il 24 settembre 1995 Ottavio Bianchi torna con l'Inter nello stadio in cui – come raccontato nel capitolo precedente – ha vinto il primo storico scudetto nel 1987. L'allenatore del Napoli è curiosamente lo stesso di quel fatale pomeriggio a Marassi, ovvero Vujadin Boskov. Nonostante un importante mercato estivo abbia portato in nerazzurro gente Roberto Carlos, Paul Ince e Javier Zanetti, la prima Inter morattiana è partita maluccio e densi nuvoloni fluttuano sul capo dell'Ottavio: una sconfitta, si dice, potrebbe costargli l'esonero. Al San Paolo l'Inter esibisceun'orribile maglietta dal cattivo gusto spiccatamente anni Novanta, che verrà indossata solo in quest'occasione. La prestazione è in linea con l'abbigliamento. Il Napoli la domina a lungo, passa in vantaggio con il giovane Imbriani, incassa un po' per caso il pareggio di Fontolan ma torna avanti poco dopo con un gol di Renato Buso.
Sul 2-1 gli slanci offensivi dell'Inter, già non troppo irresistibili, vengono ostacolati anche dalla stereotipata furbizia dei giovani raccattapalle del San Paolo, con cui Gianluca Pagliuca ingaggia duelli logoranti mettendo in mezzo anche il magazziniere partenopeo Tonino Albano, colpito con una manata, mentre tutto lo stadio si prodiga in commenti da coro greco sulla signora Pagliuca. È quello un momento particolarmente delicato della carriera del numero 1 di USA '94, a cui il ct Arrigo Sacchi ha da poco comunicato, con una telefonata, la volontà di non convocarlo più in azzurro. Come se non bastasse, Pagliuca si è involontariamente infilato in un polverone rilasciando a Epoca un'intervista in cui parla a ruota libera della sua vita sessuale, cadendo nella smargiassata di confessare le sue “cento e più donne”. Anche in campo le cose potrebbero andare meglio: a Parma ha preso gol da Zola da oltre trenta metri, a Lugano in coppa UEFA è stato beffato da tale Edo Carrasco addirittura da calcio d'angolo («Un gol così non l'ho preso neanche nelle giovanili»). Così, quando chiede a un ragazzetto di dargli il pallone e quello, per nulla impressionato, per risposta lo tira lontano, Pagliucone non ci vede più: va da lui e gli molla uno scappellotto, tra gli ululati di riprovazione di tutto lo stadio.
La sconfitta che lascia l'Inter alle soglie della zona retrocessione fa il resto, così Pagliuca prosegue lo show anche in zona mista, con dichiarazioni di grande valore didattico: «Questi ragazzini che perdono tempo in campo e che fanno i furbi sono poi quelli che a 16-17 anni fanno gli scippatori o vanno a rubare in banca». Parole che saranno commentate con misericordioso distacco anche da suoi amici come Fausto Pari, compagno di mille battaglie alla Sampdoria: «Il clima era elettrico, e quando c'è elettricità si finisce per dire tante stupidate».
Il colpo di scena finale se lo riserva proprio il portiere, anni dopo, inun'intervista al “Roma”: «Quando più tardi ho incontrato Fabio Cannavaro in Nazionale, mi ha raccontato che quel ragazzino era suo fratello». Paolo Cannavaro! Possibile? Divertitevi a fermarequesto video al minuto 3:02 per accertarvi che la versione di Pagliuca sia attendibile.
Puntualissimo servizio di Alberto D'Aguanno per Pressing in cui, oltre a raccontare la battaglia psicologica tra Pagliuca e i raccattapalle, sottolinea la bruttezza dell'improbabile pigiama che l'Inter indossò solo una volta nella sua storia.
Anni Zero – Un gioco da ragazzi
Il filone “saranno famosi” applicato ai raccattapalle è ricchissimo e dà grandi soddisfazioni. Oltre a Paolo Cannavaro, procediamo in ordine sparso ricordando suo fratello Fabio al San Paolo nel giorno del primo scudetto del 1987, unFrancesco Totti piccolo testimone della finale di Coppa UEFA Roma-Inter 1991,un Alessandro Nesta che vide molto da vicino il gol sotto la Sud di Paolo Di Canio in un derby del 1989,un Antonio Cassano in posa accanto a Savicevic e Roberto Baggio nei due Bari-Milan del gennaio e ottobre 1995,un Claudio Marchisio a bordo campo nel famoso derby torinese della buca di Maspero, un Herbert Prohaska giovane viennese che assisté alla finale di Coppa Campioni Inter-Real Madrid 1964, persino unMassimiliano Cappioli abbracciato da Falcao dopo il 2-0 del Divino in Roma-Torino 1983, il giorno della festa-scudetto all'Olimpico (il suddetto Massimiliano Scaglia invece non ha niente a che vedere con il futuro difensore di Fiorentina e Bari, di cui è semplice omonimo). Nessuno di loro però ha avuto il privilegio di essere attivamente coinvolto in un gol della propria squadra del cuore, com'è capitato a Gianluca Caprari.
In questo incredibile filmato girato da una tv locale il 10 maggio 1987, il giorno del primo scudetto del Napoli, oltre a un giovanissimo Fabio Cannavaro vengono intervistati almeno altri quattro ragazzi che in futuro giocheranno in serie A. Sapete riconoscerli tutti?
Il 26 gennaio 2008 la Roma batte 1-0 il Palermo grazie a un gol di testa di Amantino Mancini nel secondo tempo. Il gol arriva sugli sviluppi di un calcio d'angolo battuto molto rapidamente da Rodrigo Taddei, con la decisiva collaborazione di un raccattapalle molto solerte nel sistemare subito il pallone sul punto di battuta. Quel ragazzo ha 14 anni, gioca nei Giovanissimi Nazionali della Roma ed è, appunto, l'attuale attaccante della Sampdoria. E' un habitué dei calci d'angolo: da tre anni esercita nella stessa postazione, la bandierina del corner tra la Tribuna Monte Mario e la Curva Sud. Guidolin elogia indirettamente la sua prontezza di riflessi, rimproverando i suoi difensori: «Pensare che in settimana li avevo avvertiti». Ma il presidente siciliano Zamparini protesta, appellandosi al punto H dell'apposita regola federale: “i raccattapalle devono rimanere dietro i cartelloni pubblicitari senza ostacolare la vista dello spettatore”. Caprari invece ha scavalcato per sistemare personalmente il pallone dentro l'area d'angolo: «Chiedo lo 0-3 a tavolino o almeno la ripetizione della partita, dobbiamo finirla di premiare i furbi». Stranamente Zamparini non viene preso molto sul serio: il Giudice Maurizio Tosel si dichiara “non competente”, visto che sulle questioni di campo fa legge il giudizio dell'arbitro Brighi di Cesena, e la querelle finisce lì. Per quanto non manchino le voci contrarie, come per esempioquesto parere dell'ex arbitro Daniele Tombolini: «Allora che facciamo, prevediamo anche uno “schema del barelliere” che sistema la palla sul dischetto prima di un calcio di rigore?».
Il corner da cui nasce il gol di Mancini è propiziato da una chiusura di un ancora imberbe Andrea Barzagli.
Ad ogni modo, dalla partita successiva la Roma farà attenzione alla posizione dei suoi intraprendenti raccattapalle. Rimangono agli atti,sulla Gazzetta dello Sport, alcune coraggiose dichiarazioni del Caprari, romano del quartiere La Rustica, che non ha pudore a sostenere l'indicibile: «Macché romanista, io sono juventino! Mi ispiro a Del Piero, nemmeno la stagione in serie B mi ha demoralizzato e l'anno prossimo lotteremo per lo scudetto. Ma contro il Palermo è come se avessi segnato il mio primo gol in Serie A» (il vero primo gol all'Olimpico lo segnerà in un Roma-Pescara del 2013 ma, ironia della sorte, con la maglia degli abruzzesi). La Roma tenta il colpo gobbo da corner anche altre volte in quella stagione, provando a mettere in pratica alcuni fantasiosi schemi di Luciano Spalletti: il tentativo più spettacolare in un Roma-Milan dell'aprile successivo, quando Pizarro e Taddei escogitano un piano diabolico impastoiandosi però nella burocrazia dell'arbitro Rizzoli, che ferma ingiustamente il gioco. Solo l'ottusità della legge impedisce l'ascesa della fantasia al potere.
Anni Dieci – Anche i ricchi piangono
I social network hanno favorito legittime aspirazioni di celebrità anche in adolescenti comuni, magari alimentati dall'entusiasmo tipico dell'età. La mattina del 23 gennaio 2013 il 17enne Charlie Morgansi sbilancia su Twitter: «Il re dei raccattapalle è tornato per la sua ultima apparizione! #bisogna #perdere #tempo». Charlie è il figlio di Martin Morgan, che è il maggior azionista del club e secondo il Sunday Times è il trentaduesimo uomo più ricco del Galles grazie a un patrimonio di 50 milioni di euro, proprietario di una catena di alberghi di lusso e amico della cittadina più illustre di Swansea, l'attrice Catherine Zeta-Jones. La famiglia Morgan se la passa piuttosto bene, in una casa da un milione e mezzo di sterline nel Carmanthenshire: sull'account Twitter del ragazzo compaiono bottiglie di champagne e foto di viaggi a Dubai e Las Vegas. Nonostante sia un po' troppo grandicello per il ruolo, è stato nominato tra i fortunati raccattapalle di Swansea-Chelsea, semifinale di ritorno di Coppa di Lega in programma quella sera al Liberty Stadium: deve sostituire un piccolo collega vittima dell'influenza di gennaio. All'andata i gallesi hanno clamorosamente sbancato Stamford Bridge con uno 0-2 che a questo punto impone una partita prudente, in cui dovranno a lungo flirtare con il cronometro che scorre. L'obiettivo è storico: la prima finale di coppa “inglese” della storia dei Cigni, peraltro contro il Bradford City che la sera prima ha eliminato l'Aston Villa: trionfare a Wembley e partecipare alla successiva Europa League sono traguardi più che mai alla portata.
La partita ristagna su un dimenticabile 0-0. I blues, allenati da Rafa Benitez che a fine stagione vinceranno l'Europa League e arriveranno in semifinale di FA Cup, non hanno forse sufficienti energie per badare anche alla seconda coppa nazionale. Il Chelsea procede sempre più stancamente finché, al 78', Eden Hazard si porta oltre la linea di fondo per accelerare la ripresa del gioco e la rimessa dal fondo dello Swansea. Tra il belga e il pallone c'è però Charlie Morgan, che si accartoccia anche un po' comicamente sulla palla, nel fiero intento di dare un seguito al suo valoroso hashtag di qualche ora prima. Hazard un po' non crede ai suoi occhi, un po' gli girano le scatole per un'ostruzione così grottesca: gli scende la catena e parte il calcione proditorio a pochi metri dagli spettatori. Il boato richiama l'arbitro Chris Foy, tutto lo stadio urla “off! off!”. Arriva inevitabile il cartellino rosso; seguiranno tre giornate di squalifica, una pena tutto sommato mite.
Passato da 600 a 100 mila follower nel giro di ventiquattr'ore, Charlieassicura ai suoi follower che non sporgerà denuncia. Forse si è accorto che, per dirla alla Andreotti, un po' se l'è andata a cercare. Nel chiuso dello spogliatoio dello stadio, Morgan e Hazard si chiedono scusa a vicenda. Va da sé che l'improvvisa notorietà gli attira molte attenzioni, non tutte positive. Joey Barton, un'autorità in materia: “L'unica colpa di Hazard è non averlo colpito sufficientemente forte”. Sue Cole, madre di Ashley in campo anche lui, lo definisce su Facebook “fucking little shit”, prima di cancellare il post in tutta fretta. Sei mesi dopo, Charlie metterà all'asta il giaccone che indossava in quella notte indimenticabile, tirando su 28.600 sterline donate in beneficenza. Tanto, a giudicare dal suo profilo Twitter, tuttora non sembra versare in particolari condizioni di indigenza: e, come le vere star,ha persino l'account verificato. Non ha più rincorso palloni oltre la linea di fondo del Liberty Stadium, ma –per usare le parole sempre illuminate di un ex raccattapalle un po' più famoso di lui - once a ball boy, always a ball boy.