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Diario triste di un tifoso milanista
24 mag 2023
24 mag 2023
Una stagione che si preannunciava tranquilla ha preso una piega tremenda.
(copertina)
IMAGO / Nicolo Campo
(copertina) IMAGO / Nicolo Campo
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Ho l'abitudine antica di comprare La Gazzetta dello Sport il giorno dopo una vittoria del Milan e di conservare la prima pagina o, nel caso in cui il successo sia molto importante, l'intero quotidiano. Metto i giornali nell'armadio pensando «prima o poi li incornicerò e li appenderò alle pareti», ma intanto li lascio impilati a impolverarsi e a scolorire dal rosa a uno spento giallastro-arancione. La settimana scorsa, dopo la brutta sconfitta contro lo Spezia, seguita a quella dolorosissima contro l'Inter in Champions League, ho sentito il desiderio di rileggere quei giornali. Forse avevo bisogno di una prova tangibile per ricordarmi che quanto successo fosse vero, che lo Scudetto vinto davanti all'Inter non era stata un'allucinazione collettiva, che eravamo davvero tornati in semifinale di Champions League dopo sedici anni.

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Quei titoli a pagina intera (Giroud. Il derby sei tu, Favoloso Milan), quelle iperboli (StraLeao, Paradiso Milan), quei calembour un po' telefonati (Milan da Diaz, Milan Leone) e soprattutto gli slogan forse troppo entusiastici (De Ketelaere un mago a San Siro) mi hanno detto che no, non stavo sognando, è accaduto davvero tutto, ma anche che la gioia, l'appagamento e la gratitudine sono sensazioni davvero troppo fugaci, da assaporare al massimo finché è possibile.

Dopo il godimento di un campionato vinto all'ultimo respiro davanti ai cugini nerazzurri con una rosa giovane, un calcio entusiasmante e una simbiosi quasi totale tra squadra, allenatore e pubblico, a essere sinceri per quest'anno da tifoso non avevo grandi pretese. O meglio: ero molto sicuro che il Milan di Pioli potesse migliorare ancora e lottare di nuovo per lo Scudetto, ma non dovevamo vincere a tutti i costi e questo pensiero mi regalava serenità. Mi sarei accontentato di un piazzamento tranquillo tra le prime quattro, di un altro passo avanti in Champions League (la conquista degli ottavi di finale, quindi) e magari di non vedere l'Inter raggiungere la seconda stella prima di noi. Fino alla pausa Mondiale, insomma, la stagione del Milan era davvero in linea con i miei obiettivi da tifoso, e non solo con quelli societari, come non smette mai di ricordare ironicamente la fascia contestataria (e ormai maggioritaria, quindi) del Milan Twitter. E invece il clamoroso crollo avuto dalla squadra in campionato nel 2023 e la congiunzione astrale del tabellone europeo sono riusciti in pochi mesi a far sfocare i ricordi del 2022 fino a renderli nebulosi, oscurati da uno spettrale mostro bicefalo, le cui due teste sono la mancata qualificazione alla prossima Champions League (probabilmente alla fine ci andremo, ma arrivando quinti per punti sul campo) e l'uscita dalla coppa stessa per mano dell'Inter (spalancando peraltro le porte della finale ai cugini).

Nel 2023 il Milan è undicesimo in Serie A con 28 punti in 20 partite, un crollo non ammissibile per la squadra campione d'Italia. L'occasione di cancellare tutto questo con un cammino storico in Champions League mi ha lasciato sospeso nell'illusione, ma adesso, con questa desolante eliminazione, è arrivato il momento doloroso di tornare sulla Terra, di rivedere la mia posizione di piolista di ferro, di interrogarmi sul futuro di questa squadra, di trovare un modo per navigare questa tempesta emotiva. Persino la vittoria contro il Napoli, a posteriori, sembra arrivata solo per infliggerci un’amarezza superiore.

Ho sempre contestato chi definiva il Milan di Pioli una squadra di miracolati, una one season wonder: non fai 86 punti in campionato e un finale di stagione come quello dell'anno scorso per caso. La retorica del Milan come Leicester d'Italia mi sembrava una favola che si raccontavano gli avversari pur di non riconoscere la forza delle idee dei rossoneri, il nostro ritorno ad alti livelli. E poi bastava vedere il percorso precedente (il ciclo di vittorie dopo il lockdown, il secondo posto del 2021) e in parte quello successivo (la semifinale di Champions League) per poter dire che facesse tutto parte di un percorso. Magari lo Scudetto era arrivato prima del previsto, ma il progetto del Milan era coerente. Insomma, datemi pure del Tuttaposter (altro termine inflazionato nella bolla velenosa del Milan Twitter), ma considerando da dove venivamo, cioè dalla terribile Banter Era, pur soffrendo per le figuracce di questa stagione, ho faticato molto a empatizzare con i tifosi rossoneri che auspicavano la cacciata di Pioli, e ho spesso litigato con chi, ai primi scricchiolii, subito saltava fuori con un «ve l'avevo detto, siete questi».

In fin dei conti, pensavo, su cosa valutiamo l'operato di un allenatore? Se analizziamo i risultati ottenuti, lo Scudetto inatteso dello scorso anno parla per lui e la semifinale di Champions League è comunque un traguardo eccezionale (certo, col senno di poi, ci saremmo risparmiati volentieri la sofferenza). Se consideriamo la valorizzazione dei giocatori, tantissimi di loro sono cresciuti sotto questa guida tecnica, e non solo quelli che promettevano già di essere molto forti come Leao, Theo Hernandez e Tonali, ma anche quelli che non sembravano da Milan come Calabria, Kessié o Krunic. Se infine guardiamo l'entusiasmo generato da questa gestione, i 75mila spettatori presenti in qualsiasi partita di qualsiasi giornata a San Siro sono la dimostrazione più manifesta della strada fatta dal Milan negli ultimi anni.

In questo momento concordano un po’ tutti nel considerare negativa la stagione del Milan, ma è davvero così? Il ritorno alle semifinali di Champions è un traguardo dal valore innegabile, anche forse a costo di arrivare quinti. E ora - con la penalizzazione della Juve - ci ritroviamo addirittura quarti (c’è poco da esultare, lo so, ma questo è). La stagione del Milan allora suona negativa soprattutto nelle sue proporzioni emotive, più che in quelle razionali. La sensazione di amarezza è comunque reale, soprattutto perché è difficile essere ottimisti, con questo finale di stagione. Come guardiamo al futuro?

Negli ultimi mesi, prima in quel gennaio horror e poi nei recenti inciampi in campionato, sono purtroppo venuti a galla tutti i problemi strutturali che prima, sulle ali dell'entusiasmo, il Milan aveva nascosto: l'assenza di ricambi all'altezza dei titolari (ma forse anche di qualche titolare adeguato), le difficoltà tattiche quando si affrontano squadre che difendono basse, i problemi di approccio nelle partite contro le piccole, la supponenza di chi ha vinto e, inconsciamente, crede di poter continuare a farlo per grazia ricevuta. In tal senso allora forse non è casuale quell’afflato di forza, energia e orgoglio che sono state le tre vittorie col Napoli, la squadra futura Campione d’Italia. Come se il Milan, di fronte a chi le stava per scucire lo Scudetto dal petto, avesse ritrovato un serbatoio estremo di motivazioni e nervi, assente in altri momenti.

Forse non è il momento di parlare di colpe - che sarebbero comunque da dividere in parti piccole.La dirigenza ha sbagliato il mercato, non riuscendo come negli anni passati a pescare giocatori adatti al sistema di gioco del tecnico (Thiaw è l'unica, parziale eccezione) e a sostituire un elemento fondamentale come Kessié. Maldini e Massara sono stati pure un po' precipitosi a rinnovare Pioli a stagione in corso, anche se in quel momento (fine ottobre 2022) non c'erano presagi di una crisi imminente, e con quella mossa volevano dimostrare la loro fiducia nei confronti dell'allenatore, un presupposto importante per lavorare con serenità.

I giocatori, dal canto loro, una volta capito che l'obiettivo Scudetto stava sfumando, hanno mollato un po' la presa in certe occasioni, prendendo sotto gamba tantissime partite che si sono poi rivelate decisive nel far precipitare la classifica del Milan (i pareggi in casa contro Salernitana, Empoli, Cremonese, le sconfitte a Firenze, Udine, La Spezia). Senza spingere al massimo, senza la dovuta intensità mentale, in molti si sono scoperti calciatori normali, persino limitati. Le discussioni sul reale valore della rosa del Milan, di moda dalla fine della scorsa stagione, sono tornate.

In tutto questo, ovviamente, è difficile non parlare di Pioli. Com'era stato il grande artefice dello Scudetto, bisogna allo stesso modo indicarlo tra i primi responsabili della crisi di quest'anno. I nuovi acquisti, è vero, non hanno mai dato segnali di vita, però se nessuno tra Origi, De Ketelaere, Adli, Vrancx, Dest ha mai funzionato, probabilmente qualcosa nella loro gestione è stata sbagliata. I confini tra le loro colpe e quelle del tecnico sono sfumati.

L'approccio alle partite è una cosa su cui l'allenatore può lavorare, e troppo spesso il Milan lo ha sbagliato, soprattutto contro squadre alla portata: non hanno aiutato i segnali lanciati dall'allenatore, come il turnover totale prima della doppia sfida al Napoli, preparata invece con una cura nei dettagli e un'organizzazione strategica e mentale perfette. Un disequilibrio che, paradossalmente, fa arrabbiare ancora di più noi tifosi.

E se a febbraio Pioli era riuscito parzialmente a risollevarsi rimescolando un po' le carte tattiche, ora il tecnico rossonero non sembra avere una soluzione per svoltare. Partite come quelle contro la Cremonese e lo Spezia sono sofferenze annunciate per il Milan e per i suoi tifosi, perché sappiamo che probabilmente faremo fatica a segnare e rischieremo, magari alla prima distrazione, di prendere gol. La squadra di Pioli ci aveva abituato a credere di poter far gol in ogni momento, anche all'ultimo minuto, mentre ora si percepisce la poca brillantezza, la stasi del Milan dell'ultimo periodo. Per non parlare, ovviamente, delle recenti sfide all'Inter, l'emblema della quasi totale mancanza di idee alternative e del dominio del contesto imposto agli scontri dalla squadra di Inzaghi. Basta un dato: negli ultimi nove derby, anche nei due vinti dal Milan, l'Inter è sempre passata in vantaggio, in cinque occasioni, addirittura, nei primi dieci minuti). Negli ultimi quattro derby (la Supercoppa, il ritorno di campionato e la doppia sfida europea), i rossoneri non hanno mai fatto gol all'Inter.

Il derby di andata di questa stagione, molto più di quello vinto con la doppietta di Giroud, mi era sembrato quello in cui avessimo finalmente spostato l'inerzia psicologica, oltre che tattica, di questo confronto. Non era stata una partita giocata in modo così brillante, ma il Milan era sembrato per molti aspetti superiore. Con lo sguardo di oggi somiglia invece a un fuoco di paglia. I problemi posti dai nerazzurri al Milan, dal movimento ad accorciare delle punte alle soluzioni per attaccare la loro difesa schierata, fino alla superiorità numerica a centrocampo, sono rimasti irrisolti per l'allenatore rossonero. Affrontare i derby sapendo che, molto probabilmente, andranno proprio come non vorrai, per un tifoso è una cosa difficilissima da accettare. Figuriamoci perdere con questa ineluttabilità fatalista un derby in semifinale di Champions. Dando peraltro all’Inter la possibilità di curare una ferita che a loro ha fatto male per vent'anni.

In questi mesi, poi, Pioli e il Milan sono stati un po' presuntuosi nell'affrontare le partite e la comunicazione con l'esterno. Dopo le molte brutte sconfitte, non ci sono mai state analisi profonde, ma anzi interrogato sulle ragioni di quelle debacle, l'allenatore ha spesso risposto in maniera un po' supponente, o sulla difensiva. Dopo il pareggio contro l'Empoli per 0-0 del 7 aprile, una delle tante partite in cui i rossoneri non sono riusciti a centrare i tre punti, Pioli ha detto di aver visto «la squadra che a me piace: determinata, con forza ed energia per tutta la gara, contro una squadra che generalmente palleggia molto bene, ma che oggi non ha mai superato la metà campo». Interrogato sul turnover, ha risposto che «forse ci si dimentica troppo presto che con quelli che voi chiamate i titolarissimi, abbiamo pareggiato in casa con la Salernitana», mentre sulla gestione del doppio impegno le sue parole erano state: «Quest'anno abbiamo perso qualche punto prima e dopo la Champions, ma tolto il Napoli, il Bayern Monaco e il Benfica (dovevano ancora uscire ai quarti, ndr), nessuno in Europa è riuscito a fare bene sia in campionato che nelle coppe europee». Un'analisi con dei fondamenti di verità, certo, ma che sorvolava su molti dei problemi del Milan, dall'incapacità di attaccare le squadre chiuse alla problematica gestione del turnover. Come se, per la squadra campione d'Italia, pareggiare in casa con l'Empoli sia nell'ordine delle cose. Al Milan, insomma, è mancata anche un po' di umiltà, che invece era stata una delle chiavi nel recente ritorno al vertice.

Detto tutto questo, da tifoso il più grande dispiacere è che questo finale di stagione così diabolicamente negativo stia scolorendo le emozioni provate lo scorso anno più velocemente di quanto sbiadiscono i titoli e le pagine della Gazzetta nel mio armadio. Il quinto posto e il disonore dell'eliminazione in semifinale contro l'Inter, cioè, non rischiano di sporcare solo il futuro prossimo del Milan, ma anche il suo passato recente, la sua memoria.

Certo, ci sono sempre quei giornali per rievocarli, e così i video in Piazza Duomo del 22 e 23 maggio 2022, le foto di me con i capelli tinti di biondo per festeggiare il titolo. Ci sono i ricordi di dov'ero, con chi ero, come ho vissuto ogni passaggio di questa risalita: i rigori contro il Rio Ave con la televisione che diventa nera al momento dell'ultimo tiro, la salita in bicicletta per festeggiare il ritorno in Champions League, le lacrime dopo Milan-Spezia 1-2 e la conseguente promessa (non del tutto mantenuta) di non arrabbiarmi più troppo per una partita di calcio. E poi ancora la doppietta di Giroud nel derby il giorno del compleanno della mia compagna e di uno dei miei più cari amici, rossonero anche lui, fino a quel 22 maggio con mio padre che viene a Milano per festeggiare con me uno Scudetto tanto atteso. Ma anche la corsa europea di quest'anno, pur chiusa nel modo peggiore di tutti: l'entusiasmo controllato per l'1-0 al Tottenham, la scommessa di non togliermi un orecchino della Champions fino a che eravamo in corsa, la gioia della vittoria sul Napoli e la paura che questa volta, infine, passassero quelli con la maglia nerazzurra. Sono lì, quei ricordi, bisogna solo cercarli e aggrapparvisi con tutta la forza possibile per lasciar passare la bufera per, poi, tornare di nuovo a crederci. Del resto, quante volte ce lo siamo detti, nel calcio e nella vita, che dopo Istanbul c'è sempre Atene?

Noi milanisti troppo spesso abbiamo vissuto nei ricordi del glorioso passato europeo, e la nostalgia è un sentimento che detesto: anche per questo ero felice finalmente di vivere nel presente, anzi nel futuro, di tifare una squadra giovane, europea, brillante, con un allenatore e dei giocatori a cui volevo bene e delle prospettive di sviluppo inesplorate. Questo finale di stagione mi sta togliendo un po' di quella felicità, costringendomi a rifugiarmi in quei ricordi per superare il momento. Non so se questa parte della storia sia finita qui, malamente, se cacceranno Pioli e ricominceremo da capo. Io credo che, con il giusto mercato, e con la conquista della Champions League agevolata dalla penalizzazione della Juventus, i rossoneri possano riprendere con Pioli il loro percorso di costruzione di una squadra entusiasmante e stabilmente ai vertici. In ogni caso, sono sereno: sarà che ho compiuto trent'anni e che nella vita mi stanno succedendo delle cose importanti. Aspettando con fiducia il prossimo successo che valga l'acquisto della Gazzetta, o magari, con un po' di doverosa Schadenfreude, una sconfitta dell'Inter a Istanbul, continuo a cantare «Quanto è bello l'A.C. Milan, quanto è bello essere noi».

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