
Ormai da tempo delusi per il livello medio del nostro campionato, un po’ arrabbiati per le pessime figure nelle competizioni internazionali, abituati persino ad essere considerati solo un po’ meglio della Eredivisie olandese, ci siamo subito esaltati per un Roma-Napoli di Coppa Italia, finito 3-2. Forse merito della pioggia incessante, forse per il gioco palla a terra o per le tante occasioni da gol, in molti hanno gridato alla “partita europea”, ed era vero, perché Roma e Napoli se la sono giocata sul serio, con le proprie convinzioni, evitando la classica partita a specchio, puntando a imporre il proprio gioco piuttosto che a limitare quello dell’avversario, che è la vera e propria cifra dell’élite del calcio europeo.
Sulla spinta di quella partita, ho deciso di seguire le due squadre “europee” anche nel weekend, sperando di rivedere bel gioco ed emozioni, con l’inno alla gioia in sottofondo. E non è che sia andata proprio così.
Napoli-Milan
Il primo a scendere in campo è stato il Napoli contro il Milan, nell’anticipo del sabato sera. In base ad una teoria che va alla grande tra gli alibi degli allenatori di Serie A, il Napoli avrebbe dovuto essere stanchissimo, appena 72 ore dopo la dispendiosa partita di Coppa Italia, e invece non lo era, e già questa è stata una bella dimostrazione di europeismo (Bayern Monaco, Barcellona, Real Madrid, tutte squadre che giocano circa 55-60 partite a stagione, da più di qualche anno, non usano mai la scusa della stanchezza).
La squadra di Benítez è scesa in campo con il suo modulo standard, il 4-2-3-1, l’unica sorpresa è stata trovare in panchina Callejón, che tra i giocatori d’attacco è quello che ha giocato più minuti.
Il nuovo Milan di Seedorf ha adottato un modulo speculare, che in questo caso però trascende la durezza dei numeri e si identifica come un 4-2-fantasia. Sabato sera in effetti di fantasia ce n’è voluta molta, forse anche troppa, per schierare Abate come esterno d’attacco, Robinho centrale dietro Balotelli unica punta e l’esordiente Taarabt a sinistra. A supporto di questo strano agglomerato c’era la coppia di centrocampisti difensivi Essien-De Jong, forse con l’idea di aggredire il centrocampo avversario, di recuperare palloni o semplicemente di sopperire alle scarse attitudini difensive dei compagni d’attacco. Un azzardo che nei primi minuti è stato premiato dall’incredibile volata di Taarabt, nata da un passaggio sbagliato di Fernández (che ha fatto spesso da uomo in più del Napoli in fase di impostazione). In quel 4 contro 3 ogni allenatore avrebbe detto di passare la palla agli esterni liberi (Robinho a sinistra e Balotelli-Abate a destra), ma Taarabt non è uno che ascolti troppo gli allenatori e con un difensore piantato davanti apre la traiettoria in modo perfetto, e chi segna ha sempre ragione. Come si è svolta poi, la partita tra la squadra del mercoledì europeo e la nostra unica superstite in Champions League? Proverò ad analizzarla settore per settore, una cosa che qualunque allenatore ci direbbe di non fare perché “si gioca in 11 e i reparti sono tutti collegati, ecc”, ma io adotto l’approccio Taarabt e lo faccio lo stesso.
I pericoli delle due difese
Il Napoli viene spesso accusato di non avere equilibrio difensivo e di mostrare alcune debolezze individuali nella coppia di difensori centrali. Contro il Milan, l’approccio difensivo è stato lo stesso adottato contro la Roma: linea alta, ricerca costante dell’anticipo sull’avversario, supporto all’impostazione di gioco. Sabato sera è riuscito tutto bene, o quasi: il gol subito nasce da un’invenzione di Taarabt, è vero, ma nasce soprattutto da una mancata copertura sull’errore d’impostazione del difensore centrale Fernández. Una situazione simile si è verificata nell’ultima azione di Balotelli, prima della sostituzione: la linea difensiva era molto alta e Fernández ha colpito di testa un rinvio di Abbiati mandandolo tra i piedi di Kaká. Sulla ripartenza Albiol si è allargato per contrastare Montolivo che ha crossato perfettamente di prima per Balotelli, sul cross è uscito bene Reina ma il rischio è stato grande. Anche Pazzini nel quarto d’ora a disposizione ha avuto una chance dopo aver bucato in profondità la difesa napoletana, che non era salita benissimo. Queste sono state le uniche situazioni di pericolo in cui si è trovata la difesa napoletana. La morale è: ci sono dei rischi fisiologici nel giocare con una linea difensiva alta, e a volte si acuiscono se i tuoi difensori centrali non sono proprio delle schegge.

Il grafico dei tackle difensivi di Napoli e Milan con l’applicazione per iPhone Statszone (online si può usare lo spazio di fourfourtwo.com/statszone). Da qui si vede bene che 1) la squadra di Benítez sia andata a prendersi il pallone direttamente nella metà campo del Milan; e che 2) non ne ha dovuto fare neanche uno nella propria area di rigore.
Per quanto riguarda il Milan, sarebbe impietoso concentrarsi troppo sugli innumerevoli errori difensivi evidenziati durante i 90 minuti. I difensori centrali rossoneri (Rami e Mexès) hanno sofferto moltissimo la mobilità offensiva del Napoli, in particolare non riuscivano a intuire ed evitare i tagli in area: Higuaín ed Hamsík hanno avuto ottime occasioni, un taglio interno di Mertens stava per costare l’espulsione ad Abbiati. Sul primo gol di Higuaín, il Milan ha tutta la difesa schierata, Essien non attacca il portatore di palla, Inler, che ha tempo di guardare l’argentino a centro area e regalargli un assist splendido.

Higuaín si sbraccia perché vede la linea di passaggio, Mexès in questo momento l’ha già perso di vista. Poi la palla di Inler è eccezionale, ok, ma Mexès ha la sua parte di responsabilità.
Il gol del 3-1 poi nasce da una serie di fraintendimenti: Rami prima esce su Hamsík, poi ci ripensa; poi Hamsík riceve il passaggio, allora Rami sale di nuovo e prova a contrastarlo; è sfortunato nel rimpallo ed Hamsík ritorna in possesso. In quel momento, nessuno del Milan sale ad attaccare, la linea difensiva rimane statica, De Sciglio non sa se andare verso Hamsík o preoccuparsi di Callejòn. Ecco, nel frattempo che ci pensano, il Napoli ha segnato il terzo gol.

L’equilibrio del Napoli a centrocampo
L’acquisto di Jorginho sta rivitalizzando Inler? Libero dai compiti di impostazione, lo svizzero è sembrato più a suo agio, ha aggredito spesso il portatore di palla avversario (3 tackle), ma ha aiutato anche in fase offensiva (ben 4 passaggi che hanno mandato al tiro un suo compagno), mentre Jorginho ha gestito possesso palla, indirizzato e dettato i tempi di gioco (e a metà del secondo tempo ha persino sistemato un sombrero sulla testa di Essien). Sembra già una coppia affiatata e usando una metafora cinematografica potrei dire che Jorginho è il poliziotto buono, Inler quello cattivo. Il Milan invece è sceso in campo con due poliziotti cattivi: Essien e De Jong (sembra che Seedorf abbia voluto fare un esperimento in vista della partita con l’Atletico Madrid, in cui Montolivo non potrà esserci, e visti i risultati i tifosi milanisti possono iniziare preoccuparsi) e i due si sono ignorati per più di un quarto d’ora di gioco prima di prendere un minimo di confidenza con il pallone, con il Napoli che però occupava la loro metà campo togliendogli tempo di gioco. Alla fine, la combinazione di passaggio "De Jong a Essien" sarà la più ricorrente della partita, 16 volte: ma i due hanno giocato il pallone molto, troppo spesso in orizzontale, senza riuscire a verticalizzare. Insomma, è inutile avere la supremazia nel possesso palla se non sai cosa fartene. Poi è entrato Montolivo, che in venti minuti ha provato più verticalizzazioni di De Jong in un’intera partita, mettendo prima Balotelli e poi Pazzini in condizioni di segnare. Montolivo è molto europeo, peccato che non potrà giocare in Champions League.

De Jong “hombre horizontal” e quelle poche volte che prova a verticalizzare gli riesce male. A fianco, i venti minuti di Montolivo, entrato per ricucire lo strappo tra il centrocampo e l’attacco milanista.
Attacchi a diversa profondità
Higuaín è un vero centravanti d’area di rigore eppure si muove lungo tutta l’area, sta imparando anche a fare il “falso nove”, segna, fa assist e soprattutto crea profondità per i tre compagni che partono leggermente dietro a lui. Mertens salta spesso l’uomo, può fare l’ala su entrambe le fasce o giocare al centro dietro la punta (e contro il Milan è stato addirittura il recordman per numero di tackle: 4). Hamsík è sembrato più mobile del solito, ma a volte ancora incerto nei movimenti, tanto da ritrovarsi spesso a giocare da seconda punta, ruolo che non ne esalta le caratteristiche, e forse per evitare di essere fagocitato in area di rigore finiva sugli esterni.
Balotelli ha ricevuto lo stesso numero di passaggi di Higuaín, 29, ma se Mario è stato spesso costretto a prendere il pallone fino a centrocampo, vista la mancanza di gioco, l’attaccante argentino di Benítez ha dato profondità alla squadra ricevendo passaggi e cross anche a centro area e tagliando sugli esterni sempre in zone pericolose. Balotelli ha calciato solo 2 volte verso la porta: un record negativo, per l’attaccante con la media tiri più alta del campionato (circa 6 a partita). Purtroppo i suoi compagni non sono stati di grande aiuto: quasi nullo Abate in fase offensiva, Robinho ha collezionato una serie impressionante di zero nei dati finali, lasciando supporre la sua mancata presenza in campo.
L’unico che si è dannato l’anima è stato il nuovo acquisto Adel Taarabt, uno che gioca a testa alta, ma per capire se invece di passare il pallone c’è spazio per un altro dribbling. A parte gli eccessi palla al piede, è stato l’unico davvero pericoloso in fase offensiva.
In conclusione percentuale di europeismo della partita: 75%.

Balotelli costretto a cercare il pallone molto vicino alla propria metà campo e quasi mai servito in profondità. Higuaín, invece, domina l’area di rigore.
Lazio-Roma
Garcia in conferenza stampa l’ha assimilato ad altri derby europei per sminuirne il valore e allentare la pressione sui suoi giocatori, e lì ha cominciato a pareggiare il derby. Il paragone con l’Old Firm di Glasgow (che si gioca ben quattro volte in campionato, quasi sempre vale anche la vittoria del campionato ed ingloba forti implicazioni politico-religiose) o il Superclásico di Buenos Aires tra Boca Juniors e River Plate (anche qui, spesso una partita decisiva per il titolo, tra le due squadre con più tifosi in Argentina) non regge. Il derby di Roma è un fenomeno folkloristico, a giudicarlo da fuori, che sfugge quasi all’interpretazione. A viverlo da dentro, somiglia a una settimana di camera iperbarica. In base a queste premesse, una partita poco europea, nonostante entrambe le squadre siano scese in campo con il 4-3-3, modulo in teoria europeissimo.
Sugli esterni ci si aspettavano grandi duelli, perché la Lazio con Candreva e Keita avrebbe potuto colpire in contropiede o attaccare la blanda (forse sciatta) fase difensiva di Maicon; la Roma aveva contro una difesa che non fa della velocità la sua arma migliore, e Gervinho vive un momento di grande forma. C’erano dunque le premesse per una partita spettacolare, ma purtroppo sono rimaste sulla carta. Keita non ha fatto vedere quanto ci si aspettava, sicuramente per l’emozione di giocare un derby a 18 anni, e alla fine del primo tempo Reja ha deciso di inserire Mauri. Con il senno di poi, sarebbe stata probabilmente più corretto il contrario: Keita nel secondo tempo avrebbe goduto di molti più spazi. L’entrata di Mauri, invece, ha coinciso con un’assenza della Lazio dal gioco (30 passaggi nella metà campo avversaria nel primo tempo, 20 nel secondo). Forse il migliore per la Lazio in fase offensiva è stato Candreva, che nel primo tempo ha tenuto in apprensione Torosidis con il dribbling. Nella seconda parte, anche lui si è dedicato più al contenimento, e senza il suo spunto la Lazio è arretrata di molti metri (e non è più riuscita a saltare l’uomo: solo 1 dribbling nella seconda parte di gara, di Konko).

La battaglia sugli esterni: il 4-3-3/4-5-1 della Lazio con il movimento di Candreva e Keita a ripiegare a confronto con i terzini della Roma che si alzano in fase di impostazione.
Difese troppo tranquille
C’era curiosità per vedere in che modo la Lazio avrebbe deciso di difendere, se alta stile Napoli, o con una linea difensiva più attendista. Alla fine, Reja ha adottato una strategia di contenimento “normale”, almeno all’inizio, e Gervinho non è stato troppo pericoloso perché sulle fasce il raddoppio era sistematico. Su quella destra, dove ha giocato in maggior parte Gervinho, a volte c’erano addirittura 3 laziali in copertura: Konko, Gonzalez e Candreva. Biava è stato perfetto, ha sbagliato poco ed ha chiuso tutti gli spazi (con 8 tackle riusciti su 10 è recordman della partita). La Roma ha mantenuto il suo solito assetto difensivo, con Benatia e Castan che hanno provato l’anticipo molto meno rispetto al solito (solo 3 quelli riusciti in tutto) e grazie al solito aiuto di De Rossi sono riusciti a coprire totalmente la porta di De Sanctis, che non ha subito neppure un tiro nello specchio (era capitato anche nel derby d’andata).
Assodato che la Roma ha avuto presto il controllo della partita, che cosa non ha funzionato, oltre alla bravura dell’avversario? Garcia avrebbe potuto fare qualcosa di diverso? Dopo aver detto che De Rossi è stato uno dei migliori a livello difensivo va detto che De Rossi ormai si spinge raramente in avanti. In partite come questa serve davvero uno scudo davanti alla difesa?
La Lazio ha provato spesso a giocare sulle fasce e non aveva incursori centrali in grado di bucare la linea difensiva. Con Nainggolan la Roma avrebbe avuto forse meno protezione difensiva (forse), ma il belga sa giocare “box to box”, da area ad area, e la Roma avrebbe recuperato magari più palloni nella metà campo avversaria. Garcia gli ha preferito Pjanic, con l’idea che il controllo del gioco avrebbe cristallizzato le posizioni in campo e avrebbe reso necessaria qualche invenzione offensiva. Il problema è che Pjanic ha inventato poco o nulla; si è pestato spesso i piedi con Totti, che rientrava sempre per creare gioco sulla trequarti; ha persino fallito una buona occasione, che lui stesso si era creato con intelligenza con un inserimento centrale nello spazio dietro la linea.

Pjanic si crea un’occasione attaccando la linea difensiva: Maicon dalla destra lo serve e lo trova da solo in area. Non riuscirà neppure a tirare in porta.
Mancanza di creatività
Ecco, durante tutti i 90 minuti è sembrato che la Lazio soffrisse molto gli inserimenti da lontano, di Maicon, di Pjanic o di Florenzi. La Roma ne ha provati pochi però, forse anche Maicon avrebbe dovuto osare di più. Strootman ha fatto il possibile, il migliore dei tre a centrocampo. Se al posto di Pjanic avesse giocato Nainggolan, che ha la capacità di attaccare la profondità molto meglio del bosniaco, che sarebbe successo?
La situazione di Pjanic si lega in modo stretto a quella di Totti. Come ha giocato Francesco Totti? La risposta è molto più difficile di quanto sembri. Ha sbagliato molto, e questo è un dato di fatto: il 68% di precisione sui passaggi è un dato incredibilmente basso per uno come lui; e alcune volte ha perso palla in zone di campo pericolose, permettendo alla Lazio di partire in contropiede. In generale, in questa partita Totti più che “falso nove” ha giocato da regista avanzato: in area non c’è quasi mai stato. Insomma, ha giocato male, o forse no. Ha spesso provato il passaggio di prima per accelerare il gioco, ed è ovviamente un passaggio più rischioso del normale (che in minima parte spiega i numerosi errori di impostazione). Con i suoi movimenti, inoltre, ha spesso portato fuori pista i centrali della Lazio, come nell’occasione del primo tempo capitata a Florenzi.
Conclusione: la sua non è stata una grande partita, e otto minuti per l’unico attaccante di ruolo della Roma, Destro, sono pochi, pochissimi.

Le regole dell’attrazione: Konko scala su Totti (nel cerchio rosso) e Florenzi si inserisce nello spazio.
Alla Roma è mancato qualcos’altro: la fluidità di manovra, ad esempio, e la velocità nel far girare il pallone. Le azioni di attacco sono state troppo statiche, tant’è che la Roma ha dovuto forzare quasi sempre la giocata: 26 dribbling provati, solo 7 riusciti. Una squadra che non può usare i lanci lunghi deve necessariamente essere veloce palla a terra; oppure attaccare rapidamente sulle fasce con combinazioni strette; oppure creare spazio dietro la linea difensiva avversaria per gli inserimenti da lontano.
Nel derby la Roma ha fatto poco di tutto questo, e nonostante avesse la partita sotto controllo, non è riuscita a vincerla, e questo è un limite. La Lazio ha seguito bene il copione tattico che Reja aveva preparato (e tra l’altro, quasi annunciato in conferenza stampa), ha saputo contenere bene, senza concedere troppi spazi ai contropiede e senza farsi schiacciare dal centrocampo della Roma. In compenso, ha rinunciato troppo presto a giocare, senza neppure provare a pungere in contropiede, forse troppo impaurita dalle conseguenze di una eventuale sconfitta. Ironia della sorte, proprio la Lazio negli ultimi minuti ha avuto un’occasione irripetibile, sprecata da Onazi.
L’unica consolazione di questa partita poco entusiasmante è che almeno oggi, nelle scuole di Roma, non ci saranno bambini sofferenti e derisi.
Percentuale di europeismo del derby della capitale d'Italia: 30%.