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Storia tattica dello Scudetto del Milan
26 mag 2022
26 mag 2022
La squadra di Pioli è cambiata molto in stagione per arrivare al traguardo finale.
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MARCO BERTORELLO/AFP via Getty Images
(foto) MARCO BERTORELLO/AFP via Getty Images
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Prima ancora che il campionato iniziasse, quando ancora lo scudetto era solo un pensiero nella mente dei tifosi milanisti più sognatori e visionari, c’era un vantaggio riconosciuto in modo più o meno unanime al Milan. Quello cioè di aver dato continuità al progetto con la conferma di Stefano Pioli, mai messa in dubbio, nel campionato che si annunciava come il più incerto degli ultimi anni. Mentre attorno al Milan tutte le squadre più forti, a eccezione dell’Atalanta, si muovevano in direzione contraria, cambiando i propri allenatori e quindi rinnovando idee e stili di gioco, i rossoneri andavano avanti per la loro strada senza tentennamenti. Una squadra con un’identità tattica tra le più definite e radicali del calcio italiano, con un anno di esperienza in più, giovane e in ascesa che puntava a migliorarsi dopo il secondo posto e il ritorno in Champions League.

Le incognite, si sa, erano legate innanzitutto ai due giocatori persi per i contratti non rinnovati, Donnarumma e Calhanoglu. Quanto avrebbe perso il Milan, in termini di punti e di proposta di gioco, ci chiedevamo, dopo un mercato che non sembrava aver riempito i vuoti lasciati dai due vecchi titolari? Maignan arrivava da campione di Francia e con il record di partite senza subire gol (21) nei principali campionati europei, ma non era ancora considerato uno dei migliori portieri in Europa. Gli altri nuovi arrivati andavano invece a completare la rosa, ad arricchirla di alternative: Florenzi e Ballo-Touré come terzini, Bakayoko a centrocampo, Messias che si sarebbe giocato il posto con Saelemaekers, e poi Giroud, che nei piani iniziali avrebbe dovuto alternarsi a Ibrahimovic.

In realtà però nel primo mese della stagione il centravanti titolare è Ante Rebic. Un mese che coincide con alcune delle migliori partite dell'anno. La vittoria per 2-0 sulla Lazio alla terza giornata, il 3-2 con l’Atalanta a Bergamo e la prima mezz’ora in Champions League contro l’Atlético Madrid, un dominio che forse non si è più rivisto contro un avversario di così alto livello. È un Milan intenso e aggressivo, molto verticale. Rebic da centravanti guida il pressing e, quando la squadra ha la palla, con i suoi scatti abbassa le difese avversarie e facilita il gioco sulla trequarti. A beneficiarne più di tutti è Brahim Díaz, che in quel periodo illude molti giocando a livelli che non toccherà più nel resto della stagione.

Rebic crea gli spazi e Brahim è abile a farsi trovare come uomo libero in molte situazioni, a possesso consolidato o in transizione, nella trequarti avversaria o più in basso, e quando si sposta a sinistra e va ad associarsi con Leão e Theo Hernández il Milan sembra poter creare pericoli a ogni azione. Partendo da dietro, poi, arriva spesso in area indisturbato e inizia a segnare con continuità. È suo il primo gol in campionato contro la Sampdoria, a cui seguono quelli contro Liverpool, Venezia e Spezia nel giro di dieci giorni. Un momento di forma che si esaurisce presto, con la positività al coronavirus di metà ottobre. Il Milan però non si ferma e alla pausa di novembre è primo insieme al Napoli con dieci vittorie e due pareggi nelle prime dodici giornate.

La risalita del campo da sinistra, Leão imprendibile e Brahim che arriva a toccare il pallone sulla riga dopo il tiro di Theo entrando in area da dietro.

Lo stile e i principi sono gli stessi delle due stagioni precedenti, ma ad arricchire la proposta di gioco si aggiungono nuovi dettagli. Il Milan aveva finito il campionato 2020/21 in modo più conservativo rispetto alle abitudini, con meno pressing e un’intuizione che si era rivelata decisiva nello sprint finale. Brahim Díaz era entrato in squadra come trequartista centrale e Calhanoglu era stato spostato a sinistra con la libertà di accentrarsi per lasciare la fascia a Theo. Il Milan della stagione 2021/22 torna invece a puntare in modo deciso sul pressing, lo usa come punto di partenza per creare occasioni, consapevole di avere in squadra giocatori incontenibili in transizione, con lo schieramento avversario disordinato e molto spazio in cui correre. Leão e Theo su tutti, ovviamente, ma in ogni zona del campo c’è almeno un giocatore abile in conduzione che può vincere il suo duello e far salire il Milan. A centrocampo Kessié, Bennacer e Tonali, più avanti Brahim, a destra Calabria e Saelemaekers.

Il modo di difendere è più aggressivo - il Milan è la seconda squadra del campionato, dopo il Genoa, per numero di pressioni, la prima per quelle portate in zone medio-alte - e quando manovra la fluidità dello schieramento è ancora più accentuata. Theo e Calabria giocano spesso al centro, la prima linea di costruzione può essere a due o a tre, i centrocampisti possono aprirsi sulle fasce, abbassarsi in mezzo ai difensori spingendo in avanti uno dei due centrali, il triangolo di centrocampo si modifica di continuo, ci può essere un vertice alto e due mediani oppure un vertice basso e due mezzali, sulla trequarti gli scambi di posizione sono frequenti, specie quando a destra gioca Saelemaekers, più portato ad accentrarsi e a farsi trovare nella zona della palla rispetto a Messias, utilizzato invece in modo più statico largo sulla fascia.

Non importa la posizione di partenza, tutti i giocatori sanno riconoscere gli spazi in cui muoversi e le intese sono ormai solidissime. Theo e Leão, così come Saelemaekers e Calabria, garantiscono sempre ampiezza e presenza nei corridoi interni alternandosi tra la fascia e il centro; Tonali, Kessié e Bennacer possono restare bloccati davanti ai difensori, aprirsi sulle fasce o alzarsi oltre la trequarti; i difensori centrali si aprono e non hanno paura a salire con la palla, coperti da un compagno che scala nella loro posizione. Una fluidità che poggia su concetti opposti rispetto all’Inter, che come il Milan ama spostare i giocatori su tutto il campo senza badare alla loro posizione iniziale. Se però all’Inter questi continui scambi servono a palleggiare, ad avere tante linee di passaggio attorno alla palla, a risalire il campo con pazienza, le rotazioni del Milan puntano invece ad aprire gli schieramenti avversari, a disordinarli allontanando in particolare difesa e centrocampo, per creare gli spazi in cui far salire chi porta la palla. Semplificando, se i giocatori dell’Inter si avvicinano alla palla per associarsi e manovrare con pazienza, quelli del Milan si allontanano perché uno di loro deve avere lo spazio per avanzare. Non a caso il Milan è la squadra in Serie A che punta di più sul dribbling (441 completati, quasi cento in più della seconda in classifica, l’Atalanta) e che, tra quelle di vertice, ha completato meno passaggi (l’Inter invece è terza dopo Lazio e Napoli).

Theo avanza e si porta dietro il suo marcatore, creando lo spazio per la discesa di Leão.

A cambiare il Milan sono ovviamente le caratteristiche di chi si fa largo tra i titolari fin dalle prime partite. Tonali si rivela da subito indispensabile a centrocampo coprendo porzioni enormi di campo con un’intensità impensabile, sia quando deve far salire la squadra (quarto per conduzioni in avanti) sia quando pressa (primo per pressioni portate). Maignan, oltre ad affermarsi come il miglior portiere del campionato, cambia la fase di costruzione del Milan per la qualità con cui calcia e riesce a raggiungere ogni zona del campo. La squadra di Pioli coinvolge ancora di più il proprio portiere (solo quelli di Fiorentina e Sassuolo hanno tentato più passaggi dei portieri del Milan), specie contro le squadre più aggressive che vanno a pressare in parità numerica le prime linee milaniste, e può permettersi di alzare il baricentro perché ha un portiere che copre le spalle ai difensori, uscendo ogni volta che ce n’è bisogno.

Poi c’è Rafael Leão, il giocatore più decisivo e influente a livello offensivo, quello che ha realizzato più gol (11, come Giroud), più assist (9), che ha tentato e completato più dribbling (in questo è primo in assoluto in Serie A), che ha trascinato più volte il Milan in avanti con le sue conduzioni, che ha tirato di più e creato più occasioni. È a partire dalle sue ricezioni che si sviluppa la manovra sulla sinistra; i compagni gli creano spazio attorno e lui può ricevere largo, non importa se di spalle o rivolto alla porta avversaria, se in isolamento o con più avversari vicini. Leão come rifugio in ogni situazione, il compagno che risolve i problemi e fa risalire la palla, che crea, rifinisce e conclude. Una scorciatoia così efficace da porre il Milan davanti a un dilemma: da un lato la tentazione a cercarlo sempre, a lasciare ci pensi lui, specie nelle giornate più difficili, dall’altra il rischio di diventare prevedibili e di dargli troppe responsabilità.

Ogni squadra è il riflesso dei momenti di forma dei propri giocatori più importanti, ancora di più una come il Milan, costruita attorno al talento nei duelli di ogni singolo giocatore, sia quando attacca sia quando difende. Tra la fine di novembre e gennaio una lunga serie di infortuni e assenze di vario tipo indeboliscono le ambizioni milaniste. Arrivano le sconfitte contro Fiorentina, Sassuolo e Napoli e si rivedono i vecchi difetti: la fragilità difensiva (11 gol subiti nelle 7 partite tra la pausa di novembre e quella natalizia), l'inconsistenza offensiva contro squadre che comprimono gli spazi e costringono il Milan a una circolazione più paziente.

Pioli allora corre ai ripari. Avanza Kessié sulla trequarti, sia per migliorare il pressing sul primo possesso avversario, sia per riempire meglio l'area. D'altra parte il Milan attacca soprattutto dalle fasce e in particolare a sinistra, e occupare meglio in area, vista la facilità con cui Theo e Leão arrivano sul fondo, sia dalla fascia che dal corridoio interno, è fondamentale per alzare la pericolosità offensiva. Alla prima occasione da trequartista, a Empoli prima di Natale, Kessié segna una doppietta e il Milan vince per 4-2, ma si rivela un’illusione. Da trequartista Kessié toglie troppo alla squadra in termini di creatività, di inventiva e precisione negli scambi, e non riesce a compensare con il contributo dato al pressing e con gli inserimenti.

A occupare il centro dell’attacco nel frattempo sono rientrati Giroud e Ibrahimovic, che si muovono all’opposto rispetto a Rebic. Vanno incontro e non in profondità, e incoraggiano il Milan a uscire velocemente dalla propria metà campo, alzando la palla sul centravanti. Il talento di Giroud nelle sponde e negli scambi stretti viene un po’ sacrificato per aiutare i compagni ad attaccare come gli riesce meglio, in verticale senza tante combinazioni e passaggi interlocutori prima della rifinitura. Se Giroud o Ibra vincono il duello aereo, un compagno può attaccare subito la difesa avversaria fronte alla porta, se lo perdono il recupero alto dà modo ai rossoneri di ripartire con lo schieramento avversario sbilanciato. Il Milan non riesce a liberarsi dei propri limiti. La squadra di Pioli riesce a trarre poco dai suoi uomini offensivi a parte Leão, soprattutto dal trequartista e dall’altro esterno, quello a destra (con 5 gol e 2 assist Messias fa comunque meglio di Saelemaekers), e va incontro a un periodo in cui segna pochissimo.

I risultati ne risentono solo in parte (tre vittorie per 1-0, tra cui quella a Napoli, e due pareggi per 0-0 tra marzo e aprile), perché nel frattempo la difesa diventa solidissima, una delle migliori in Europa. Un po’ per le circostanze (gli infortuni di Kjaer e Romagnoli), un po’ per un’intuizione che risale alla fine del 2020, quando lo aveva spostato da terzino destro a difensore centrale, Pioli inserisce Pierre Kalulu tra i titolari e da un momento all’altro il Milan inizia a non subire più gol. Solo 2 nelle ultime 11 giornate, entrambi in partite poi ribaltate contro la Lazio e il Verona.

Da una parte ci sono gli interventi di Pioli, sempre attento a cambiare a seconda degli avversari, a regolare altezza della pressione e uscite in base agli avversari, a correggere gli errori. Se ad esempio all’andata contro il Napoli la sua squadra aveva sofferto la posizione di Zielinski, spesso libero di ricevere dietro i mediani rossoneri, al ritorno, in uno scontro diretto ancora più importante, il Milan si presenta con un mediano (Tonali) e due mezzali (Kessié e Bennacer) per pressare meglio il triangolo centrale avversario, mentre Tomori e Kalulu restano vicini e gestiscono a turno Osimhen. Se uno dei due viene attirato fuori posizione e Osimhen scappa alle sue spalle, c’è sempre l’altro a seguirlo e a contrastarlo.

Dall’altra sono state proprio le qualità di Kalulu a migliorare la tenuta difensiva del Milan. Al netto di accorgimenti specifici per avversari pericolosi come Osimhen, un risultato raggiunto credendo ancora di più nelle proprie idee, accettando con più convinzione i duelli, prendendosi ancora più rischi, come ammesso dallo stesso Pioli: «Non prendere gol è molto importante. Mi sorprende un po’, anche perché noi per il nostro modo di giocare ci prendiamo qualche rischio in fase difensiva… Siamo cresciuti tutti e dobbiamo continuare con questo atteggiamento».

Kalulu aggressivo su Cabral, dopo che qualche secondo prima Tomori era arrivato fino alla trequarti per pressare Duncan. Quante squadre in Italia accettano di far uscire così in alto i propri difensori centrali?

Come Tomori, anche Kalulu è aggressivo in marcatura, non ha paura di spezzare la linea e di giocare d'anticipo sull'avversario, ed è veloce nei recuperi se viene superato. È cioè un altro difensore che ama la sfida con l’avversario, che si esalta nei duelli, che ha insomma le caratteristiche ideali per inserirsi in un sistema che ragiona poco di reparto, in cui è più importante essere aggressivi, stare vicini agli avversari, più che tenere la linea e le distanze. Un difensore che in coppia con Tomori riesce a minimizzare i rischi che il Milan accetta quando difende.

È un cambiamento non solo tattico ma di mentalità. Una squadra considerata incostante, con la tendenza a naufragare nei momenti difficili, diventa solida, matura, cinica, capace di reggere qualsiasi urto e consapevole che le basta poco per girare le partite a proprio vantaggio. Apparentemente un paradosso se si pensa che il Milan è la squadra più giovane ad aver vinto lo scudetto nell'era dei tre punti (o forse bisognerebbe solo riconsiderare la retorica per cui la mentalità e l'esperienza siano perfettamente sovrapponibili), ma è proprio così che è stato raggiunto questo risultato. Sorprendendo, ribaltando i giudizi più critici, buona parte dei quali le venivano rivolti dai suoi stessi tifosi, avendo coscienza dei propri limiti e guadagnando in consapevolezza e fiducia un mattoncino alla volta, una partita dopo l'altra, una vittoria importante dopo l'altra (il Milan è la squadra ad aver fatto più punti nel mini-campionato tra le prime otto della classifica).

Senza smettere mai di credere alle proprie idee e al proprio calcio, e anzi portandolo ancora più al limite, andando avanti per la propria strada mentre le sue rivali inciampavano e restavano indietro.

Tutti i dati citati sono di StatsBomb per FBref.

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