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Valorizzare San Siro
05 feb 2019
05 feb 2019
Il Milan vorrebbe lasciare il Meazza per costruire un nuovo stadio, mentre l'Inter ha proposto di ristrutturarlo: quale futuro dobbiamo aspettarci per lo storico stadio milanese?
(articolo)
8 min
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È il febbraio 2015 quando il Milan irrompe con l’idea di un “nuovo stadio in zona Portello”. A volerlo è Barbara Berlusconi, all’epoca AD rossonero, che coglie al balzo il bando di riqualificazione dei padiglioni 1 e 2 di Fondazione Fiera per imporre la sua visione del futuro infrastrutturale del club. Il risultato, però, è un disastro. In breve tempo, il progetto dello stadio si riduce a un ambizioso edificio eco-sostenibile, perfettamente integrato nella città a livello urbanistico ma assolutamente anonimo dal punto di vista calcistico. Non c’è più traccia del carattere sportivo “europeo” della struttura e, paradossalmente, nemmeno dell’effetto-arena urbana tipico dei palazzetti dello sport americano. La vicenda si conclude con un dietrofront da parte del Milan e l’oblio sull’intero progetto.

Nell’estate dello stesso anno, mentre il Milan è ancora ormai invischiato nell’affare Portello, l’Inter presenta al Comune di Milano un progetto per la ristrutturazione di San Siro: demolizione del terzo anello e di parte della copertura (con costruzione di un nuovo elemento in aggiunta) e mantenimento delle sole torri angolari. Una rivisitazione al ribasso dello stadio già esistente (sia a livello strutturale che di capienza) che a sua volta, nei tre anni successivi, viene messa da parte.

Il nuovo protocollo d’intesa

È necessario partire da questi due fallimenti - in entrambi i casi idee troppo estreme, troppo lontane dalla realtà presente - per cogliere l’importanza del protocollo d’intesa firmato da Inter e Milan a inizio novembre del 2018. “Per sancire la volontà di lavorare assieme al progetto di realizzazione di uno stadio moderno e all’avanguardia. […] I due club stanno valutando una serie di opzioni possibili, inclusa la ristrutturazione dello stadio San Siro”, si legge nel comunicato.

Foto di Marco Luzzani / Getty Images

La recente entrata in scena di nuove proprietà per i due club cittadini (Singer e il fondo Eliott su sponda rossonera, Suning su quella nerazzurra) con un’apparente solidità anche di lungo termine, ha rinnovato il dialogo comune sul futuro dello stadio e sulle opportunità di intervento. Ma l’importanza di tale dialogo nasconde anche dei rischi.

Dopo la firma del protocollo, a inizio dicembre si è fatta strada l’ipotesi di sfruttare i vicini terreni dell’ex Ippodromo del Trotto come chiave di volta per il progetto di un eventuale nuovo impianto. La possibilità di ottenere il terreno dell’ex Trotto, attualmente di proprietà della Snai, permetterebbe infatti ampio margine di manovra, compresa l’idea di una totale demolizione dello stadio con conseguente costruzione di un impianto nuovo e contemporaneo.

Foto di Dan Istitene / Getty Images

Il sindaco di Milano Beppe Sala, dal canto suo, gradirebbe che lo stadio rimanesse in zona San Siro, preferenza che a quanto pare si accorda con quella di Ivan Gazidis, nuovo AD del Milan, di costruire un nuovo stadio al posto dell’attuale. Il dirigente rossonero, d’altronde, ha una visione estremamente finanziaria del calcio e degli aspetti a esso correlati, e, con un passato da dirigente fondatore della Major League Soccer, e suo vice-commissario tra il 2001 e il 2009, è evidente che il suo punto di vista sulla questione stadio non possa che essere quello derivante dalla cultura sportiva americana.

Cosa fare con San Siro

L’ipotesi di utilizzare i terreni del Trotto è interessante, ma non va dimenticato che circa un anno fa, nell’ottobre 2017, buona parte delle strutture dell’ex Ippodromo di via Piccolomini sono state poste sotto vincolo dalla Soprintendenza. Le scuderie, progettate dall’architetto Paolo Vietti-Violi negli anni ‘20, sono un eccezionale esempio di architettura sportiva in stile liberty, peraltro comune ad altri lavori firmati dall’architetto svizzero in altri ippodromi italiani (Agnano, in provincia di Napoli; Parco di Monza; Cascine, vicino Firenze).

Allo stesso tempo, però, la storia di San Siro è sempre stata influenzata dalla presenza dell’Ippodromo, anche al di là della distanza spaziale di 7 metri di larghezza di via Piccolomini che divide i due impianti. Il progetto di ampliamento in occasione dei Mondiali di Italia ‘90, ad esempio, firmato Ragazzi-Hoffer, potè essere realizzato solo su tre lati, proprio per via della vicinanza con l’impianto ippico.

C’è da dire anche, per contro, che la nascita di San Siro, fra il 1925 e il 1926, avvenne proprio in quel quartiere dove si pensava si potesse avere l’opportunità di creare una “cittadella sportiva” milanese, con una visione d’avanguardia rispetto al resto d’Italia. Un’intenzione che forse andrebbe mantenuta oggi.

Non va dimenticato, infatti, che lo Stadio Giuseppe Meazza è probabilmente l’unico impianto sportivo italiano che si può classificare come fàbrica moderna, prendendo a prestito il termine che Vitruvio (considerato il teorico dell’architettura più importante della storia) utilizzava per definire l’edificio che superava il cosiddetto ratiocinatio, cioè la teoria del costruire. Quest’eccezionalità non è solo definita da una storia quasi secolare, ma piuttosto da un’efficacia costruttiva con pochi eguali nel mondo in rapporto a dimensioni ed età anagrafica.

La forza di San Siro è sempre stata quella di reinventarsi, rimanendo al passo con i tempi e con le trasformazioni del calcio e della società. Grazie ad ampliamenti mirati (e progetti illuminati) l’evoluzione dello stadio è stata sempre coerente con la propria identità. Tutt’oggi rimane uno degli stadi più grandi del mondo, con un’ottima visuale da qualunque settore, enfatizzata sempre di più man mano che si sale nelle file più in alto. Il sistema di accessi e smistamento del pubblico è tutt’ora funzionale, con le torri figlie dell’ampliamento dei Mondiali (1987-1990) in perfetto dialogo con le rampe elicoidali del secondo anello, introdotte dalla ristrutturazione di Calzolari e Ronca nel 1955.

Foto di Marco Luzzani / Getty Images

È per queste ragioni che l’idea di ristrutturarlo in modo mirato, in particolare nei servizi interni e nella cura della gestione ordinaria, necessaria e capillare in ogni settore dell’impianto, è forte almeno quanto quella di costruirne uno nuovo di zecca. Quanto fatto finora, e in particolare in occasione della finale di Champions League 2016, con la creazione di un nuovo parterre/pitch view a ridosso del campo, è stato un intervento apprezzabile che ha rinnovato quella parte di stadio.

Certo, il calcio contemporaneo impone stadi che producano introiti diretti per le società, e questa idea esclude in parte la condivisione romantica di San Siro, ma una tra Inter e Milan dovrebbe comunque approfittare dell’esistenza di uno stadio come il Meazza, considerato il suo valore storico e architettonico, proprio per la sua funzionalità.

La soluzione che appare più logica sarebbe proprio l’affidamento dell’impianto a una sola tra Inter e Milan, con il mantenimento della capienza attuale (altro punto di forza della struttura, anche e soprattutto a livello internazionale) e, perché no, con l’ipotesi di sfruttare il lato verso l’Ippodromo per alzare il terzo anello sulla Tribuna Arancio e avere ampio spazio di manovra per l’inserimento di servizi e attività commerciali.

Se questo è uno scenario che sembra più lontano dalle idee del Milan (e del nuovo stadio che piacerebbe all’AD Gazidis), Suning continua a essere fortemente orientata a puntare su San Siro come casa dell’Inter, e nell’autunno 2018 ha ipotizzato anche un investimento vicino ai 150 milioni di euro per ridare slancio commerciale a tutta l’area su cui sorge lo stadio (su cui si può intervenire, essendo coinvolta dal contratto di concessione comunale dello stadio per 99 anni).

A questo punto, oltre all’ipotesi di condivisione dell’impianto, la possibilità di un San Siro all’Inter e di uno stadio nuovo costruito ad hoc dal Milan non sarebbe così campata in aria e potrebbe, anzi, diventare positiva per entrambi i club. Certo, resterebbe il problema di individuare un’area per il progetto rossonero. In questo senso, alcuni hanno recentemente proposto l’utilizzo dell’ex area Falck, a Sesto San Giovanni, dove ci sono terreni edificabili provvisti anche di licenze commerciali. Lo scenario di due stadi di calcio a Milano, dei quali uno è il Meazza ulteriormente migliorato nelle sue potenzialità, potrebbe dunque essere il futuro più logico e opportuno per Inter e Milan.

Con l’inizio del 2019 un nuovo tassello si è aggiunto ai ragionamenti sul futuro dello stadio: dalle parole dell’assessore all’Urbanistica del Comune di Milano, Pierfrancesco Maran, è arrivata la conferma che i due club cittadini stanno lavorando a un progetto comune di ristrutturazione dell’impianto, che prevede anche una completa riqualificazione dell’area con previsione di inserimento di attività commerciali, di svago e servizi rivolti ai tifosi.

Questo forzerebbe la mano al piano regolatore milanese, richiedendo un aumento dell’indice di edificabilità previsto per le volumetrie urbane associate alle aree per “Grandi funzioni urbane” (di cui fa parte l’ex Trotto) (attualmente a 0,35 mc/mq) e sfruttando quella deroga già prevista per le zone a grande accessibilità e di forte interesse strategico.

In ogni caso, la salvaguardia e la valorizzazione del Meazza deve essere la priorità, sia per le due società che per il comune. Basta una veloce occhiata alla sua storia, alla sua capienza, alla sua funzionalità e alla sua qualità di visuale sul campo per capire perché si tratta di un patrimonio unico del calcio italiano.

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