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Alfredo Giacobbe
La nuova Formula 1 ha un problema con la sicurezza
26 apr 2023
26 apr 2023
Dopo la morte di Senna la sicurezza è diventata il primo obiettivo per la FIA, ma le cose stanno cambiando.
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Alfredo Giacobbe
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IMAGO / PanoramiC
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«Spero che non ci saranno troppi cambiamenti, altrimenti non starò ancora nel giro per molto tempo». Sono le parole di Max Verstappen, venticinque anni, due volte campione mondiale di Formula 1. Le ha pronunciate quando gli è stato chiesto un commento alle parole del CEO di Formula 1 Stefano Domenicali riguardo all’ennesima novità che il Circus introdurrà a partire dal prossimo Gran Premio dell’Azerbaijan. Il sabato di Baku sarà infatti interamente dedicato alla nuova Sprint Race, la gara breve in sperimentazione da due anni e mai digerita fino in fondo dai piloti. La Sprint Race si distingue dalla gara vera e propria, quella della domenica, per la sua durata. Un Gran Premio è lungo trecentocinque chilometri e, a seconda delle caratteristiche della pista e delle condizioni dell’asfalto, di solito dura dagli ottanta ai centoventi minuti. La Sprint Race è lunga invece cento chilometri, è un concentrato dello spettacolo che può offrire la Formula 1 in una mezz’oretta. Come ha dichiarato lo stesso Domenicali al Corriere della Sera: «I giovani hanno bisogno di intensità».

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Fino allo scorso anno, al via del Gran Premio della domenica le auto si sistemavano secondo l’ordine d’arrivo della Sprint Race. I piloti avevano quindi la tendenza a essere piuttosto conservativi, per non rovinare le proprie chances di fare risultato nella competizione lunga che assegna più punti: «In una Sprint Race non si gareggia, si cerca di sopravvivere», ha dichiarato ancora Verstappen. Invece a Baku, contrariamente a quanto si è fatto finora, l’ordine di partenza del Gran Premio si stabilirà attraverso una sessione di qualifiche ufficiali al venerdì. La Sprint Race avrà una sua sessione di qualifiche al sabato mattina, sarà quindi una gara a sé stante. Nel nuovo formato non ci sarà spazio per le tre ore di prove libere, ridotte a una sola, in cui le scuderie provano le regolazioni per trovare la velocità in qualifica e il giusto compromesso per la gara.Si dibatte da sempre di quale peso politico possano avere gli sportivi in generale e i piloti di automobilismo in particolare, vincolati come sono dai contratti con le loro scuderie e con i numerosi sponsor che ne finanziano la carriera, in alcuni casi da tutta la vita. Generalmente è un peso molto basso. Alla classe regina delle quattro ruote accedono solo venti piloti. In ciascun box durante i weekend di gara, oltre ai due piloti titolari, sono presenti le terze e talvolta anche le quarte scelte di ogni scuderia. In alcuni appuntamenti la Formula 1 divide la pista con le categorie preparatorie in cui si sfidano i ragazzi degli Junior Team. Uno qualsiasi di quei venti piloti potrebbe essere sostituito letteralmente in ogni momento. I campioni del mondo di Formula 1 godono però di uno status differente. Se n’è accorto Lewis Hamilton, dipinto dopo i primi anni di presenza nel Circus come un ragazzo attratto per lo più dal lato glamour delle corse, e che invece di recente ha utilizzato la sua posizione privilegiata nello sport come una piattaforma per rilanciare i suoi messaggi di inclusività. Verstappen sta prendendo coscienza del suo ruolo e fa sentire la sua voce ora che la Formula 1 ha preso una direzione precisa che conduce alla spettacolarizzazione di ogni momento all’interno di un weekend di gara. Ne fa una questione culturale: «La Formula 1 sta tutta nel cercare di tirare fuori il massimo in qualifica e poi provare a fare bene alla domenica sulla lunga distanza».Le sessioni di prove libere sono un prodotto, da un punto di vista prettamente televisivo, poco vendibile. In un’ora di pratica, le monoposto girano solo per alcuni momenti, quando sono spinte in pista dalla curiosità dei piloti e degli ingegneri per capire che vantaggi cronometrici danno certe regolazioni di assetto. Quando non sono in pista le auto sono ferme sui cavalletti. I tempi registrati dai piloti sono tra loro incomparabili perché i team eseguono piani di lavoro differenti: c’è chi gira con un carico aerodinamico maggiore per valutare l’usura degli pneumatici; c’è chi invece svuota i serbatoi per provare la qualifica. A volte i programmi sono differenti persino tra piloti della stessa squadra. È facile capire che la classifica stilata alla fine della sessione non ha alcun senso, i valori in pista potranno essere chiari solo nelle sessioni ufficiali, quando tutti si misureranno nelle stesse condizioni. Domenicali ha dichiarato al canale portoghese SportTV: «Sono a favore della cancellazione delle prove libere. Sono utilissime per gli ingegneri ma al pubblico non piacciono».Verstappen non è stata l’unica voce di dissenso circa le proposte di Domenicali. Sia il suo manager alla Red Bull Christian Horner che il team principal della Mercedes Toto Wolff si sono detti preoccupati dal nuovo formato proposto per Baku. In ogni situazione competitiva – la Sprint Race, anche se bistrattata, è pur sempre una gara con una manciata di punti in palio e venti piloti desiderosi di conquistarli – i rischi di incidenti aumentano e con loro gli extra costi per le riparazioni, che inficiano un budget già molto risicato. Nessuno però ha parlato del vero problema relativo alla soppressione delle prove libere: il risvolto negativo sulla sicurezza in pista. Un pilota che non ha la possibilità di effettuare regolazioni specifiche per il tipo di pista e per le condizioni dell’asfalto è come se guidasse bendato. Deve scoprire il livello di aderenza delle gomme, che è la cartina al tornasole di quanti rischi è lecito prendersi, in fretta, con più precisione possibile e nel momento in cui gli si richiede la massima prestazione. Viene da chiedersi da dove viene l’ossessione dei vertici della Formula 1 per lo spettacolo e perché ora si è disposti a cedere una quota della sicurezza in pista pur di soddisfare questa brama. L’attenzione della Formula 1 verso la sicurezza è un fatto relativamente recente. L’incidente mortale di Ayrton Senna sul circuito di Imola nel 1994 è stato un vero e proprio spartiacque. La fama del pilota brasiliano aveva travalicato i confini del suo sport e la sua morte mandata in diretta televisiva aveva destato una grossa impressione agli occhi degli appassionati e non solo. In quel momento è cambiata la sensibilità del pubblico e i legislatori non hanno potuto far altro che prenderne atto. L’allora presidente della Federazione Internazionale dell’Automobilismo Max Mosley aveva detto: «La Formula 1 è morta», e in un certo senso aveva ragione. Nel 1994 si chiude un’era dello sport automobilistico. Non ci sarà più una competizione tra piloti disposti ad assumersi ogni tipo di rischio. Nessuno accetterà più di guidare un mezzo disegnato secondo regole volutamente ambigue per ottenere il massimo spettacolo possibile. Nessuno guiderà su un circuito dove non sono stati predisposti i sistemi di sicurezza passiva adeguati: file di gomme impilate, vie di fuga in ghiaia, chicane utilizzate come dissuasori. Diego Alverà, nel suo «Romanzo del Fuji», racconta le ore terribili che hanno preceduto il Gran Premio del Giappone del 1976. Mentre sul circuito si abbatteva una tempesta tropicale e l’asfalto era a dir poco impraticabile, i piloti discutevano se fosse il caso di boicottare la corsa per l’assenza dei requisiti minimi per la salvaguardia dei piloti. Niki Lauda, che era stato il primo a sviluppare una coscienza per la sicurezza già prima dell’incidente al Nurburgring che lo aveva sfigurato orrendamente, si è ritirato dopo due giri. L’unico a imboccare la corsia dei box, come aveva promesso di fare nelle riunioni pre-gara, rinunciando alla difesa del titolo mondiale, finito poi nelle mani di James Hunt. Lauda è stato abbandonato dagli altri piloti, gli stessi che, con il suo gesto, intendeva tutelare. Ma quella era per l’appunto un’altra epoca, secondo l’adagio dei vecchi tifosi inglesi: “When men were men”, quando gli uomini erano uomini, quando morire tra le fiamme era un rischio accettabile per chi cercava la gloria dietro a un volante. Dall’incidente di Senna al Tamburello cambia tutto per sempre.

Nonostante siano cambiati i gusti del pubblico, ciclicamente la Formula 1 torna a votarsi a uno spettacolo maggiore. Dal 1994 la Fia, che ha il compito di stendere i regolamenti, ha introdotto numerose modifiche alle monoposto in nome di una maggiore sicurezza, che allora si pensava di ottenere diminuendo l’aderenza e di conseguenza la velocità in curva. Alcune di quelle novità, come le gomme scanalate, sono passate di moda; altre sono ancora in vigore sulle auto moderne, il pattino sul fondo che impone un’altezza minima da terra della monoposto ne è un esempio. Nel Duemila la Formula 1 è tornata a parlare della necessità di avere corse più spettacolari. Negli anni precedenti non c’erano stati incidenti memorabili. Sì, Mika Hakkinen era stato per qualche giorno in coma dopo il suo incidente ad Adelaide nel ‘95; e Michael Schumacher s’era rotto una gamba a Silverstone nel ‘99, ma grossomodo la Formula 1 se l’era cavata bene. E allora perché non cercare di rendere più appetibile lo spettacolo offerto ai telespettatori di tutto il mondo, magari per spillare qualche soldo in più dai contratti dei diritti televisivi e dalla vendita degli spazi pubblicitari? L’attenzione della Fia si è spostata su una serie di misure che avevano un solo obiettivo: l’incremento dei sorpassi in pista. Sono gli anni del ritorno alle gomme slick, dell’introduzione delle parti aerodinamiche mobili, dell’abolizione dei rifornimenti e del controllo elettronico di trazione.La nuova era dello spettacolo è durata fino a un nuovo incidente mortale, quello occorso a Jules Bianchi nel Gran Premio del Giappone del 2014, il primo in vent’anni di Formula 1. Di nuovo la sicurezza è balzata in testa alle priorità, con l’invenzione del Halo, la barra curva a protezione della testa del pilota, e della Virtual Safety Car, che permette al direttore di corsa l’immediato congelamento della gara in situazioni di pericolo. Ora ci risiamo: otto anni dopo, la Formula 1 è di nuovo pronta a prendersi dei rischi. Stefano Domenicali è diventato il CEO di Formula 1 nel 2020, succedendo a Chase Carey, che quattro anni prima era stato chiamato a gestire la transizione dopo l’acquisizione da 4,4 miliardi di dollari da parte della media company americana Liberty Media. In una prima fase la nuova proprietà raccontava di volersi ritagliare un ruolo di passività: osservare per comprendere meglio il mercato a cui la Formula 1 si offriva, prendendosi del tempo per studiarne le possibilità di sviluppo. In realtà già i tempi dell’acquisizione stessa sono stati dettati da pure ragioni di mercato. La Formula 1 era totalmente ignorata da alcune fasce di pubblico potenziale, ad esempio quella dei giovani tra i venti e i trentacinque anni. Ancora nel 2014 Bernie Ecclestone, per quarant’anni al governo della Formula 1, non capiva che il mercato era cambiato: «Cosa dovremmo vendergli? Questi ragazzini non hanno un soldo in tasca. Io non sono interessato in tweet, Facebook e le altre cose senza senso. Piuttosto preferisco avere l’attenzione di un settantenne pieno di soldi». Nel 2016 la popolarità della Formula 1 era al minimo storico, con un crollo del 40% degli appassionati rispetto agli otto anni precedenti. Liberty Media aveva ben presente cosa stava comprando, la Formula 1 era una miniera d’oro ancora da saccheggiare ed era il momento di muoversi. L’appeal della Formula 1 è cambiato quando ha trovato una nuova voce attraverso i social media. Si è aperta ai fans, concedendo alle scuderie e agli altri soggetti interessati un uso maggiore dei contenuti prodotti – foto, clip video dai weekend di gara, interviste a piloti e team principal, Gran Premi storici – sui quali vigeva uno stretto controllo del copyright. Dal 2016 al 2022, sommando tutti i valori registrati sulle varie piattaforme social, il numero di followers della Formula 1 è cresciuto del 49% e l'engagement è salito del 74%.

I social sono solo una parte della strategia comunicativa a trecentosessanta gradi pensata da Liberty Media. La mossa vincente per aprirsi un varco verso un mercato più giovane è stato la co-produzione con Netflix dello show Drive to survive, nel quale in ogni stagione si racconta una versione romanzata, e non sempre aderente alla realtà, dell’annata di Formula 1 appena trascorsa. Infine Liberty Media ha iniziato a produrre e vendere contenuti per conto proprio attraverso la piattaforma F1TV, alla quale si accede dopo la sottoscrizione di un abbonamento. I numeri sono dalla parte dei proprietari americani, il prodotto Formula 1 ha più che raddoppiato il proprio valore dall’acquisizione. Sono cresciuti i dati dell’audience televisiva: ora la Formula 1 raggiunge quasi 1,6 miliardi di spettatori in tutto il mondo. Ma il vero filone aureo che la Formula 1 non era mai riuscita a intaccare e che Liberty Media sta aggredendo con sorprendente efficacia è il mercato statunitense. In passato gli americani avevano respinto gli assalti della Formula 1 numerose volte. Negli anni Ottanta e Novanta si correvano Gran Premi su circuiti cittadini, come a Dallas o a Phoenix, con uno scarso seguito. Negli anni Duemila la Formula 1 ha mirato al bersaglio grosso, l’ovale della 500 Miglia a Indianapolis, con esiti disastrosi. Lo scorso anno la Formula 1, che era già presente in Texas dal 2012 con il Gran Premio disputato sul tracciato permanente Circuit of The Americas di Austin, ha portato le monoposto a Miami e a novembre tenterà l’azzardo più grande: una gara in notturna sulla Strip, la strada di Las Vegas su cui si affacciano i casinò. La crescita del giro d’affari sul mercato americano è stata strabiliante. Le presenze presso i circuiti durante i weekend di gara sono aumentate e sia ad Austin che a Miami la Formula 1 ha fatto registrare il sold out. Gli ascolti televisivi sono in crescita in tutte le fasce d’età, soprattutto da quando la Formula 1 ha trovato una collocazione migliore su ESPN. Ma è la fascia dei giovani a crescere con percentuali in doppia cifra: solo nel 2022, gli spettatori di età compresa tra i dodici e i diciassette anni sono cresciuti del 49% rispetto all’anno precedente, del 43% tra i diciotto e i trentaquattro. È salita anche l’audience al femminile, +34% da un anno all’altro.Liberty Media è convinta che la crescita della Formula 1 non rallenterà presto. Al punto che gli americani avrebbero rifiutato un’offerta da 20 miliardi di dollari da parte del fondo sovrano saudita Pif, per uno sport il cui valore è stimato attualmente in circa 16 miliardi di dollari. La salita di Domenicali al soglio della Formula 1 è il segnale dell'inizio di una nuova fase, in cui Liberty Media ha bisogno di riformare la Formula 1 per aggredire nuove fette di mercato.Le novità che saranno presentate a Baku intorno alla Sprint Race non saranno le uniche sperimentate dalla Formula 1 quest’anno. A Imola, per le tre frazioni in cui sono divise le qualifiche ufficiali, le scuderie saranno costrette a utilizzare un unico tipo di pneumatico: gomme a mescola dura nel Q1; a mescola media nel Q2; la gomma morbida da qualifica vera e propria solo nel Q3. Si immagina già che nel Q1 si assisterà a una sorta di mini gara di diciotto minuti, nella quale tutte le auto saranno contemporaneamente in pista con tanta benzina a bordo, nel tentativo di portare a temperatura le gomme e ottenere da esse la massima prestazione. Anche qui ci sono preoccupazioni circa la sicurezza: si chiede al pilota il giro veloce, su un’auto in assetto da gara, in mezzo al traffico di altre diciannove monoposto. Le novità, in sperimentazione quest’anno solo su alcuni circuiti, nelle intenzioni di Domenicali dovrebbero applicarsi a tutti i weekend di gara nelle stagioni a venire. Ci sono però circuiti che si prestano meno a un certo tipo di formato. I circuiti cittadini, proprio come quello di Baku, le cui strade sono normalmente aperte alla viabilità ordinaria, nelle prime sessioni mostrano un asfalto molto sporco e con poca gomma depositata. Iniziare con le sessioni ufficiali già dal venerdì, su una superficie molto scivolosa, pone ancora molti dubbi in materia di sicurezza.Gli stessi weekend di gara potrebbero aumentare di numero. C’è sempre maggiore interesse nella Formula 1, con nuovi paesi che vorrebbero entrare nel giro o vecchi che vorrebbero ritornare. C’è già una bozza di accordo per il nuovo Gran Premio del Vietnam, con un circuito costruito per metà sulla rete stradale di Hanoi e per metà su un tracciato permanente. Il vecchio impianto di Kyalami, in Sud Africa, assente dal 1993, potrebbe rientrare in calendario permettendo alla Formula 1 di essere formalmente presente in tutti i continenti. Avere più weekend di gara vorrebbe dire comprimere il calendario in maniera inverosimile, aumentando il numero di triple header, la sequenza da tre Gran Premi in weekend consecutivi. I piloti sono presenti ai circuiti dal giovedì mattina, per gli incontri con la stampa e con gli sponsor. Al venerdì, al sabato e alla domenica sono impegnati nelle sessioni in pista e nei lunghi briefing con gli ingegneri. Il lunedì è il giorno degli spostamenti, si tratta spesso di parecchie ore di volo su fusi orari diversi. In un triple header, un pilota ha quattro giorni di riposo su diciotto, lo stress psico-fisico e, di conseguenza, la probabilità di un errore di guida e di un incidente, in queste condizioni aumenta in maniera considerevole. Con l’ingresso del Vietnam e del Sud Africa nel calendario, e con il rientro già programmato del Gran Premio di Cina, si arriverebbe alla quota di ventisei weekend di gara, ben oltre il limite di ventiquattro stabilito dal Patto della Concordia, il contratto che regola la distribuzione degli introiti televisivi da parte dell’organizzatore del campionato verso le scuderie che vi partecipano. Mettere in discussione il Patto della Concordia significherebbe aprire il vaso di Pandora, la sottoscrizione di un simile accordo ha impedito la scissione del campionato di Formula 1 in due campionati paralleli in almeno un paio di occasioni. Domenicali, davanti ai taccuini della stampa, mostra una sicurezza invidiabile. Parla di quote di mercato da attaccare e di nuovi clienti da attrarre. Detta l’agenda sui regolamenti spaziando dall’abolizione delle prove libere all’inversione delle griglie di partenza, con i piloti più veloci spediti nelle retrovie per movimentare le corse. Domenicali lancia moniti verso i circuiti storici, perché con tutta l’attenzione che c’è ora verso la Formula 1 in giro per il mondo, chi dice che si debba per forza correre a Monza, a Spa o a Montecarlo. La dialettica di Domenicali non è diversa da quella dei presidenti di alcuni club di calcio pronti a lanciarsi nell’avventura di una Superlega europea, quando si diceva che si doveva contendere alle piattaforme dell’intrattenimento digitale, come Netflix o Disney+, l’attenzione del pubblico giovane; non è differente nemmeno da quella dei tennisti in cerca di nuove forme di remunerazione, come quando Janko Tipsarevic ha sostenuto che non dovrebbe affatto essere scontato giocare uno slam a Wimbledon o a Flushing Meadows, se ci sono posti in cui gli organizzatori offrono più soldi.In questo momento storico Domenicali può fare il bello e il cattivo tempo perché Liberty Media non ha un contrappeso politico. Se chi organizza il campionato è interessato a curare di più gli aspetti legati all’intrattenimento, è la Federazione Internazionale, che scrive i regolamenti e che dovrebbe incarnare il senso dello sport, a dover alzare la voce. Il problema è che mai come oggi la Fia è in una posizione di debolezza. Mohammed Ben Sulayem è stato eletto alla presidenza della Fia nel dicembre del 2021. Fino a quel momento il focus dell’organizzazione, sotto le reggenze di Max Mosley e di Jean Todt, avevano avuto come obiettivo principale la promozione di campagne per la sicurezza stradale e in pista. Ben Sulayem ha invece sposato la causa promossa da Liberty Media della sostenibilità ambientale del Circus.

Il problema con la Fia di oggi non è solo legato all’abbandono delle politiche di sicurezza stradale. Ben Sulayem ha indebolito la propria posizione mettendo il piede in fallo su diversi argomenti. La gaffe più grossa è arrivata quando si è interessato all’offerta di acquisto dei sauditi di Pif. In un tweet Ben Sulayem ha definito «gonfiato» il prezzo proposto. A una prima lettura, il messaggio del presidente è una critica mossa agli acquirenti, che intenderebbero inondare di soldi lo sport senza presentare dei piani di sviluppo chiari. Qualcuno però ha voluto vedere una critica a Liberty Media, una richiesta ad abbassare le proprie pretese economiche. Insomma, il suo intervento non è piaciuto a nessuno. Da qualche mese Ben Sulayem è sparito dai radar. A parte le vicissitudini personali, non sono state gradite le sue uscite agli annuali Fia Awards di Montecarlo, dove è sembrato persino alticcio, lui che è un musulmano praticante; né gli hanno fatto onore le accuse di sessismo che ha ricevuto per alcune sue vecchie dichiarazioni. Lo scorso 8 febbraio, pur restando in carica, Ben Sulayem ha comunicato ai team di aver passato tutte le deleghe operative al gruppo di tecnici capitanati dall’ex Ferrari Nikolas Tombazis. Di fatto oggi la Fia è senza una guida politica.E se le Formula 1 fossero davvero meno pericolose di una volta? Martin Brundle è stato un pilota di Formula 1 tra il 1984 e il 1996. È stato uno dei talenti del volante ad avere avuto la sfortuna di nascere nell’incrocio delle parabole sportive di Ayrton Senna e di Michael Schumacher. Ciò nonostante ha vinto una 24 Ore a Le Mans e una 24 Ore di Daytona e, per il suo lavoro di commentatore televisivo, ha avuto l’opportunità di provare le monoposto di ogni epoca. Brundle sa quel che dice. Nel podcast prodotto da Formula 1 Beyond the grid, il giornalista Tom Clarkson ha chiesto se le monoposto odierne siano sicure. La risposta di Brundle è lapidaria: «Le inquadrature dall’abitacolo possono ingannare. In realtà le monoposto sono incredibilmente veloci, al punto che io ho avuto paura quando ho guidato la Mercedes di Lewis Hamilton. Quando hai il piede giù sul pedale, sembra che non possano mai smettere di accelerare. La precisione con cui guidano i piloti oggi, alla velocità che portano in curva, mi ha davvero impressionato. Sono coraggiosi. Il problema qui è che, a meno di commettere un errore davvero grosso, probabilmente non gli succederebbe niente. Le auto degli anni Sessanta e Settanta avevano bisogno di tutta la tua attenzione».

Quindi, secondo Brundle, le monoposto sono sicure fintanto che il pilota non commette un errore marchiano. A quel punto, per via della velocità estrema delle macchine odierne, il livello di rischio per il pilota è decisamente alto. D’altra parte nessuno può mai e poi mai prevedere la dinamica di un incidente e le sue conseguenze. Chi avrebbe pensato che la Haas di Romain Grosjean, in Bahrain, potesse toccarsi con l’Alpha Tauri di Daniil Kvyat in quel modo, e che infilandosi nei guardrail avrebbe rotto i serbatoi, finendo per prendere fuoco? Chi poteva immaginare che Lewis Hamilton potesse essere colpito da una ruota della Red Bull di Max Verstappen che gli è montato sopra nella curva più lenta del circuito di Monza? E ancora: chi poteva immaginare che nel capottamento dell’Alfa Romeo di Guanyu Zhou a Silverstone il roll-bar si staccasse, mettendo a repentaglio la vita del pilota? La sicurezza automobilistica è fatta di miglioramenti continui, non esiste e non esisterà mai il rischio zero.

Una parte del pubblico è spiazzata dalle proposte di Liberty Media, per lo più il pubblico storico della Formula 1, radicato in Europa. Perché è indubbio che c’è una differenza culturale tra la concezione americana di fare le corse e quella europea. Nel documentario Lucky! Ecclestone racconta la sua epopea attraverso i cento abiti che ha indossato in Formula 1: manager di piloti, proprietario di scuderie, sindacalista, manager, vice presidente della Fia. Il documentario mostra come il gruppo di potere che governava lo sport era composto da inglesi e la sola eccezione era Enzo Ferrari, idolatrato e al tempo stesso odiato dai costruttori britannici. Il loro terreno di sfida era l’acquisizione di capitali da convogliare verso fornitori e ingegneri per garantirsi un vantaggio competitivo in pista. Se attraverso un’innovazione un team era in grado di primeggiare su ogni tracciato buon per loro, era compito degli altri darsi da fare per ridurre il gap. Nel 2022 la Fia, sulla spinta di Liberty Media, ha varato il più grosso cambio regolamentare degli ultimi anni, il cui scopo neanche troppo nascosto è stato di limitare la fantasia dei reparti di ricerca e sviluppo e rendere le prestazioni delle

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