Lo stesso stadio, 90 giorni dopo l’ultima partita, può essere estremamente diverso, può avere un senso quasi capovolto: sedersi sulla panchina avversaria, quella degli ospiti, urlare al terzino con una maglia nerazzurra anziché quello con la maglia rossa. Eppure, in tre mesi non si fa in tempo a cambiare un sentimento, quella di una parte della tifoseria romanista: i fischi che hanno accolto Luciano Spalletti sabato sera erano gli stessi della sua ultima partita giallorossa - che incidentalmente è stata anche quella dell’addio di Totti. Mentre l’ex capitano della Roma siede impacciato in tribuna, a pochi posti di distanza Sabatini si dispera per l’Inter; sulla panchina giallorossa c’è Di Francesco, che vuole imporre un sistema e dei meccanismi di gioco nuovi, mentre Spalletti è in piedi davanti a quella dell’Inter.
A rafforzare l'impressione che ci si trovi in una realtà parallela sono soprattutto i giocatori nerazzurri, che da quelli in bambola dell’anno scorso sembrano invece già un gruppo solido e di personalità: Spalletti ha responsabilizzato i giocatori, dandogli una bozza di struttura di gioco con la quale poter affrontare i problemi di una partita. E a capovolgersi, oltre al mondo delle due squadre, ci sono anche i risultati: l’ultima volta che si erano affrontate, il 26 febbraio a San Siro, a vincere era stata la Roma per 3-1.
La forza dei dettagli
Quella tra Roma e Inter è anche una sfida tra l’inflessibilità di Di Francesco, che senza terzini destri (3 infortunati più Florenzi in panchina ma fermo da un anno), non si muove dalla difesa a 4 e sistema Juan Jesus terzino a piede invertito; e l’attenzione per il dettaglio di Spalletti, sempre piuttosto abile a studiare il contesto tattico in rapporto all’avversario. Il tecnico nerazzurro ha provato a identificare subito il punto debole dei giallorossi: l’Inter crea grande densità nella zona del pallone, arrivando a schiacciare fino a un massimo di 8 giocatori in un fazzoletto di campo, con Borja Valero trequartista del 4-2-3-1, sempre alle spalle di De Rossi.
Nella Roma il 4-3-3 non si tocca, ma almeno Di Francesco corregge la posizione delle mezzali, che a Bergamo avevano giocato a piede invertito, con grandi difficoltà. Il piano gara dell’allenatore giallorosso non cambia in base all’avversario: inizio azione dalla difesa, se possibile; verticalizzazioni continue; il centravanti allunga la difesa avversaria; negli spazi che si creano sulla trequarti devono tagliare le ali; a garantire ampiezza ci devono pensare le mezzali (e/o i terzini); si difende in avanti, cercando di essere sempre corti in zona palla.
Piano di gara dell’Inter: fare grande densità in zona palla, per avere sempre più opzioni di passaggio, schiacciando ben 7 giocatori entro la linea che divide il campo. L’ala sul lato debole si accentra avvicinandosi a Icardi, per farsi trovare sempre alle spalle di De Rossi. Sul lato debole il terzino deve dare ampiezza (qui D’Ambrosio è in leggero ritardo).
L’approccio alla partita dei nerazzurri segue con precisione il piano di Spalletti: trovare sempre un giocatore alle spalle del centrocampo giallorosso. Borja Valero deve farsi trovare alle spalle (o ai lati) di De Rossi, e quando l’Inter è in possesso persino l’ala del lato opposto deve accentrarsi per fornire un’altra soluzione di passaggio tra le linee. In questo modo l’Inter si trova spesso in superiorità posizionale e in superiorità numerica sulla fascia, con le sovrapposizioni dei terzini. Questo tipo di giocata si verifica costantemente per tutto il primo tempo, e non porta a grandi frutti solo perché Icardi tende a isolarsi e, soprattutto, per una serie di scelte sbagliate dei singoli giocatori che hanno portato l'Inter a perdere dei brutti palloni. La capacità tattica dei singoli, in una struttura come quella pensata da Spalletti, è fondamentale, ma il discorso di fondo è valido sempre: per quanto buono sia un piano gara, poi i giocatori devono saper prendere le decisioni giuste in campo.
Ci si fa una compilation, con tutte le volte che l’Inter ha sistemato (e trovato) i suoi giocatori tra le linee nel solo primo tempo.
A questo enigma, Di Francesco poteva rispondere in due modi: ruotando il triangolo di centrocampo per passare al 4-2-3-1, cioè abbassando Strootman al lato di De Rossi per dividersi le porzioni di campo da coprire e lasciando Nainggolan come trequartista; oppure chiedendo alla sua squadra, e in particolare alla linea difensiva, di uscire sugli uomini tra le linee, accorciando sul centrocampo. Di Francesco, invece, non ha adottato nessuna delle due soluzioni, almeno inizialmente, e la Roma ha continuato a giocare sui suoi binari, che le hanno comunque permesso di creare difficoltà all’Inter.
In particolare, Dzeko riesce sia ad attaccare la profondità che ad abbassarsi per aiutare la risalita del pallone, visto che spesso l’inizio azione della Roma è andato in tilt a seguito della pressione nerazzurra, con l’ala opposta al lato palla che andava ad accentrarsi per coprire lo scarico sulla mezzala. Il compito creativo, in fase offensiva, si basa sui piedi di Perotti, e sulla catena di sinistra che è molto più coinvolta (sia contro l’Inter che a Bergamo il giocatore con più tocchi di palla è stato Kolarov) rispetto a quella di destra, preoccupata di non commettere errori.
Forse però il peso della creazione offensiva giallorossa dovrebbe essere maggiormente distribuito, in particolare sulle mezzali, che ora come ora si trovano spesso costrette a dare ampiezza e ricevere sulla linea laterale, in una posizione scomoda per poter creare e in cui è facile mettergli pressione.
Invece quando Strootman e Nainggolan riescono a ricevere in zona centrale, e ancora meglio negli spazi di mezzo, la Roma diventa immediatamente più pericolosa: il gol di Dzeko nasce proprio da un filtrante del belga a scavalcare la linea difensiva dell’Inter. Lo splendido gol del bosniaco mette in mostra due aspetti: il primo è la qualità del gioco che Dzeko sta offrendo alla Roma, con movimenti perfetti sia in profondità che ad uscire, in una fase in cui i meccanismi offensivi sono ancora poco assimilati; il secondo è la difficoltà della linea dell’Inter a rimanere unita, con D’Ambrosio che su palla scoperta fa il movimento ad uscire, e Skriniar che neppure controlla la posizione di Dzeko.
C’è lavoro per Spalletti: i movimenti della linea, le difficoltà di Skriniar in marcatura, e lo splendido gol di Dzeko
Al di là del gol, la Roma riesce a ben eseguire alcuni strumenti di gioco: è come se piano piano stesse sbloccando dei livelli di apprendimento del sistema di gioco del suo allenatore. Contro l’Inter, sia nel primo che nel secondo tempo, si è vista una buona capacità di riconquistare il pallone (ben 15 in più dell’avversario), anche sulla trequarti: la Roma riconquistava bene il pallone quando l’Inter scaricava sulla fascia, con il movimento contemporaneo del terzino, la mezzala e l’ala (i tre sulla fascia sinistra hanno recuperato ben 29 palloni). Si comportava meno bene, invece, quando provava un pressing coordinato sull’inizio azione avversario anche in zona centrale, con movimenti a volte casuali che creavano grandi spazi alle spalle della linea di pressione.
Battere e levare
Nel secondo tempo l’ingresso di João Mário per Gagliardini, con il conseguente abbassamento di Borja Valero nel doble pivote, ha in realtà tagliato fuori l’Inter dal gioco per un lungo periodo: il portoghese non riusciva a farsi trovare tra le linee, vagando spesso senza meta, abbassandosi senza alcun motivo nella propria metà campo. L’inizio azione era certamente più fluido, grazie alla presenza di Borja Valero, ma i nerazzurri non trovavano più la superiorità posizionale così spesso come nel primo tempo.
Inoltre, nel secondo tempo la squadra di Spalletti ha affievolito la densità in zona palla per provare ad allargare la difesa della Roma, chiedendo alle ali di dare anche ampiezza: una mossa - di Spalletti o arrivata con l'inerzia della gara, non è chiaro - che alla fine risulterà decisiva.
Il quadrilatero di centrocampo dell’Inter stabilizza l’inizio azione, ma i movimenti errati di João Mário causano un inutile appiattimento nella propria metà campo e svuotano la trequarti della Roma.
L’inizio del secondo tempo è tutto della Roma, che sembra quasi fiorire: è tutto il sistema di gioco a funzionare molto meglio. La catena laterale sinistra sembra muoversi all’unisono: con Kolarov che dà maggior ampiezza, Strootman può farsi trovare più accentrato e Perotti può fare la cosa che fa meglio, cioè farsi dare la palla sui piedi restando largo per poi puntare l’uomo verso l’esterno o dentro il campo.
Nel secondo tempo la Roma sale di livello e comincia a muoversi come un blocco: qui le spaziature tra i giocatori sono ottime.
Il problema dei giallorossi è che nei venti minuti del secondo tempo in cui impongono il loro ritmo alla partita, non riescono a creare occasioni davvero nitide: il palo di Perotti (il terzo colpito dalla Roma durante i 90 minuti) è frutto di una splendida azione corale (10 giocatori coinvolti, 16 passaggi) ma è una conclusione estremamente difficile e con basse possibilità di entrare in porta (e la stessa cosa si può dire degli altri due pali colpiti: sostanzialmente sono prodezze balistiche di giocatori eccezionali).
Il pareggio dell’Inter arriva forse nel momento peggiore dei nerazzurri, ed è un regalo collettivo dei giallorossi, in cui però alcuni giocatori sembravano già stanchi (Strootman e De Rossi in particolare). La Roma paga caro la mancanza di una routine di uscita del pallone dalla fascia destra: com’era ampiamente prevedibile, l’Inter ha provato a schermare Juan Jesus per metterlo in difficoltà e costringerlo a lanciare verso il centro (il passaggio più rischioso). Il brasiliano in questo caso ha lanciato in zona centrale, trovando la testa di Vecino che ha servito immediatamente Candreva. A quel punto De Rossi temporeggia, rimanendogli molto lontano e abboccando alla sua finta; nel frattempo, per chiudere la possibilità del tiro, Fazio sbaglia completamente lettura e sale verso il portatore, sguarnendo la zona centrale; Manolas sembra seguire il taglio di Icardi, ma alla fine cambia direzione (forse anche lui stava seguendo il pallone pensando a un eventuale tiro di Candreva).
Il gol di Icardi è straordinario per capacità tecnica, propriocezione e visione della porta: si allunga per controllare e senza guardare la porta colpisce secco il pallone anticipando il portiere. Quasi un colpo da golf.
Perché la Roma ha lasciato che Juan Jesus fosse così in difficoltà? Era già accaduto el primo tempo (ecco la cura dei dettagli di Spalletti).
Subito dopo il gol, tra l’altro, la Roma ha avuto due nitide occasioni per tornare in vantaggio: prima con un taglio di El Shaarawy alle spalle di Dalbert (che, come Cancelo, avrà bisogno di un lungo apprendistato sulla fase difensiva), poi con una transizione di Perotti che però ha sbagliato il passaggio decisivo per Nainggolan.
La partita arriva alla svolta perché la Roma si fa ingolosire dal battere e levare: e invece di mantenersi compatta, comincia ad allungarsi e a difendere in un campo più grande, estenuate anche dalla ricerca costante della verticalizzazione. Di Francesco probabilmente non si rende conto anche della stanchezza di alcuni suoi giocatori, e questo contribuisce probabilmente ad allungare la squadra. A quel punto, rientra in gioco João Mário, ma soprattutto l’Inter riesce finalmente a isolare Perisic contro Juan Jesus: ci era riuscita solo una volta a inizio secondo tempo. In questo senso, ha influito anche la sostituzione di Defrel (che aveva un problema fisico) per El Shaarawy: senza il francese, sono venuti a mancare i raddoppi costanti su Perisic e a quel punto il croato ha potuto puntare in uno contro uno Juan Jesus. Il rasoterra indietro verso Icardi poi è bellissimo, come la finta di Candreva (solissimo durane tutto il suo tragitto in area di rigore) e ancora una volta il centravanti argentino segna con una prodezza tecnica, girandosi in un fazzoletto e calciando senza guardare la porta.
La passività del triangolo di centrocampo è evidente: Vecino serve João Mário in tranquillità, mentre El Shaarawy è in inferiorità tra il portoghese e Dalbert.
Il terzo gol si è presentato con dinamiche molto simili, con Perisic a bruciare Juan Jesus e il cross arretrato per Vecino, ma con la Roma ormai completamente spezzata in due. Di Francesco nel frattempo era passato al 4-2-3-1, con il turco Cengiz Ünder trequartista (entrato al posto di De Rossi), senza però raggiungere il pareggio. Una sostituzione forse tardiva, in una squadra che sembrava già soffrire fisicamente a 20 minuti dalla fine.
Gli xG dell’Inter si gonfiano ovviamente dopo il gol del 2-1, ma la Roma continua a produrre meno di quanto dovrebbe e potrebbe.
In una partita che ha vissuto di momenti ed episodi, entrambe le squadre hanno mostrato aspetti positivi del loro gioco, alternandoli ad altri su cui lavorare: la Roma ha fatto un notevole passo avanti nell’eseguire in campo i meccanismi di gioco di Di Francesco riuscendo in certe occasioni a mostrare dei movimenti armonici; l’Inter ha dimostrato di avere una struttura di gioco solida, di seguire il suo allenatore e di rimanere dentro la partita per tutti i 90 minuti: una squadra in cui i giocatori sembrano in piena fiducia, consapevoli dei propri mezzi.
Non si possono nascondere però i problemi, neppure per chi ha vinto: sono due squadre imperfette, ancora non in grado di controllare una partita neanche per fasi lunghe. L’Inter si è allungata troppo, con una linea difensiva ancora abbastanza scoordinata, e con un triangolo di centrocampo ancora da definire (Borja Valero meglio da regista o da trequartista?). La Roma si è disunita dopo il pareggio, esponendosi così alla tempesta interista, e rimane ancora molta difficoltà nell’elaborare il gioco offensivo, con Defrel a fare il tornante e quasi mai in aerea, Dzeko a volte abbandonato a se stesso, un inizio azione molto farraginoso (Manolas deve fare un salto di qualità con il pallone, altrimenti saranno guai). La fortuna non l’ha aiutata, ma le grandi squadre riescono a imporre il proprio contesto e non si dissolvono nelle difficoltà.
Per rivoltare tatticamente la Roma, Di Francesco dovrà compiere un salto di qualità: dimostrare di sapersi adeguare a un contesto diverso, il prima possibile, con piccole modifiche che permettano ai giocatori più importanti di rendere al massimo. L’Inter di Spalletti ha iniziato un percorso netto, con un progetto che non sarà facile da eseguire ma ben delineato: raggiungere i risultati attraverso il controllo del pallone e la ricerca della superiorità posizionale, con strappi continui in profondità del centravanti e delle ali. Due squadre imperfette, sì, ma che vogliono giocare a calcio, e che potranno arricchire la qualità tattica e tecnica del nostro campionato.