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(di)
Giuseppe Pastore
Storia di un odio
24 gen 2018
24 gen 2018
Ricordo della rivalità tra Roy Keane e Patrick Vieira, che sfociò nella famosa rissa nel tunnel di Highbury nel febbraio del 2005.
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Giuseppe Pastore
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«Describe Patrick Vieira. What was his biggest strength?»


«He was tough. Very, very, very, very, very tough»


«And what was his biggest weakness?»
«I don't think he was as tough as me»
(intervista a Roy Keane, “Best Enemies”, ITV, 2013)




 

Per chi scrive, l'aggettivo

è una delle parole più rappresentative e simboliche della lingua inglese. È una sola sillaba ed è tanto efficace che sembra l'onomatopea di un suono teso e affilato, un dito che scorre su una lama, un colpo di coltello, allo stesso modo di

per qualcosa che esplode o

per un allenatore che borbotta a bordo campo. Un suono secco e aspro, come una frustata, che si può prolungare a piacimento lasciando sibilare tra i denti quella specie di “effe” finale per un tempo indefinito, magari fissando negli occhi l'avversario a trenta centimetri di distanza. Era esattamente questo l'ideale di calcio di Roy Keane, uno di quei britannici che fanno del pallone una questione di vita, o della vita una questione di pallone, che poi è la stessa cosa. Avendo bisogno fisico di avversari che fossero il più possibile

, Keane ha passato gran parte della sua vita a cercare il "Nemico Perfetto", con la caparbia disperazione dell'assetato nel deserto. Ne ha individuati parecchi, coltivando altrettante rivalità con la meticolosità del giardiniere, ma alla fine li ha scartati, o annientati, quasi tutti. Un altro era suo amico ma lui ha voluto lo stesso trasformarlo in nemico, ed è quello per cui si è giocato il posto al Manchester United: provateci voi a mettervi sulla strada di Alex Ferguson. Uno solo se l'è ritrovato per caso sulla strada, e come succede per ogni grande coppia è stato amore a prima vista, questione di opposti che si attraggono. Perché, pur nella sua infinita

, non poteva esserci persona più diversa di Patrick Vieira.

 

Fuori e dentro il campo, Vieira è sempre sembrato una persona molto più serena e risolta di Keane. Era l'imprescindibile colonna di marmo di un Arsenal grande e narciso che senza di lui sarebbe stato spazzato via dal fiume in cui usava specchiarsi, ma non rinunciava alla proverbiale

wengeriana: francese nato in Senegal da madre capoverdiana, è stato uno dei simboli dell'integrazione tra bianchi e neri, essendo ambasciatore FAO e uno dei primi ad alzare la voce con l'UEFA in materia di razzismo. Proprio come Keane interpretava il ruolo di

con serietà da monaco ed era l'anima di quello United che dava il meglio di sé quando si trovava spalle al muro nei dieci minuti finali, Vieira era il biglietto da visita di quell'Arsenal che, quand'anche costretto a esibire forza bruta, non rinunciava mai all'eleganza e al piacere di farsi guardare. Keane e Vieira hanno mantenuto distanze chilometriche anche nel post-carriera, che ovviamente per entrambi è consistito nello spostarsi di qualche metro dal campo alla panchina. Roy ha avuto esperienze deludenti a Sunderland e Ipswich e ora si accontenta di fare il viceallenatore dell'Irlanda, attaccando briga più coi giornalisti che con altri; Pat associa da un anno il suo nome a un altro marchio estremamente à la page come quello del Manchester City, gestendo le sorti del New York City, la controllata dai Citizen nella Major League Soccer.

 

Keane è indiscutibilmente quello col cappuccio del boia. Nell'immaginario collettivo Vieira l'ha sempre passata liscia rispetto al più efferato rivale, anche se i numeri direbbero il contrario: con 77 ammonizioni e 8 espulsioni il francese è il nono giocatore più cattivo della storia della Premier, mentre Keane è “solo” tredicesimo.

 

Vieira detiene, insieme a Zlatan Ibrahimovic, l'invidiabile record di essere stato espulso in Champions League con tre maglie diverse (Arsenal, Inter, Juventus). Anche Keane ha pagato a carissimo prezzo le sue rudezze anche a livello europeo: si limitò ad assistere da spettatore all'incredibile finale di Champions 1999 contro il Bayern Monaco perché in semifinale, da diffidato, aveva rimediato un cartellino giallo in quella che è considerata la più grande partita della sua carriera, la rimonta da 2-0 a 2-3 in casa della Juventus di Ancelotti. Era accaduto al Delle Alpi, lo stesso stadio in cui nel 1990 Paul Gascoigne aveva commosso l'Inghilterra intera: diffidato e ammonito in semifinale contro la Germania, era scoppiato in un pianto a dirotto dopo aver realizzato che avrebbe saltato l'eventuale finale. Ma quella sera di maggio nessuno versò una lacrima per

.

 



Keane è

. Anzi no, riformuliamo: Keane fa di tutto per essere

, e se potesse lo sottolineerebbe ogni volta che apre bocca. L'episodio clou della sua carriera, l'agguato premeditato ad Haland, è un inno alla sgradevolezza. Riepilogo:

Keane si rompe fortuitamente il legamento crociato anteriore in un contrasto con il norvegese Alf-Inge Haland, che nella concitazione della partita pensa che Keane stia simulando per evitare di essere ammonito e gli si rivolge a brutto muso mentre lui si contorce a terra dal dolore. Decine di film di Scorsese, Sergio Leone e compagnia ci hanno insegnato che gli irlandesi non dimenticano. Haland passa al Manchester City e Keane

: sul risultato di 1-1, a pochi minuti dalla fine, gli entra a sangue freddo sul ginocchio destro, rimediando un cartellino rosso diretto dinanzi al quale non abbozza la minima protesta. Viene punito con 5 mila sterline di multa e tre giornate di squalifica, a cui se ne aggiungono altre cinque nel 2002, quando Keane scrive nella sua

autobiografia che si era trattato di un intervento premeditato, alla luce di ciò che Haland gli aveva urlato quattro anni prima. L'episodio è passato alla storia come “

”, ma non è andata così. Haland terminò quella partita sulle sue gambe e giocò titolare anche nella gara successiva contro il West Ham, prima di chiudere in anticipo la sua stagione; poi l'anno dopo, effettivamente, giocò solo tre spezzoni di gara con il City retrocesso in Championship e la sua carriera finì lì. Ma lo stesso Haland, per quanto amareggiato e psicologicamente turbato dalle parole di Keane, ha scritto sul proprio sito Internet che non fu quel fallo a interrompergli la carriera, già compromessa per problemi cronici al ginocchio sinistro, neanche sfiorato dai tacchetti di Roy.

 

Prendiamo invece un episodio controverso della carriera di Vieira: il diverbio con Sinisa Mihajlovic in un Lazio-Arsenal di Champions League dell'ottobre 2000. Sappiamo bene che Mihajlovic non ha idee politiche di larghe vedute e quindi è credibile che gli abbia detto “negro bastardo, negro di merda, fottuta scimmia nera”, come denunciato nel post-partita da Vieira alla BBC e da Henry a Italia Uno. Ma allora perché non credere anche alla buona fede (se così si può dire) di Mihajlovic quando, ricostruendo l'accaduto, ammise l'espressione ma aggiunse che «ha iniziato lui chiamandomi zingaro di merda»? «La realtà è che non puoi dire certe cose in campo e poi andare a piangere da mamma o davanti alla tv», chiosò Sinisa. Keane, probabilmente, avrebbe annuito. Nonostante entrambi i giocatori avessero denunciato frasi razziste dalla controparte, l'UEFA punì Mihajlovic con due giornate di squalifica e assolse Vieira.

 


Una squadra che allignava in campo contemporaneamente Mihajlovic, Stankovic, Nedved, Veron e Simeone – con Fernando Couto purtroppo relegato in panchina - fu un buon termometro per misurare le pulsioni maligne dell'Arsenal.


 

È

, Vieira? Non proprio. In West Ham-Arsenal di FA Cup del 17 marzo 1998 viene alle mani a fine partita con Ian Pearce: 3 mila sterline di multa. In Sheffield Wednesday-Arsenal del 26 settembre 1998, la famosa partita in cui Paolo Di Canio si fa espellere per una spinta all'arbitro, mostra le dita a V ai tifosi locali che lo stanno insultando: 20 mila sterline di multa. In West Ham-Arsenal del 3 ottobre 1999 viene espulso per un fallo di Di Canio,

, infine ha un breve alterco con un poliziotto nel tunnel degli spogliatoi: sei giornate di squalifica e 45 mila sterline di multa, la più alta nella storia della Football Association. In Leeds-Arsenal del 26 novembre 2000 viene accusato di aver colpito Bakke con una testata e Dacourt con un calcio alla testa, due episodi entrambi sfuggiti all'arbitro. Assolto dalla prima accusa, viene multato di 10 mila sterline e squalificato per una giornata per la seconda. Nella famosa Man Utd-Arsenal del settembre 2003, su cui torneremo tra poco, viene multato di 20 mila sterline per aver ritardato l'uscita dal campo dopo l'espulsione e aver discusso con il quarto uomo. Tutta roba che fa il curriculum di un giocatore – com'è che si diceva? -

.

 



Roy Keane e Patrick Vieira si sono incontrati 19 volte in partite ufficiali: 5 pareggi, 6 vittorie di Vieira, 8 vittorie di Keane, che ha anche segnato più gol (3 contro 1) quando l'Avversario era in campo. I numeri pendono dalla parte dei Red Devils anche a livello di squadra: nelle magiche otto stagioni 1996-2004 in cui a tutti gli altri era proibito vincere il titolo (a spezzare l'incantesimo dovrà pensarci un uomo venuto da Setúbal, senz'alcuna traccia di rosso sulla maglia), lo United guida per 5 titoli a 3. Il Manchester United è l'unica squadra inglese della storia ad aver fatto il treble (1998-99); l'Arsenal è l'unica squadra inglese dell'era moderna ad aver chiuso un campionato senza sconfitte.

 

La rivalità Arsenal-Man Utd è resa ancora più memorabile dal fatto che in quel decennio entrambe le squadre, al contrario di un “banale” Inter-Juventus o Real-Barcellona, sanno di stare vivendo il momento più alto delle rispettive storie. Già l'incipit di questo romanzo è leggendario: la semifinale di FA Cup 1999, giocata in gara secca e senza replay sul campo neutro del Villa Park di Birmingham. Sul punteggio di 1-1 Keane falcia Overmars e rimedia la seconda ammonizione; a tempo scaduto Parlour si guadagna un calcio di rigore, ma Bergkamp si fa ipnotizzare da Schmeichel. Ai supplementari, in 10, il Manchester completa l'impresa: Vieira sbaglia un passaggio banale a centrocampo, Ryan Giggs ruba palla e così parte la sua celebre galoppata verso la gloria. In pochi attimi c'è già un compendio di tutta la futura rivalità filosofica tra le due squadre. Con il solito ghigno, Keane porrà anni dopo a Vieira una domanda retorica: ma perché nessuno dei tuoi compagni fu capace di stendere Giggs? Vieira abbozzerà, e ammetterà: «Voi dello United eravate capaci di vincere anche giocando male, noi invece dovevamo per forza giocare bene».

 


Qualche inglese lo chiama “the greatest goal ever scored”, facendo un uso notevole della memoria selettiva. Ad ogni modo, proprio come Enrique passò alla storia per aver fornito... l'assist a Maradona per il suo secondo gol all'Azteca nel 1986, qui a lanciare l'azione di Ryan Giggs è proprio Patrick Vieira.


 

Pochi mesi dopo arriva anche la prima rissa propriamente detta. Si gioca a Highbury, è agosto, è ancora inizio stagione ma i nervi sono già tirati come corde di un ring. A sei minuti dalla fine, sul punteggio di 1-1, Beckham accentua notevolmente un contrasto con Vieira, l'azione continua e Keane interviene malignamente con il piede destro sul ginocchio del francese, che in quel frangente non ritiene di dover applicare il precetto evangelico del porgere l'altra guancia. Parte un piccolo

di testate tollerato dal placido arbitro Graham Poll, che in tutta la scenetta riuscirà a non alzare un singolo cartellino. Non soddisfatto, Vieira si lancia anche in un testa a testa contro Jaap Stam, non esattamente il cliente più soffice tra gli altri 21 in campo. Piccola dimostrazione di cosa ancora si ostinava a essere la Premier di fine anni Novanta, prima che la globalizzazione la trasformasse in un circo globale certamente più spettacolare, a livello sportivo, ma anche infinitamente più politically correct.

 


Il giocatore che spinge via Vieira lontano dalle grinfie di Keane e Stam è il secondo irlandese dello United, Denis Irwin, l'anti-Keane per attitudine e comportamenti dentro e fuori il campo, estremamente stimato dal suo compagno di squadra.


 

Come in ogni straordinaria rivalità sportiva, l'eccitazione che prende alla gola le due squadre alla vigilia di uno scontro diretto nasconde soprattutto rispetto e ammirazione per le qualità che ognuno vorrebbe rubare all'altro. Nel 2002 per una volta – forse l'unica – l'Arsenal si comporta da United: per la vittoria aritmetica del titolo basterebbe gestire il pareggio a Old Trafford per poi festeggiare in casa contro l'Everton tre giorni dopo, ma l'occasione di trionfare a casa dei Diavoli è a portata di mano. Arriva uno 0-1 firmato Wiltord estremamente cinico, motivato quasi solamente dalla tentazione di essere padroni a casa loro.

 


Anche in questa partita non mancano i momenti tesi, come un proditorio calcione di Phil Neville a Wiltord – minuto 1:24 – che ci consente di apprezzare fugacemente anche il relativo apporto di Juan Sebastian Veron alla causa dei Red Devils.


 

La mutazione è in atto? Chi sta diventando cosa? Sta nascendo un ibrido più o meno mostruoso di nome “Arsenal United”? Dopo anni di sincera e cordiale antipatia, Keane e Vieira si sono ritrovati dalla stessa parte della barricata nell'estate 2012, assoldati da ITV per far parte della squadra di commentatori agli Europei di Polonia e Ucraina. Narra la leggenda che una sera a Varsavia Keane abbia rotto il ghiaccio offrendo un gelato a Vieira, e da allora i loro rapporti siano sensibilmente migliorati. Tanto che un anno dopo la stessa ITV ha avuto buon gioco a metterli a un tavolo per un documentario molto godibile dal titolo “Best Enemies”, tutto giocato sulla memoria e sul confronto a distanza. Messi di fronte a una lavagna, alla richiesta di comporre la Top 11 ideale di quel decennio irripetibile, Keane e Vieira si sono spartiti cinque giocatori a testa, trovandosi in disaccordo solo sul terzino sinistro (Keane voleva metterci Irwin, Vieira insisteva per Ashley Cole). Provvidenziale che non abbiano dovuto scegliere l'allenatore.

 



A un certo punto dello stesso documentario viene chiesto: “Chi è il miglior manager che tu abbia mai avuto?”. Sempre per omaggiare il suo lato spettacolosamente sgradevole, Keane lancia il fiammifero sulle sterpaglie con una risposta delle sue: «Senza dubbio... Brian Clough». Si sente la voce fuori campo dell'intervistatore, sinceramente stupito: «Not Sir Alex?». «Mi hai fatto una domanda, ho risposto», liquida lui la questione con tono categorico sapientemente calcolato.

 


Ecco l'intero documentario. La risposta su Clough arriva a 8:20 circa – divertitevi a scovare gli eventuali segnali involontari del volto.


 

Brian Clough non ha certo bisogno di presentazioni. Meno conosciuto è però l'episodio in cui le due carriere entrano in collisione: gennaio 1991, replay di terzo turno FA Cup tra Nottingham Forest e Crystal Palace, punteggio sul 2-1 per il Forest a un minuto dalla fine dei supplementari. Il 19enne Roy tenta un improvvido retropassaggio che costringe il portiere Crossley a un'uscita precipitosa; la palla finisce sui piedi di Salako, che da 40 metri beffa Crossley e porta la sfida a un ulteriore replay. Negli spogliatoi, davanti a tutta la squadra, Clough riserva a Keane una gragnuola di insulti che culmina in un pugno in faccia; il ragazzo è allibito e non ha la forza di reagire. «Sapevo quanto fosse sotto pressione e decisi che non avrei usato quest'episodio contro di lui», si legge a pagina 38 della sua autobiografia. E nel 2010 aggiungerà: «È stato l'esempio migliore che mi abbia mai dato. È giusto essere arrabbiati, la rabbia è un'emozione e fa parte del gioco. Se un tuo giocatore ti delude e tu non provi rabbia, forse questo lavoro non fa per te».

 


La 1990-91 è l'ultima edizione dell'FA Cup in cui sono previsti illimitati replay in caso di pareggio; dalla stagione successiva saranno introdotti i calci di rigore dopo il primo replay. L'errore di Roy Keane al 120' che condanna il Forest al secondo replay, poi vinto, è al minuto 0:52. Il Forest arriverà fino alla finale di Wembley, dove sarà sconfitto dal Tottenham.


 

Qual è il punto? Che probabilmente Vieira non ha una stima di Wenger troppo superiore, ma la dissimula alla grande. Innanzitutto, alla stessa domanda, risponde secco: «Arsène Wenger», senza pensarci troppo. E poi, lungo tutti i 56 minuti dello speciale, non fa che spargere miele sull'operato dell'allenatore alsaziano. Eppure, negli anni ogni tanto sono filtrate le critiche di Patrick verso l'immobilismo ormai sclerotico dei Gunners e verso lo scarso peso nell'Arsenal attuale delle glorie degli anni Novanta e Duemila, e circolano in libertà le voci su Vieira come possibile sostituto di Wenger in estate (insieme a Thierry Henry). Patrick più politico, Roy più prigioniero del personaggio? Alla classica domanda di definire Ferguson con un solo aggettivo, Keane risponde “ruthless”, spietato, che a pensarci bene è anche un modo – molto keaniano – di comunicare stima e ammirazione. La fine della storia tra Roy e lo United è paradigmatica del suo modo di essere. Attingiamo da

(2013) di Alex Ferguson, che a Keane dedica l'intero capitolo 9.

 

«La stagione precedente la nostra rottura iniziò a mostrare segni di calo fisico nello svolgimento dei suoi compiti difensivi. La soluzione fu quella di dirgli di stare nella zona centrale del centrocampo, da dove avrebbe potuto controllare il gioco. Pensava di essere Peter Pan, ma nessuno lo è. […] Poi ci fu l'episodio dell'intervista alla Manchester United Television, nella quale Roy se la prese con alcuni dei giocatori più giovani, che apparentemente non avevano fatto il loro dovere. […] Nell'intervista Roy descrisse Kieran Richardson come un “difensore pigro”, disse di non capire perché “gli scozzesi fossero pazzi di Darren Fletcher” e, a proposito di Rio Ferdinand, dichiarò: “Solo perché lo pagano 120 mila sterline alla settimana e ha giocato bene venti minuti contro il Tottenham pensa di essere una superstar”.
[…]

 

Più tardi, Roy venne da me e io gli dissi: So cos'è successo. Poi gli dissi del video: “Quello che hai detto nell'intervista è ridicolo, è una vergogna. Hai criticato i tuoi compagni di squadra e hai voluto farlo pubblicamente”. Roy suggerì che avremmo dovuto mostrare il video ai giocatori e lasciare che fossero loro a decidere il da farsi. Fui d'accordo, così chiamammo l'intera squadra a vederlo. […] Poi Roy chiese ai giocatori se avessero qualcosa da dire su quello che avevano appena visto. Edwin Van der Sar annuì, e disse a Roy che era stato fuori luogo criticare i suoi compagni. Così Roy lo attaccò: chi si credeva di essere? Che cosa ne sapeva lui del Manchester United? Van Nistelrooy si schierò con van der Sar, così Roy se la prese anche con lui. Poi passò a Queiroz, ma il meglio lo tenne per me».

 

Keane fu ceduto poche settimane dopo al Celtic Glasgow, nonostante – dice lui – si fosse mosso persino il Real Madrid per prenderlo a gennaio. Furono gli ultimi sei mesi della carriera, prima di iniziarne un'altra, non brillante, da manager. Ancora una volta sir Alex ci aveva visto giusto, persistendo nell'applicazione dei suoi principi-base per la gestione di uno spogliatoio: «Ai giocatori veri piace avere un allenatore duro, o che può essere duro; vogliono che sia un uomo vero, sanno che è meglio che sia così. I giocatori pensano: 1) Può farci vincere? 2) Può farci diventare calciatori migliori? 3) È leale con noi? Se la risposta alle tre domande è sì, allora sono disposti a sopportare qualsiasi cosa». Forse la rancorosa indifferenza di Keane per Ferguson nasce proprio dall'essersi sentito davvero umiliato dal vecchio allenatore, che ha osato metterne in discussione l'autorità morale e tecnica, di colpo e tutta insieme, a 34 anni. E anche dal passaggio in cui, tra le righe, Ferguson quasi minimizza il Roy Keane calciatore, riducendone il carisma e l'ascendente sul gruppo a una questione soprattutto verbale e comunicativa: «La parte più dura del corpo di Roy è la lingua. Ha la lingua più crudele che si possa immaginare. Potrebbe mettere in difficoltà il più sicuro degli individui, con quella lingua. Ciò che notai, discutendo con lui quel giorno, furono i suoi occhi, che cominciarono a farsi più piccoli, quasi fossero perline nere. Era inquietante. E io vengo da Glasgow».

 

Ma Patrick Vieira viene da Dakar, e agli occhi di Keane è quasi un alieno. Forse è proprio per questo che ha deciso di sceglierselo come suo miglior nemico, anche con un certo coraggio: un nemico più giovane, più imponente fisicamente, che raggiunge il culmine della carriera mentre Keane inizia a declinare. Nel 2002-03 Roy fa in tempo a vincere l'ultimo titolo, ma nulla può la sua squadra nel 2003-04 quando l'Arsenal vince la Premier senza perdere neanche una partita, guadagnando benzina e veleno dallo 0-0 nello scontro diretto a Old Trafford, con rigore sbagliato al 90' da Van Nistelrooy, subito circondato e quasi aggredito da mezzo Arsenal con il sangue agli occhi (ma tra di loro non c'era Vieira, espulso per doppia ammonizione dieci minuti prima per un fallo su cui Van Nistelrooy aveva pesantemente simulato – da cui la successiva reazione isterica). Una scena di tale disordine e foga agonistica che mostrò una volta di più quanto l'Arsenal, per arrivare al top, avesse dovuto manchesterizzarsi. E poi, ah sì, ci fu la faccenda del tunnel.

 


Qui tutta la scena, dall'azione che porta al rigore alla rissa finale. Come in un video di Spike Jonze, a 2:02 mentre tutto il mondo è fermo c'è Jens Lehmann che danza ipnoticamente sulla linea di porta – peccato si fosse ancora in un'epoca pre-meme.


 



Il 24 ottobre 2004 il Manchester United aveva sconfitto l'Arsenal 2-0 a Old Trafford, colmando gli 11 punti di differenza in classifica e ponendo fine alla serie-record di 49 risultati utili consecutivi dei "Gunners" con una prova di straordinaria intensità e applicazione difensiva, nonché con un

che si guadagna il rigore dell'1-0, conquistando i cuori dei tifosi appena alla sua quarta partita da Diavolo Rosso. Segue un post-partita elettrico che ha come momento clou un trancio di pizza afferrato da Fabregas dal buffet e lanciato all'indirizzo di Ferguson, centrato in pieno. In un delirio di "

cinicamente eseguiti da uno United con il dente avvelenato, particolarmente indemoniato era sembrato Gary Neville, uno dei soldati più fedeli di Keane nello spogliatoio dei Red Devils (tanto che lo stesso Ferguson insinuerà il dubbio che i due facessero combutta contro Carlos Queiroz, stimatissimo vice portoghese di sir Alex e mai troppo sopportato da Keane): in particolare, alcuni suoi tackle – forse premeditati - su José Reyes e Robert Pires hanno provocato l'insurrezione della "

, come viene chiamato quell'Arsenal per l'alto numero di transalpini.

 

La partita di ritorno si gioca martedì 1° febbraio 2005 e dopo quasi un decennio è la prima volta in cui il titolo non è più affare per nessuna delle due: l'Arsenal è secondo e il Man Utd è terzo, ma rispettivamente a -10 e -11 dal Chelsea di Mourinho che ha fatto il vuoto. Si gioca per il “qui e ora”, senza esclusione di colpi. Mentre Keane torna indietro di qualche metro per recuperare dal magazziniere Albert la fascia di capitano dimenticata in spogliatoio, alcuni giocatori dell'Arsenal circondano Neville,

: «Sentii alle mie spalle Vieira che urlava: Neville, Neville, you’re not going to kick our players out on the pitch». Vieira ha confessato che la provocazione a Neville era premeditata: era lui il “

”, l'anello debole dello United. Keane: «Vedo da lontano qualche dito puntato contro Gary e penso: Fanculo, lo stavano aspettando. Ok, andiamo». Pochi minuti prima gli è capitato sotto mano il match program, in cui si faceva riferimento a un'iniziativa di solidarietà promossa da Vieira in Senegal. Perciò entra in scena con un biglietto da visita oggettivamente sensazionale: «If you love Senegal so much, why don’t you fuckin’ play for them?». Di risposta Vieira lo colpisce con l'acqua della bottiglietta, dicendogli qualcosa tipo: «Non accetto lezioni da uno che ha mollato la sua Nazionale a due settimane dai Mondiali» (riferimento a quanto accaduto prima del Mondiale 2002, quando aveva litigato con il ct irlandese McCarthy nel ritiro coreano di Saipan ed era tornato a Dublino).

 

È la penultima stagione della storia dei Gunners a Highbury, stadio ormai fuori tempo: il tunnel è angusto e dà direttamente sul campo, dando persino modo a qualche fortunato spettatore di ascoltare dal vivo la scena. I due capitani vengono circondati dalle rispettive squadre, siamo a un millimetro dalla guerra atomica. Ma interviene l'arbitro, che è il solito Graham Poll: «Just leave it out, just leave it». Risposta di Keane, che è giusto lasciare in versione originale: «I fuckin' am, just let us out». Le immagini mostrano Vieira che torna indietro molto scosso, con Dennis Bergkamp che sembra un po' placarlo e un po' consolarlo, mentre Keane continua a provocarlo: «I'll see you out there!», ci vediamo fuori. Le espressioni dei due protagonisti fanno capire chi sia rimasto più condizionato e anticipano il risultato finale: l'Arsenal passa in vantaggio proprio con Vieira, ma uno United più impetuoso del solito vince meritatamente 2-4. «Se fossimo davvero venuti alle mani, probabilmente Patrick mi avrebbe ammazzato».

 



 

Fu l'ultimo scontro in campionato, il penultimo in assoluto. Si rividero al Millennium Stadium di Cardiff per la finale di FA Cup, malinconica fin nel risultato: 0-0, e si andò ai rigori. Tra i primi otto tiratori l'unico a sbagliare fu Paul Scholes, il che costringeva il nono tiratore nella scomoda posizione di non poter sbagliare, o avrebbe visto undici Gunners esultare sghignazzando alle sue spalle. Roy Keane fece il suo dovere, spiazzando Lehmann, e passò il testimone al decimo tiratore. Patrick Vieira aveva già maturato da qualche settimana la decisione di lasciare l'Arsenal dopo nove anni: andava per i trenta e dietro di lui stava crescendo impetuosamente un ragazzo, Cesc Fabregas, a cui Wenger aveva già idealmente affidato le chiavi del centrocampo. Se segnava era finita, se sbagliava si andava a oltranza: perciò si ritrovò a pensare che il suo ultimo tocco di palla con la maglia dell'Arsenal sarebbe stato enormemente glorioso o enormemente disastroso.

 

Mentre appoggiava con sicurezza oltraggiosa il suo ultimo pallone sotto l'incrocio, dando il via alla festa, non poteva immaginare che senza di lui l'Arsenal non avrebbe più vinto nulla fino alla FA Cup 2014, arrivando al massimo secondo solo una volta, nei 13 campionati successivi. O forse sì, lo immaginava: da capitano illuminato, sarebbe stato questo il modo migliore per farsi rimpiangere. Al contrario dell'arci-nemico, che se ne andò quasi come un ladro sei mesi dopo, “e tutto quel che feci fu piangere in macchina, da solo, per due minuti”. E il cono di luce che illuminò Vieira fino all'ultimo pallone fu quanto di più lontano dall'uscita di scena di Keane. Il commiato che Alex Ferguson ha voluto tramandare ai posteri è questo, più

che mai: «Poiché era un giocatore ormai in declino, il vuoto che lasciò fu minore rispetto a quanto sarebbe stato tre anni prima. Lo spogliatoio si rilassò: una sensazione di sollievo pervase la stanza».

 

 

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