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(di)
Tommaso Giagni
Storia di un autogol che non lo era
18 gen 2022
18 gen 2022
Quello di Nahuel Guzmán, detto El Patón.
(di)
Tommaso Giagni
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A ridosso del cerchio di centrocampo, un giocatore in neroverde lancia profondo verso nessuno. Il pallone sta per arrivare al portiere avversario, alto e in completo fucsia, più o meno all'altezza del dischetto del rigore, quando l'arbitro fischia la fine della gara. I compagni di squadra in maglia celeste smettono di correre e si disinteressano del pallone. Il portiere invece lo aspetta, lascia che rimbalzi sul suo ginocchio. Poi lo tocca col collo del piede, abbastanza forte perché si sollevi sopra la sua testa. Un compagno intanto si inginocchia sul campo per pregare. Un guardalinee, entrato in campo, passeggia tenendo gli occhi verso quel pallone sospeso. Il grosso corpo del portiere si leva da terra, colpisce in rovesciata e atterra mentre lo stesso pallone batte sull'erba. Un'acrobazia un po' sghemba, senza grazia. Disteso, il portiere resta a guardare la traiettoria proseguire e la rete gonfiarsi. L'intera scena è durata sei secondi. Non vale niente quell'autogol, nemmeno è un autogol perché il tempo è scaduto.


 


Ho intercettato il video di questa azione per caso, in un reel di Instagram. Nei commenti che ho scorso, non c'erano indicazioni sul contesto: quale partita fosse, quando fosse stata giocata. Il video mi è passato di mente, poi ci ho ripensato a distanza di giorni. Al momento di tornare a cercarlo su Instagram, però, non sapevo come fare. Avevo un ricordo utile: nei commenti al reel ricorreva un soprannome, “El Patón”, spesso accostato a insulti in spagnolo. Un commento si lamentava di quanto poco avesse meritato la nazionale argentina. Sono così risalito al portiere Nahuel Guzmán, detto appunto El Patón, “Piedone”, che calza il 48 ed è argentino di Rosario. Titolare tra i pali del Tigres UANL, gioca da anni nella massima serie messicana. Prima stava al Newell's Old Boys, di cui è tifoso, ma ho presunto che le immagini del video fossero recenti. Ho indagato in giro con più combinazioni di parole chiave, in più lingue, prima di arrivare alla partita giusta.


 

13 luglio 2021, l'Austin Football Club ospita nel suo Q2 Stadium – inaugurato un mese prima – i messicani del Tigres UANL. Un'amichevole estiva, disputata di sera per scampare al caldo del Texas. “History will be made on July 13”, la storia sarà scritta il 13 luglio, ha annunciato il sito ufficiale del club padrone di casa. La partita conta essenzialmente perché è la prima amichevole internazionale nel nuovo stadio. Il Tigres è un ospite di prestigio, una delle migliori squadre della Liga MX. Scende in campo in maglia celeste e non schiera le due stelle francesi: la leggenda André-Pierre Gignac e Florian Thauvin, arrivato in prestito dal Marsiglia da pochi giorni. L'Austin è alla sua prima stagione in Major League, ha come direttore sportivo Claudio Reyna, ex centrocampista del Manchester City e colonna della nazionale statunitense. Il primo tempo si chiude col Tigres in vantaggio di misura, il secondo si apre col pareggio dei neroverdi. Una doppietta in tre minuti di Nico López (il Nico López di Roma, Udinese e Verona) trascina i messicani alla vittoria finale per 1-3.


 

Ho trovato la partita, ho ritrovato l'azione. Di nuovo la rovesciata del Patón, la chilena, mi è sembrata avere qualcosa di magnetico. Cosa, volevo capirlo.


 

Di per sé, intanto, la rovesciata è la più avanzata combinazione di tecnica e atletismo che anima l'immaginario intorno al calcio. Il gesto più innaturale, e quindi più studiato: il gesto più nobile. Anche quando, ed è il caso del Patón Guzmán, l'impatto sporco fa pensare che il pallone vada nella direzione giusta quasi per caso. Se poi a compiere il movimento, cioè ad ascendere e capovolgersi in aria, è un uomo calcisticamente anziano e fisicamente tutt'altro che leggero, aumentano sia la mancanza di naturalezza dell'atto sia il fascino che esercita. Nahuel Guzmán ha trentacinque anni ed è alto un metro e novantatré, slanciato ma pesante. Ancora, c'è che al Q2 Stadium di Austin, il 13 luglio scorso, a produrre l'espressione massima del talento di un calciatore è stato un portiere. Buon cortocircuito, raro. Ma tutti gli elementi continuavano a non sembrarmi abbastanza per spiegare.


 

El Patón Guzmán è un'anomalia, una figura poco ortodossa in campo e fuori. Un buon portiere capace di arrivare in Nazionale (da terzo ha anche partecipato ai Mondiali 2018), eccezionalmente vistoso per il ruolo che la tradizione lega all'equilibrio e all'introversione. Teorizza: “Se ci sono spettatori è perché c'è uno spettacolo. Se c'è uno spettacolo è perché ci sono artisti o attori. E un po' noi [calciatori, nda] somigliamo a quell'attore che in scena si mette i baffi finti. A teatro o in campo, tutti ci trasformiamo”.


 

Si espone, è pronto a tingersi un arcobaleno sui capelli per supportare le lotte LGBT. Bravo con i piedi, Nahuel Guzmán a volte perde il pallone: in Messico hanno coniato l'espressione “nahueladas”, per descrivere questi errori. In generale lui attira sguardi, attira critiche, gli dànno del pazzo e allora rivendica: “Essere un po' pazzi ti tira fuori dai guai”. Un gol l'aveva segnato, negli ultimi secondi ma comunque durante una partita, nella Champions League del Nordamerica che il Tigres aveva vinto nel 2020. Un altro gol, in pallonetto da lunghissima distanza, l'aveva evitato contro il Cruz Azul nel 2017 in un modo che richiamava René Higuita: arretrando si era opposto alla traiettoria con uno stop di petto, che aveva lasciato il pallone sulla linea di porta. Proprio da Higuita, d'altronde, Guzmán ha detto di aver imparato a non temere i propri errori.


 


Foto di Alfredo Lopez/Jam Media/Getty Images


 

Poteva inventarla solo lui, quella rovesciata in Texas a gioco scaduto?


 

Il gioco scaduto: credo che il chiarimento sia qui. Il tempo si ferma e cambia il significato del gesto: cinque secondi prima sarebbe stato un autogol, avrebbe rappresentato un suicidio – “il gesto estremo”. Invece adesso la porta che doveva restare inviolata si può violare.


 

Forse la parola chiave è gioco, forse per Nahuel Guzmán non si tratta d'altro. Un gioco in senso stretto, fuori da quel “tempo di gioco” che nello sport professionistico coincide col tempo del lavoro. “Essere responsabili non significa sembrare seri”, ha detto El Patón anni fa. Di quanto sia giocoso dissacrare un tabù si potrebbe discutere.


 

Noi che guardiamo l'azione sappiamo che la sua acrobazia non ha valore sportivo – non sposta il risultato – ma sappiamo pure che un valore ce l'ha. A tutti noi, verosimilmente, è capitato di sentire quanto sia liberatorio dismettere il proprio ruolo, eludere le aspettative, ribaltare il banco – rovesciarlo. E allora una forma di liberazione possiamo proiettarla su quell'uomo che non ha il fisico adatto a una rovesciata ma la fa comunque, ed essendo un portiere dovrebbe salvare i gol invece di segnarli, e in campo dovrebbe guardare avanti e invece guarda indietro, al pallone che gonfia la sua rete.


 

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