«Io mi lego agli ambienti, la mia carriera è fatta di conquiste sul campo, andate a vedere la storia. Io mi sono conquistato la prima divisione sul campo e l’anno dopo ho scelto di allenare nella mia città, a Siracusa, in interregionale, triplo salto mortale all’indietro. Poi sapete che c’è? Sono arrivato in Serie B. Ma non perché qualcuno mi ci ha messo, ma perché ho vinto i campionati, quindi vedete che le scelte di Auteri non sono mai state orientate né dal fatto economico, né dalla carriera. Sono sempre state orientate ai valori, i valori di lealtà, rispetto, giusta programmazione. Si fanno le cose che si possono fare ma si lavora insieme»
Gaetano Auteri, Benevento, giugno 2016, discorso di dimissioni dopo aver vinto il campionato di Serie C e aver rinunciato all’ultima occasione di allenare in B della carriera
Dopo giorni in cui la società aveva messo in vendita la squadra per la cifra simbolica di un euro e si temeva per l’iscrizione al prossimo campionato di Serie C, il 6 luglio il Messina ha annunciato il nuovo allenatore con un breve videoclip. Le telecamere lo inquadrano di taglio: occhiali da sole a goccia, capelli brizzolati e mossi che sembrano impastati dal sale, borsa in mano, abbronzatura inappuntabile e una polo bianca di U.S. Polo Association che lo trasforma in una figura a metà tra un ricco avvocato in villeggiatura e un ammiraglio della capitaneria di porto. Le ultime tre stagioni saranno anche andate male, ma se si parla di stile non c’è ancora competizione con Gaetano Auteri tra gli allenatori italiani.
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A chi non segue la Serie C, magari il nome di Auteri dice poco e niente. In carriera di rado ha superato i confini del Mezzogiorno e ha allenato in B solo in due occasioni, l’ultima volta quasi dieci anni fa. Chi lo ha avuto come allenatore della propria squadra, però, non può essere rimasto indifferente al suo passaggio. Poche figure, nelle serie inferiori del calcio italiano, creano dibattito più del tecnico siracusano. Per i suoi estimatori è un allenatore raffinato, garanzia di un calcio fresco e verticale, più meritevole di molti suoi colleghi di categorie superiori, migliori di lui solo per diplomazia. Per altri invece è il solito esteta con manie di protagonismo, il cui carattere rissoso ha contribuito ad accrescerne la fama più dei risultati.
Di certo, però, Gaetano Auteri è un allenatore autoriale, per ciò che propone in campo e per il modo in cui si presenta. Le dispute sul suo effettivo valore sono un indicatore del suo successo: se nella città in cui allena si crea dibattito intorno ad Auteri, allora la stagione sta andando bene e ci sono prospettive per il futuro. Se invece il suo passaggio desta indifferenza, l’annata è mediocre e Auteri nel giro di poche settimane è destinato a cambiare squadra. "Don Tano", come viene chiamato, non è allenatore da convivenza tranquilla, dove l’ambiente accetta i limiti della squadra e si accontenta. Per avere successo, Auteri deve convincere giocatori e pubblico di non essere inferiori a nessuno, di avere il gioco migliore del torneo e di poter battere chiunque grazie ad esso. Ecco perché negli ultimi tre anni tra Catanzaro, Bari e Pescara c’è stato sempre un esonero di mezzo: in tutti e tre i casi, ad un certo punto, i dubbi hanno sovrastato la fede cieca nei propri mezzi e il progetto è morto lentamente.
Il calcio italiano per sua natura è conservatore: lo è in Serie A, figurarsi nelle categorie inferiori. È per questo che, a livelli più bassi, gli allenatori-architetti spesso diventano delle figure folcloristiche, profeti la cui parola è destinata a rimanere sacra solo in sperdute località della provincia italiana, meglio se al sud, dove la devozione verso personaggi simili assume tratti più pittoreschi. È molto comodo creare stereotipi intorno a questo tipo di figura, perché in fondo il grande pregio della tradizione calcistica italiana è sapersi adattare alle contingenze, e quindi la convinzione innegoziabile nelle proprie idee viene percepita come qualcosa di estraneo, o comunque inusuale: si resta attaccati alle proprie idee per narcisismo, il gioco come un brand con cui vendersi, senza badare agli aspetti pratici, la ragione per cui, secondo la vulgata, molti di questi allenatori non fanno mai il salto ai livelli più alti.
È un’etichetta che qualcuno potrebbe appiccicare anche ad Auteri. Se però si gratta sotto la superficie degli stereotipi, la parabola dell’allenatore di Floridia è molto più interessante: ci parla di un allenatore dalle idee vincenti, tutt’altro che eteree – in bacheca vanta un campionato di C2 col Gallipoli e due di Serie C1 con Nocerina e Benevento – che però non ha quasi mai avuto occasioni in Serie B, e che all’indomani di campionati vinti ci ha messo poco a piantare in asso le società e a fare un passo indietro per la propria carriera.
Negli ultimi vent’anni, in Serie C nessuno ha toccato i picchi estetici delle squadre di Auteri – una bellezza, è bene ribadirlo, abbinata a campionati vinti – e di sicuro in pochi hanno saputo mettere sulle spine presidenti, direttori sportivi e giornalisti più di lui. Ecco perché una storia come la sua merita una riflessione: ci trasporta nelle viscere del calcio del meridione, col peso della tradizione di squadre e tifoserie a condirlo di nostalgia anche quando si parla del presente, e al contempo ci mette davanti a una figura che, per quanto focosa e metodica, considera il calcio una priorità solo fino ad un certo punto.
«Tre difensori che si aprono non sono facilmente attaccabili»
Per associazione di idee, il primo concetto legato al nome di Gaetano Auteri è il suo 3-4-3. A parte poche variazioni, sono vent’anni ormai che l’allenatore siciliano imposta le sue squadre a partire da questo modulo. Stagione dopo stagione, Auteri ha sempre saputo confermarsi come uno dei tecnici migliori della categoria e, più che dai numeri sulla lavagna, la sua longevità dipende dal modo in cui ha saputo mantenere al passo coi tempi i propri principi. Per alcuni aspetti, anzi, è stato un precursore.
Auteri aveva sperimentato per la prima volta il 3-4-3 a Ragusa, a metà anni ‘90, in Serie D. Doveva preparare una trasferta a Rosarno, in Calabria, ma non sapeva come schierare i suoi per via delle numerose assenze: «Sabato, per la rifinitura al campo, mi metto a fare la somma tra squalificati, febbricitanti, indisponibili eccetera. Mi dico: “l’unico modo in cui li posso mettere in campo per valorizzarne le caratteristiche è se ci mettiamo a tre dietro e a tre davanti”». Si tratta di un’epifania, ma solo momentanea. Nonostante i suoi vincano 2-0, Auteri, infatti, non dà continuità a quella felice intuizione e a inizio anni 2000 è uno dei tanti allenatori italiani devoti al 4-4-2. A cambiare definitivamente la sua visione, però, ci pensa un altro tecnico siciliano, Pasquale Marino.
Nell’estate del 2002 Auteri diventa allenatore del Crotone, Serie C1. Ha già vinto un campionato di Serie D con l’Igea Virtus, dove ha portato alla ribalta un attaccante eoliano con un passato da muratore, e dopo un buon piazzamento in C2 e la chiamata dell’Avellino in C1, si ritrova a Crotone, con ambizione di lottare per la B. In precampionato gli squali affrontano in amichevole il Foggia di Pasquale Marino, allora in Serie C2. Marino dispone i suoi con il 3-4-3 e Auteri, che fatica a schermare la fase di costruzione dei tre difensori, intuisce le potenzialità di quella disposizione: «Questi si mettono, allargano il gioco a tre, mentre io in quel momento giocavo 4-4-2. Si aprivano con i tre centrali. In amichevole non prepari le partite, neanche sapevo come giocavano loro. Comunque, mi ritrovo in questa realtà e i miei giocatori, non addestrati, fanno fatica ad andare a prenderli. Cominciano a prendermi campo. Quell’amichevole finì 0-0, giorni dopo mi sono messo a studiare le soluzioni».
È così che il 3-4-3 diventa l’intelaiatura delle squadre di Auteri, anche se è il primo a ribadire che i numeri «sono delle grandi stupidaggini», mentre «il gioco dev’essere un filo conduttore». Su YouTube c’è una piccola gemma di otto minuti in cui Auteri spiega perché abbia deciso di giocare in un certo modo. Non è facile interagire con lui ai microfoni: perde la pazienza facilmente, mette in discussione l’intelligenza degli interlocutori e se la sua squadra perde rischia di degenerare in lunghe requisitorie contro gli arbitri. Se però decide di parlare di calcio, è veramente piacevole starlo ad ascoltare, per la calma e la chiarezza con cui espone i concetti a lui cari. Il filmato risale agli anni della Nocerina, tratto da una televisione locale campana. Il format del programma è piuttosto particolare: in quella che sembra la classe di una qualsiasi scuola media/superiore, con tanto di cartina fisica dell’Italia e con una decina di spettatori-studenti stipati tra i banchi, Auteri si alza, prende il gesso e va alla lavagna. L’allenatore di Floridia disegna una difesa a tre, inizia a parlare del proprio calcio e divaga, da come debbano comportarsi i suoi esterni di centrocampo senza palla al fatto che la Juve di Conte attaccasse con ben nove giocatori, «e quindi perché lo dobbiamo chiamare 5-3-2?».
La parte più interessante del suo discorso, però, riguarda i principi che lo hanno portato a non prescindere mai dai tre centrali e dai tre attaccanti. «Tre difensori che si aprono e prendono l’ampiezza del campo non sono facilmente attaccabili, in questo momento un grande esempio è la Juve», dice per spiegare i vantaggi della difesa a tre in fase di costruzione, con riferimento all’uscita bassa di Conte. Dalla fase di possesso si passa a quella di non possesso e allora i pregi della difesa a tre riguardano le coperture preventive e la chiarezza dei riferimenti. Auteri afferma che c’è bisogno di tre uomini in copertura preventiva. Se avesse scelto la difesa a quattro avrebbe potuto mantenere lo stesso tre giocatori bloccati, con un terzino libero di alzarsi, ma avrebbe rischiato errori di posizionamento: uno dei due terzini deve capire quando rimanere dietro; quello che resta bloccato, poi, deve stringere rispetto ai centrali e la difesa deve scivolare. Insomma, i movimenti della difesa a quattro sono più elaborati e rischiano più facilmente di creare equivoci, mentre con la difesa a tre le zone da occupare sono di più immediata lettura. I tre difensori, quindi, rendono sostenibili i tre attaccanti, necessari «per tenere in uno stato d’allerta gli avversari»: dall’esigenza di garantirsi coperture preventive e di intimidire l'avversario, nasce in maniera deduttiva il 3-4-3 di Auteri.
È difficile collocare in una famiglia di pensiero calcistico l’allenatore siciliano. Non è un calcio verticale e senza controllo come quello di Zeman, ma è più diretto e libero nei movimenti rispetto a un classico gioco di posizione. Con il sistema di Conte, emulato in maniera stucchevole nel girone meridionale di Serie C, condivide l’idea di partire da dietro e avvicinare le punte per fare il velo, ma poco altro; con quello di Gasperini ha in comune il modulo e gli sviluppi con i rombi sulle fasce, ma non c’è la stessa fluidità di posizioni né il forte riferimento sull’uomo in fase difensiva.
Dietro le idee di Auteri c’è una forte impronta personale, unica nonostante la categoria e la poca fama. Ha creato qualcosa di artigianale, un gioco suo e solo suo, che ha retto bene alla prova del tempo, pur con i dovuti aggiornamenti. Già quindici anni fa ad Auteri interessava avere un’uscita dal basso pulita, per quanto poi, col tempo sia diventata più sofisticata. Allo stesso modo, era moderna l’idea di far stringere le ali al centro tra le linee o di far spaziare incontro la punta per tirare fuori posizione i centrali. Nel carnet di Auteri più di dieci anni fa c’era già l’idea di addensare uomini sul lato palla per arrivare al cross e far chiudere l’azione all’esterno del lato debole, forse la giocata distintiva degli ultimi cinque anni di Serie A.
Le squadre di Auteri conoscono tanti modi per arrivare in porta. L’idea è di controllare la partita attraverso il pallone, ma al contempo poche squadre in Serie C giocano in transizione meglio delle sue, un po’ per le qualità atletiche richieste ad alcuni interpreti, un po’ per l’intenzione di sgravare di lavoro difensivo gli attaccanti, come mi rivela Luca Gentili, suo preparatore dei portieri a Nocera: «Auteri agli attaccanti non richiedeva un grande sacrificio nei rientri, li faceva tornare al massimo fino a centrocampo, non li faceva raddoppiare sui terzini. Dovevano tenersi pronti come punto di riferimento dopo la riconquista. Così erano anche freschi e potevano sfruttare le loro qualità in fase offensiva».
Non è per tutti praticare il calcio di Auteri, servono caratteristiche precise: terzi centrali abili in conduzione, esterni di centrocampo di buon piede e puntuali in entrambe le fasi, tre attaccanti capaci di abbinare tecnica e lettura degli spazi. La punta centrale non può concentrarsi solo sull’area di rigore, deve saper accompagnare il palleggio e aprirsi in fascia per partecipare alle combinazioni di catena: non è un caso che con lui sia esploso un centravanti con i piedi da numero dieci come Gigi Castaldo. Le ali, invece, devono essere brevilinee e dotate in dribbling, in grado di ricevere anche di spalle tra le linee: grazie a lui sono fioriti molti di quei trequartisti e ali tipici del meridione, virtuosissimi con la palla ma che per carattere, costanza o mancanza di opportunità spesso rimangono nel limbo delle serie inferiori, circondati dalla fama di prodigi locali: Max Caputo, Lucas Longoni, Maikol Negro, Emanuele Catania, Nicola Strambelli, sono tutti nomi di mezzepunte che al grande pubblico non dicono niente, ma chi li ha visti giocare con Auteri vi dirà di certo che per talento meritavo molto di più della Serie C. Auteri li responsabilizza, li mette nel cuore del sistema, gli consente di toccare tanti palloni grazie alle combinazioni di catena e non si accontenta di giocate estemporanee: «Lavora più di reparto che individualmente. Però, dopo aver dato concetti di gioco chiari, lascia molto spazio, soprattutto agli attaccanti, non li ingabbia ma gli lascia molta libertà di lavorare all’interno del suo concetto di gioco» racconta Gentili. Con gli anni il calcio è cambiato, il modo di sviluppare il gioco è diverso, ma le idee dell’allenatore di Floridia sulle caratteristiche dei giocatori sono rimaste pressoché invariate, basta volgere lo sguardo al passato.
La prima vittoria tra i professionisti, il triplo salto mortale all’indietro e il capolavoro di Nocera
Il primo trionfo di Auteri tra i professionisti risale al 2005/06. Vincenzo Barba è un imprenditore e parlamentare pugliese e nella sua testa ronza l’idea di portare il Gallipoli per la prima volta in Serie B. I giallorossi hanno appena raggiunto la Serie C2 e il presidente affida la squadra proprio ad Auteri. È una rosa di assoluto livello per la quarta serie, con soprannomi altisonanti ai limiti della blasfemia, come ad esempio "il Maradona dell’Etna" Giuseppe Pagana o "il Re Leone" Riccardo Innocenti. «Lui faceva un 3-4-3 ultra offensivo – mi racconta Ciccio Esposito, esterno sinistro di centrocampo e specialista dei calci piazzati di quel Gallipoli – I due di centrocampo erano Di Pietro e Pagana, che prima era un trequartista. Davanti c’erano Innocenti, Castillo e Clemente. Con loro tre e Pagana dietro tu in pratica avevi quattro attaccanti». Di questa schiera di nomi, il più noto è di sicuro Nacho Castillo, argentino ma pugliese d’adozione (oltre al Gallipoli, ha vestito anche le maglie di Brindisi, Lecce e Bari); avrebbe assaporato la A con la Fiorentina di Prandelli e il Bari di Ventura, ma non ha dubbi su chi lo abbia segnato di più nel suo percorso: «Ho avuto tanti allenatori bravi, ma penso che Gaetano Auteri sia stato un'ispirazione per me», ha detto dopo aver preso il patentino a Coverciano.
Il Gallipoli fa carne da macello del girone C di Serie C2: vince il campionato con tre giornate d’anticipo, col miglior attacco e la miglior difesa. Auteri rimane alla guida dei giallorossi anche in C1. La stagione non va secondo i piani: il Gallipoli non lotta mai per la promozione, Auteri a metà campionato viene esonerato e poi richiamato nel giro di una settimana. Alla fine porta a casa un anonimo undicesimo posto, così al termine della stagione la sua strada e quella di Barba si separano. L’annata è stata deludente, ma Auteri ormai è un nome affermato in C, le offerte non dovrebbero mancargli. A quel punto, però, imbocca la via più inaspettata: non solo non mantiene la C1, ma addirittura torna in Serie D, nella sua Siracusa, «triplo salto mortale all’indietro» come lo definirà qualche anno dopo. Una decisione controintuitiva, all’apparenza masochista, e non sarà l’ultima nella sua carriera. Di sicuro è una scelta di cuore, dettata da un amore profondo verso la sua terra. Un articolo di Gazzetta raccontava addirittura di come Auteri si mettesse in prima persona a seminare l’erba nelle zone di campo più spoglie, perché, a suo dire, «se il terreno di gioco sembra una sterpaglia, la città che figura ci fa?». Auteri resta in Sicilia per due stagioni. Alla seconda riporta il Siracusa in C2 dopo quattordici anni. In realtà non fa neanche in tempo a finire il campionato: a inizio marzo, con quattordici punti di vantaggio sulla seconda, rassegna le dimissioni per dissapori con la dirigenza. «Non condivido certe scelte da parte della società, non mi trova d'accordo il modo in cui arriva a prendere certe decisioni. Per questo motivo, lascio il Siracusa. Vado via, sapendo di non creare grossi problemi, perché questa squadra ha ormai vinto il campionato».
Auteri sa di avere le spalle abbastanza larghe da potersi permettere scelte così radicali. Qualche mese dopo, infatti, si accorda con il Catanzaro e ritorna tra i professionisti, in C2, una stagione conclusa in tragedia, con una finale playoff persa in maniera farsesca, che però nell’estate del 2010 gli vale la chiamata della Nocerina, ripescata in C1 per la stagione 2010/11.
Ai nastri di partenza, la Nocerina di certo non è la favorita per la vittoria finale, forse non è nemmeno nel lotto delle candidate ai playoff. È tornata in C1 dalla porta di servizio del ripescaggio e non ha di certo acquistato nomi di grido: il più importante è Castaldo, fino ad allora punta con bei guizzi ma mai in grado di raggiungere la doppia cifra. Per il resto, gli altri acquisti non concedono molto alla fantasia dei tifosi: dal Catanzaro Auteri si porta i difensori De Maio e De Franco e il centrocampista Alessandro Bruno; dalla C2, arriva anche Scalise, l’esterno destro del 3-4-3, reduce da una stagione da metà classifica ad Olbia. Dalle retrocesse Pescina e Potenza, invece, giungono Maikol Negro ed Emanuele Catania, a completare il terzetto offensivo con Castaldo. Nessuno di loro aveva mai fatto la differenza ad alti livelli in Serie C, ma da subito si capisce che con Auteri hanno trovato il sistema giusto per affermare il proprio talento.
Che la Nocerina faccia sul serio si capisce a fine ottobre. Alla settima giornata, i rossoneri fanno visita alla Cisco Roma, intanto rinominata Atletico Roma, prima in classifica a punteggio pieno e con zero gol subiti fino a quel momento. Per il tecnico di Floridia è la sera della vendetta, perché proprio contro la Cisco Roma aveva perso i playoff alla guida del Catanzaro. Al Flaminio è una lezione di calcio della squadra di Auteri, la sera dell’affermazione di Negro come uno dei migliori giocatori del campionato, inarrestabile coi suoi dribbling per la difesa avversaria: sul secondo gol beffa il terzino con un aggancio zidanesco sul lato corto dell’area, poi lascia di sale un altro difensore grazie al baricentro basso e infine scaglia il pallone sotto la traversa. Solo un rigore generoso tiene in vita l’Atletico Roma, la Nocerina vince per 3-2 e da quel momento non si ferma più. I molossi azzannano il campionato e lo vincono addirittura con quattro giornate d’anticipo.
Un tiranno illuminato
La Nocerina 2010/11 rappresenta tutto il meglio del repertorio di Auteri, in campo e non solo. I rossoneri giocano un calcio spettacolare, fatto di triangolazioni, occupazione massiccia dell’area, esterni che raggiungono il fondo con facilità irrisoria e giocate di puro talento dei tre davanti. Auteri, però, fa la differenza non solo sul campo, ma anche nella costruzione della rosa, grazie a un occhio straordinario nella selezione dei giocatori. Gli piace interagire coi dirigenti e partecipare alle scelte di mercato. Come i migliori allenatori-architetti, è solito portarsi dietro giocatori dalle sue squadre precedenti per impiantare meglio il suo sistema: come detto, Franco, Di Maio e Bruno erano suoi uomini a Catanzaro. Soprattutto, però, sa pescare da zone meno nobili della classifica, tutti quegli acquisti dalla bassa C1 o addirittura dalla C2 non sono una novità per lui. Auteri riconosce il valore dei calciatori a prescindere da quello della squadra in cui militano. In Serie C, spesso la strada più battuta per vincere i campionati è acquistare nomi dal grande passato in terza serie o addirittura dalla B, come hanno fatto Ternana e Bari negli ultimi anni.
Auteri, come tutti i migliori allenatori, sa farsi comprare i grandi giocatori, tuttavia gli piace scommettere su nomi con poco appeal, convinto che il suo calcio possa valorizzare individualità fino a quel momento rimaste nell’ombra. Dopo anni di anonimato, tanti nomi di media o bassa Serie C grazie a lui si sono ritrovati a lottare per la vittoria. È difficile, in terza serie, definire in maniera assoluta il valore di un giocatore: a volte basta cambiare contesto per dimostrarsi all’improvviso di un gradino ben più alto rispetto a quello in cui si giocava l’anno prima. Il fatto di affiancarli a calciatori di alto livello per la categoria, capaci di valorizzarne al meglio le giocate, e di costruirgli intorno un sistema perfetto per le loro caratteristiche, è il motivo per cui tanti giocatori senza un grande curriculum con Auteri raggiungono l’apice della propria carriera, scoprendosi di una caratura inaspettata. Ed è anche il motivo per cui molti di loro si legano all’allenatore siciliano, nonostante il carattere burbero - «È un allenatore che non ti dà soddisfazioni, non ti dice mai un “bravo”», mi racconta Esposito. Christian Riganò, noto oltre che per il suo talento per i suoi trascorsi nei cantieri, non ha dubbi su chi abbia dato un’altra dimensione alla sua carriera e al suo impegno nel calcio, ai tempi dell’Igea Virtus negli anni ‘90: «È stato lui a volermi a Barcellona (Barcellona Pozzo di Gotto nda), mi fece capire che dovevo allenarmi in modo diverso per diventare un professionista, credeva in me, era molto esigente e io non ero abituato a quelle fatiche».
Riganò lo aveva conosciuto a venticinque anni, non più in età verde. Di solito è più facile incidere sul modo di stare in campo di calciatori giovani. Il grande pregio di Auteri, però, è di aver modellato il gioco di tanti calciatori in età matura, delle volte con piccoli accorgimenti che cambiano totalmente il loro modo di interpretare le situazioni. È una questione di carisma, perché di certo deve essere più facile persuadere gli altri con quella voce calda e arrochita dalle sigarette ultra slim e con quella forte cadenza siciliana che però non scade mai in dialettismi. Probabilmente, però, è anche merito della semplicità e della limpidezza con cui sa trasmettere i principi del proprio calcio: vale quando parla in TV e, a maggior ragione, sul campo di allenamento. Esposito, che lo ha raggiunto a Gallipoli a trentacinque anni, mi svela un particolare su come abbia cambiato il suo modo di difendere: «Sul triangolo dell’ala destra con l’attaccante, che manda nello spazio l’ala destra, io terzino sinistro di solito mi giravo per andare a ostacolare la corsa dell’ala, mettevo il gomito e spingevo quel tanto che bastava; certo, se l’arbitro se ne accorgeva… Auteri però mi disse “fai come ti dico io e ti troverai meglio”. Sul triangolo non dovevo ostacolare la corsa, ma chiudere il corridoio di passaggio tra centrale ed esterno. In questo modo non vedevo l’ala, cosa avrei fatto se l’attaccante avesse lanciato alto alle mie spalle? Lui mi disse: “se un passaggio filtrante è basso, ad arrivare impiega un secondo e mezzo. Se è un lancio alto ne impiega tre, perché poi c’è il controllo”. Infatti in questo modo avevo il tempo di chiudere sull’ala. Ebbe ragione lui con me a trentacinque anni».
In alcuni casi Auteri non si limita a lavorare su dettagli specifici, ma gli piace proprio cambiare ruolo ai suoi uomini: Giovanni Di Lorenzo, ad esempio, era un’ala di grande atletismo, ma senza particolari spunti. È di Auteri, a Matera nel 2016/17, l’intuizione di arretrarlo a esterno a tutta fascia, con compiti da terzino in fase difensiva, segnando la strada per la carriera di un futuro campione d’Europa. «È molto piacevole vedere quando cambi l’orientamento di un ragazzo, di un atleta, anche di un calciatore grande – confessa Auteri stesso - Quando vedi consapevolezza, attitudine, rettitudine, impegno: queste sono cose che mi appagano. Se poi sono stato bravo a migliorare alcuni giocatori perché gli ho fatto capire l’importanza di alcune cose ne sono quasi fiero».
Il mercato e il modo di stare in campo dei giocatori, però non sono gli unici aspetti su cui ad Auteri piace mettere mano. Ad esempio, circola la leggenda secondo la quale, per quanto sulla carta nel suo staff ci sia un preparatore atletico, in realtà sia lui ad occuparsi della preparazione, con sedute estenuanti come suggerivano le parole di Riganò. Più che sostituire il preparatore atletico, ad Auteri in realtà piace agire in maniera supplementare, come racconta in una lunga e interessante intervista insieme a Gianni Simonelli, altro grande nome delle panchine di C: «Il preparatore atletico lo devi avere, però mi piace avere coscienza di quello che faccio», dice con lo spirito dell’allenatore che vuole avere il controllo di tutto ciò che circola intorno al proprio lavoro, da “tiranno illuminato” come aveva scritto Emiliano Battazzi qualche anno fa in un articolo su Marcelino Garcia Toral. Esposito mi racconta di come, finito il lavoro stilato dal preparatore atletico, Auteri facesse percorrere altri giri di campo per testare la resistenza massima dei giocatori. Il pallone è il principale protagonista del suo calcio, ma dietro c’è un grande sforzo atletico: «A livello organico è l’allenatore che ci ha fatto soffrire più di tutti – dice Esposito – martedì di ritorno dal giorno di riposo facevamo subito aerobico, il mercoledì mattina palestra e nel pomeriggio corsa esplosiva. Il giovedì rischiavamo di perdere anche contro la Beretti, perché eravamo veramente distrutti».
L’orgoglio di Auteri
Interpellati sul loro passato con Auteri, è difficile trovare suoi ex giocatori che ne parlino male. In Serie C sono stati pochi gli allenatori più vincenti di lui. Ma allora, con tutti questi pregi e con un calcio così sofisticato, com’è possibile che Auteri abbia allenato solo per una manciata di partite in Serie B?
Di certo ci saranno problemi legati al campo, perché non esiste sistema di gioco infallibile e anche Auteri si sarà imbattuto in difficoltà di natura tattica. Tuttavia, c’è la sensazione che ad inceppare la sua carriera ci sia stato altro. Innanzitutto le tempistiche della sua affermazione: oggi sono sempre di più, in Italia, i presidenti che, per valorizzare al meglio la rosa, abbracciano il progetto di un allenatore con idee ben definite e offensive. All’epoca di Auteri, invece, era raro imbattersi in quel tipo di tecnico, soprattutto ad alto livello. C’è da giurare che se il suo 3-4-3 fosse esploso negli ultimi cinque anni invece che a metà anni ‘00, allora anche lui si sarebbe guadagnato una panchina prestigiosa.
Ma al di là delle occasioni, ci potrebbe essere qualcosa di più profondo ad averlo separato dai piani più alti del calcio italiano: il suo carattere. Auteri è come le sue migliori squadre: ha una sicurezza di sé smisurata, prende ogni situazione di petto e lavora solo alle condizioni che stabilisce lui. È il motivo per il quale riesce ad avere voce su mercato o preparazione atletica e che lo porta sempre ad avere garanzie solide nei rapporti con presidenti e dirigenti. Per questo, da fuori c’è la netta impressione che Auteri non si metterà mai ad elemosinare una panchina.
Il lato oscuro di un carattere così forte, però, è che può precludere occasioni speciali, anche quando sono state già conquistate. Nel 2016/17 Auteri avrebbe potuto tornare per la terza volta in B. Si era guadagnato la promozione con il Benevento, dominando il girone C di Serie C dall’inizio alla fine. A giugno 2016, però, non aveva neanche avuto il tempo di festeggiare che aveva già indetto una conferenza stampa per rassegnare le dimissioni da allenatore delle "streghe".
I sanniti vivevano una situazione societaria particolare. Lo storico presidente Oreste Vigorito in estate aveva fatto un passo indietro per lasciare la società in nuove mani. Vigorito, ancora main sponsor del Benevento, rimaneva comunque il principale finanziatore dei giallorossi, ma la nuova dirigenza, rappresentata da Fabrizio Pallotta, non aveva faticato a inimicarsi Auteri a stagione in corso. "Don Tano" impone l’aut aut: o lui con Vigorito di nuovo presidente, o la dirigenza dell’epoca. La situazione non si sblocca, così si arriva alla conferenza stampa di fine stagione, dove in un passaggio, con la voce quasi rotta dall’emozione, dice che non è facile rinunciare a una Serie B conquistata sul campo.
Vigorito alla fine ritorna in carica, ma non richiama in panchina Auteri, disposto a tornare con lui. A Benevento arriva Baroni, e la storia dà ragione a Vigorito, visto che i giallorossi raggiungono la promozione in Serie A al primo tentativo. È retorico parlare di giustizia nel calcio, sport crudele per definizione, per la scarsità degli eventi nei novanta minuti e per i risultati corti. Auteri, però, un’occasione l’avrebbe meritata più di tutti. L’ossessione di Vigorito per la B risaliva al 2006, anno in cui aveva rilevato il Benevento: in dieci anni aveva sempre allestito grandi squadre, ma quasi ogni anno finiva per perdere i playoff in maniera sanguinosa. Anche Auteri si ritrova una rosa di valore, ma riesce nell’impresa di dominare un campionato di altissimo livello, dove le concorrenti sono il Lecce e il Foggia di De Zerbi. Con l’ex allenatore del Sassuolo nasce una faida in stile WWE: sfiorano la rissa nel parcheggio dello stadio di Benevento, con Auteri che a parole dice di voler chiarire col più giovane collega, ma che dentro muore dalla voglia di polemizzare, se non di passare alle maniere forti. In una conferenza stampa, poi, De Zerbi si mette a sindacare sulla carriera di Auteri e gli ricorda di quando, nel giorno della promozione della Nocerina in B a Foggia, prese uno schiaffo da Don Pasquale Casillo, storico patron dei pugliesi.
Dopo il divorzio dal Benevento, col precedente delle dimissioni dal Siracusa, sarebbe facile prendere la carriera dell’allenatore siciliano come l’esempio delle possibilità che ci si preclude ogni volta che si dà troppo peso all’orgoglio (una costante della sua storia, visto che Auteri confessa di aver concluso la sua carriera da calciatore a trent’anni nonostante avesse sul tavolo dei contratti; continui problemi alle ginocchia gli impedivano di rendere come avrebbe voluto, e per coerenza ha preferito farsi da parte). Sarebbe ingenuo, però, cercare una morale nelle vicende di qualcuno che non si conosce, soprattutto se non si sa niente dello stato d’animo di quella persona. Non ho mai avuto modo di parlare con Auteri, posso dire però che dà l’impressione di essere tutto meno che una persona con dei rimpianti legati al proprio carattere.
Dalle interviste, dalla serenità con cui scandisce ogni parola, sembra anzi un uomo che gode a pieno della sua vita, senza limitare i suoi orizzonti al calcio: lo si intuisce quando parla del sud, della sua Sicilia in particolare, oppure quando, in una suggestiva intervista di presentazione del Bari, rivela i suoi segreti su come cucinare uno spaghetto integrale alla cicoria, dicendo ormai di essere diventato pratico ai fornelli, «con un pizzico di vanità», come non manca di aggiungere. Se è quel pizzico di vanità ad averlo tenuto lontano da palcoscenici più grandi, d’altro canto è l’ingrediente che ci ha regalato un personaggio così unico, con una considerazione di sé talmente forte da renderlo, all’apparenza, imperturbabile ai rimpianti – e le parole dei suoi ex giocatori non fanno che giustificare quella considerazione di sé.
Dopo l’addio al Benevento, Auteri non trova una vera contendente per la Serie B e allora cerca di costruirsi una nuova occasione sulla panchina del Matera. Aveva già allenato i lucani nel 2014/15, ma la squadra del 2016/17 è una delle sue migliori opere. Auteri ritrova Maikol Negro e anche un altro trequartista dal mancino delizioso come Strambelli, senza dimenticare il già citato Di Lorenzo. Il Matera chiuderà quella stagione al terzo posto, concedendosi uno 0-3 a domicilio al “Via del Mare” di Lecce e un 2-6 al “Granillo” di Reggio Calabria. Alla fine la B rimane un sogno, ma difficilmente a Matera dimenticheranno l’ebbrezza di quell’anno con Auteri.
Quel pomeriggio al Flaminio
C’è un’altra città dove Auteri non è riuscito a vincere, ma ha comunque lasciato un segno profondo nell’animo della gente, per qualcuno amore ancora vivo, per altri il ricordo di una passione ardente, che però pian piano è soffocata.
Chi fosse Gaetano Auteri, l’ho saputo nell’estate del 2009, quando è diventato allenatore del Catanzaro, in Serie C2. L’anno prima, i giallorossi avevano perso in maniera drammatica il quinto playoff della propria storia (adesso abbiamo raggiunto la quota di undici) in semifinale contro il Pescina, anonima squadra abruzzese che da lì a un anno si sarebbe sciolta. In panchina c’era Nicola Provenza, allenatore con un passato da chirurgo e oggi in parlamento come deputato del Movimento 5 Stelle. Provenza praticava un calcio reattivo, il Catanzaro aveva la miglior difesa del campionato e aveva mantenuto l’imbattibilità quasi fino alla fine della regular season. Dopo una sconfitta così tragica, contro un avversario inferiore come il Pescina, con cui sarebbe bastato pareggiare in casa per vincere il confronto, c’era afflizione intorno al Catanzaro. L’arrivo di Auteri è stato una scossa di corrente che ha rivitalizzato la passione, nonostante non ci fosse una società dietro la squadra.
Personalmente, non ho mai visto il Catanzaro giocare così bene come in quella stagione, era impossibile non innamorarsi. Un 3-4-3 travolgente, guidato nella prima parte di stagione dal "Conte" Max Caputo, seconda punta napoletana con un passato da comparsa nel Brescia di Baggio. Per puro estro, Caputo è il giocatore migliore passato da Catanzaro dopo Giorgio Corona. Partiva da ala destra per rientrare sul mancino; brevilineo, aveva una tecnica impressionante, declinata in tunnel, agganci in cui sembrava avere il Bostik sul collo del piede e tiri da fuori area che si infilavano all’incrocio. Da tifoso di una squadra che da anni, ormai, di grandi vittorie ne vede poche, veder giocare per qualche mese Caputo nel sistema di Auteri è stata una delle soddisfazioni più grandi. Ricordo in particolare una partita di fine novembre 2009, proprio contro il Siracusa, la squadra del cuore di "Don Tano". Il Catanzaro vince 3-1 ed è un’esibizione totale.
Il gol del 2-0 è una meraviglia, puro calcio di Auteri per il modo in cui si combinano movimenti coordinati e talento individuale. Ci sono tutti i principi del tecnico siciliano: combinazione di fascia, scambi di posizione, il giocatore più arretrato che si lancia dietro la difesa dalla seconda linea. L’ala sinistra Lucas Longoni collassa sul lato destro del campo e riceve vicino al lato corto dell’area. Caputo si propone qualche metro più dietro e riceve sul sinistro. Nel frattempo, dalle retrovie, l’esterno destro Dicuonzo si lancia senza palla verso il fondo, sorprendendo così la difesa siracusana: la corsa di un giocatore lontano è più sorprendente e difficile da assorbire rispetto a quella di un giocatore già avanzato, un principio cardine del calcio di Auteri. Caputo trova Dicuonzo con una palla in diagonale. Mentre l’esterno arriva sulla palla, Longoni fa un movimento a mezzaluna alle sue spalle e Dicuonzo si inventa un tacco con cui lo libera davanti al portiere. Longoni controlla e segna senza alcun disturbo.
Di rado si assiste a gol così in Serie C. Il pubblico era in delirio, il Catanzaro era primo in classifica con un vantaggio rassicurante sulla seconda; ricordo la curva, a fine partita, cantare “la capolista se ne va”. Poi però crolla tutto, si intuisce che squadra e tecnico non bastano a nascondere le falle di una società inesistente. A gennaio Caputo rescinde il contratto e va alla Cisco Roma, una diretta concorrente. La Juve Stabia rimonta e vince il campionato, il Catanzaro si deve accontentare dei playoff.
Si arriva alla finale della post-season, Catanzaro-Cisco Roma. Cinquemila tifosi catanzaresi invadono il Flaminio. All’epoca non esisteva una piattaforma tv per la Serie C, non ho mai visto immagini di quella partita e credo che non lo farò mai in vita mia: il Catanzaro perde 4-0. In una storia segnata, in epoca recente, da fallimenti societari e playoff persi in modo tragico, quello è stato forse il giorno più umiliante. Non era possibile che quella squadra si sciogliesse così. Come detto, alcuni dei calciatori del Catanzaro – De Franco, Di Maio e Bruno – avrebbero vinto il successivo campionato di C1 con la Nocerina; Ciccio Corapi, titolare nei giallorossi, si sarebbe affermato come un giocatore da B o da alta Serie C; Longoni e Mosciaro, gli attaccanti, per quanto non abbiano avuto una gran carriera, quell’anno erano nettamente due dei migliori giocatori del campionato. Da lì a poco il Catanzaro sarebbe fallito: non c’era più il becco di un quattrino, negli spogliatoi mancava addirittura l’acqua calda e Auteri stesso, a suo dire, si era prodigato per comprare un boiler a proprie spese. In molti hanno espresso dubbi sulla regolarità di quella partita. Non c’è stato mai alcun verdetto che lo certificasse, ma non esiste sulla faccia della terra tifoso del Catanzaro che non pensi che quella partita sia stata venduta. «Quel venerdì fu drammatico per i giocatori, perché credettero che i soldi non sarebbero mai arrivati – ha raccontato Auteri – Cercai di scherzare nell’immediata vigilia della gara perché avevo capito che la tensione per questa vicenda era troppo alta. Erano troppo tesi e alcune cose accadute non sono spiegabili». Tre stagioni dopo Auteri torna a Catanzaro da allenatore della Nocerina, squadra gemellata con i giallorossi. Il “Ceravolo” accoglie lui, Bruno e De Franco con uno striscione inequivocabile: «Amicizia per la città di Nocera, odio agli infami che oggi indossano la maglia rossonera».
Non sarà l’ultima volta dell’allenatore di Floridia in Calabria. Auteri infatti torna a Catanzaro nell’estate del 2018, per il suo secondo mandato sulla panchina delle "aquile". Stavolta il Catanzaro è una società solida, niente dubbi sugli stipendi. Nelle speranze dei tifosi giallorossi, il suo ritorno è la chiusura di un cerchio. Auteri non può fare a meno di tornare con la mente a quel pomeriggio del Flaminio: «Dieci anni fa partimmo con 220 paganti alla prima di campionato e finimmo con quasi 5mila catanzaresi al Flaminio di Roma a giocarci la promozione. Quella partita fu un disastro, davvero, a distanza di tutto questo tempo non trovo ancora parole per spiegarmela. Dicono che qualche giocatore abbia addirittura preso dei soldi, non lo so e ormai non mi interessa. Quello che so è che sette o otto giocatori fecero degli errori pazzeschi, mai visti, era un gruppo allo sbando purtroppo».
Auteri ha un conto in sospeso. Dopo un inizio balbettante il Catanzaro inizia a giocare come da sua richiesta. In quel girone C di Serie C c’è anche il Trapani di Vincenzo Italiano, ma non c’è dubbio su quale squadra pratichi il miglior calcio. A metà campionato il Catanzaro sembra l’unico possibile ostacolo tra la Juve Stabia prima in classifica – i ricorsi della storia – e la Serie B. A febbraio arriva lo scontro diretto al “Menti” di Castellammare. Al Catanzaro mancano tutti i titolari in attacco, ma non c’è partita: in campo c’è solo il Catanzaro, la Juve Stabia è uno sparring partner. Nonostante le palle gol, il punteggio non si sblocca, ma all’86’ i calabresi guadagnano un calcio di rigore. È l’occasione che potrebbe riaprire la lotta per la promozione diretta. Sul dischetto si presenta Luca Giannone.
Giannone è una seconda punta mancina di grande tecnica, per alcuni guizzi ricorda Max Caputo, napoletano come lui. È arrivato a Catanzaro su richiesta di Auteri, il classico talento di metà classifica che spera di poter trasformare in un giocatore decisivo per la vittoria. Giannone, però, ha la malsana idea di tentare un cucchiaio centrale, a pochi minuti dal novantesimo, nella partita più importante della stagione. Il portiere della Juve Stabia resta fermo e blocca la palla senza alcuno sforzo. Da quel momento, il secondo Catanzaro di Auteri non sarà più lo stesso: chiude il campionato al terzo posto e perde ai playoff con la Feralpisalò per un cross scoccato da fondo campo negli ultimi minuti, con la palla che forse era già uscita. Il Catanzaro 2018/19 sarà l’ultimo picco, fino ad ora, della carriera di Auteri. Perderà l’occasione di tornare in B su altre due panchine diverse, a Bari e a Pescara: nessuna delle due sarà mai davvero una sua squadra. In Abruzzo, la scorsa stagione, ad un certo punto abbandona il suo 3-4-3 per passare al 3-5-2, che in Italia è sempre un po’ una coperta di Linus quando le cose non funzionano.
Tifare una squadra di Serie C spesso significa scendere a patti con la certezza di dover inghiottire tanti bocconi amari. Quest’anno il Padova, che ha perso la finale playoff per la B col Palermo, ha lanciato la sua campagna abbonamenti con un claim che racchiude perfettamente lo spirito con cui seguire la categoria: «Ti amerei anche se vincessi». Se vincere è difficile, tanto più con una formula playoff veramente senza senso, che costringe ad affrontare un secondo campionato, per sopravvivere alle delusioni bisogna sempre conservare con cura ogni piccolo momento di gioia. Dal punto di vista del tifoso, allora, Auteri sa essere un allenatore in grado di scolpire pomeriggi nella memoria: un calcio così divertente non può lasciare indifferenti, è sempre un buon incentivo a guardare la partita. Di campionati e playoff se ne possono perdere; di certo, però, non c’è mai amore perduto se la squadra, grazie al suo allenatore, rende un po’ più orgoglioso e felice chi la segue. Se Auteri saprà ritornare quello di qualche stagione fa, magari i messinesi non raggiungeranno la B, ma avranno comunque momenti da ricordare, col brivido di tifare una squadra d’autore, che sul campo fa qualcosa di unico.