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Alessandro Ruta
Il primo sciopero del calcio femminile in Europa
19 nov 2019
19 nov 2019
Lo scorso weekend le calciatrici spagnole hanno deciso di non scendere in campo per migliorare le proprie condizioni lavorative.
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Alessandro Ruta
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Nell'anno che ha portato alla ribalta il calcio femminile, con il Mondiale in Francia che ha battuto ogni record di pubblico e probabilmente verrà ricordato come l'evento che ha portato l'intero movimento alla ribalta, anche in Italia, forse era inevitabile che l'Europa venisse coinvolta in quello scontro sul professionismo che da anni spacca gli Stati Uniti, dove il calcio femminile ha uno sicuramente uno status già riconosciuto.

 

Lo scorso weekend, tra il 16 e il 17 novembre, ha visto infatti le giocatrici della Liga attuare un vero e proprio sciopero, rifiutandosi di scendere in campo, e portando quindi alla cancellazione dell'intera giornata di campionato. E non è detto che questo sciopero non porti a conseguenze ulteriori, data la sua natura “

”, ovvero a tempo indeterminato.

 

Quali sono dunque le richieste delle giocatrici della Liga? In primo luogo un salario minimo garantito: 12mila euro lordi per i contratti di mezza giornata (quelli cioè di quattro ore al giorno per cinque giorni alla settimana, che rappresentano la maggioranza dei contratti in Liga) e di 16mila lordi per quelli “al 75%”, come vengono chiamati, cioè quelli "quasi a tempo pieno" (ovvero da sei ore al giorno per trenta settimane). L'offerta, per adesso, è ancora ferma ad un'offerta di 8mila lordi per i contratti di mezza giornata, mentre quelli al 75% non vengono nemmeno presi in considerazione perché considerati economicamente non sostenibili.

 



Non si è arrivati a questo sciopero all'improvviso. Anzi, è già da un anno e mezzo che le istanze vengono portate avanti, e sulla situazione può avere influito il fatto che il Real Madrid abbia finalmente istituito la sua squadra femminile, mentre le altre squadre (Barcellona, Atletico Madrid, Athletic Bilbao, Real Sociedad, Espanyol, Valencia, Siviglia, Betis, Rayo Vallecano e Levante) ce l'hanno da anni.

 

Florentino Perez, insomma, è arrivato tardi, assorbendo il Tacòn, squadra della capitale, che per questa stagione conserverà ancora il suo nome, ma dal 2020-21 diventerà il Real femminile a tutti gli effetti. Le ragazze si allenano già a Valdebebas a pochi metri di distanza dalla squadra maschile e in estate hanno completato una campagna acquisti in puro stile Real, acquistando alcuni dei volti più noti in ambito europeo, come le svedesi Asllani, Jakobsson e Aurelie Kaci, quest'ultima direttamente dall'Atletico Madrid. Nonostante ciò, il Tacòn non è partito bene e adesso si ritrova addirittura in zona retrocessione.

 

Negli ultimi anni i titoli se li sono spartiti soprattutto Barcellona, Atletico Madrid e Athletic, che rappresentano anche l'ossatura della Nazionale uscita agli ottavi di finale all'ultimo Mondiale (2-1 dagli USA, con doppietta di Meghan Rapinoe). L'Atletico Madrid ha avuto anche un'importanza culturale oltre che sportiva, facendo registrare lo scorso marzo al Wanda Metropolitano il record mondiale di spettatori per singola partita in ambito femminile: 60.739 persone, contro il Barcellona. L'Atletico Madrid, più in generale, viene da una stagione molto positiva ed è reduce da un quarto di finale in Champions League, a cui la Liga qualifica le prime due classificate.

 





 

È comunque un movimento stabilmente in alto nell'indice di gradimento, quello femminile in Spagna. Sono 60mila circa, le ragazze che praticano ufficialmente il calcio in Spagna. Ben più del doppio rispetto all'Italia, ma comunque meno rispetto ad altri colossi europei come Inghilterra, Francia, Germania, Svezia e Norvegia, dove si scollinano le 100mila.

 

Il calcio femminile da qualche anno non è più solo un orpello, un “di più” delle varie polisportive, ma in alcuni casi un punto di forza. Significativa in tal senso una decisione del 2018 della Real Sociedad, che ha deciso di cambiare nientemeno che il testo dell'inno ufficiale, identico dal 1970, per renderlo più inclusivo. Così laddove si cantava prima “

”, cioè “Avanti ragazzi”, adesso c'è “

”, “Avanti Real”, senza distinzione di genere. Una scelta che ha pure portato bene visto che le “

”, cioè le biancoazzurre, lo scorso maggio hanno vinto la Coppa de la Reina (il corrispettivo in rosa della Coppa del Re) battendo in finale proprio l'Atletico Madrid.

 

La Real Sociedad, tra l'altro ha recentemente deciso di rinunciare alla Supercoppa di Spagna, che si sarebbe dovuta disputare sempre tra queste due squadre, perché in disaccordo con la scelta degli uomini di giocare la stessa manifestazione in Arabia Saudita.

 

La zona dei Paesi Baschi, comunque, è tra le più all'avanguardia per quanto riguarda il calcio femminile. Uno status che è stato confermato simbolicamente tre anni fa dalla scelta dell'Athletic di permettere alla squadra femminile, dopo la conquista del campionato, di fare la parata in barca lungo il fiume che attraversa Bilbao, la Rìa. Prima di quel momento era stato un onore concesso solo alla squadra maschile. Il derby tra Athletic e Real, inoltre, è stato anche trasmesso in diretta sulla televisione locale basca in un matinée domenicale.

 



C'è da dire che fino al 2015 la situazione del calcio femminile in Spagna era a un livello amatoriale o poco più. Rarissimi, i casi di professionismo, un campionato scadente, una federazione disattenta, rimborsi spese bassissimi, al limite dell'offensivo. Le cose sono cambiate soprattutto a partire dalla miracolosa qualificazione al Mondiale canadese, che vedrà la Spagna eliminata già ai gironi ma che avrà il grosso merito di accendere i riflettori su alcune situazioni paradossali. Ad esempio, quella del commissario tecnico Ignacio Quereda, in panchina da 27 anni (ventisette!), messo lì dalla Federcalcio spagnola come un impiegato qualsiasi. Quereda non aveva avuto nessun altro incarico prima della panchina della Nazionale femminile, e non ne avrà altri dopo.

 

Fondamentale, quindi, che sarebbe stato rinominato dai giornali

”, “lo spirito del Canada”, dal luogo dove si era disputato il Mondiale nel 2015. Proprio l'exploit a questo Mondiale aveva portato le tre migliori calciatrici della squadra - Veronica Boquete, detta “Vero”, Ainhoa Tirapu e Natalia Pablos - a sfogarsi pubblicamente sullo stato del calcio femminile in Spagna. Soprattutto la prima - capitana, professionista (era andata a giocare all'estero, negli Stati Uniti) e leader carismatica - era diventata il volto di questa rivendicazione, bollata inizialmente quasi con scherno.

 

Già allora si parlava di tutela dei diritti lavorativi delle calciatrici e contratti migliori ad una platea che però stava iniziando a conoscere il calcio femminile solo in quel momento, come un sasso gettato con forza in uno inizialmente stagno piatto, triste e disinteressato. Le loro parole però avranno fin da subito degli effetti concreti. Quereda, ad esempio, si dimise dopo quell'esperienza, specie dopo che erano venuti fuori alcuni suoi atteggiamenti autoritari. «Ci chiamava "ragazzine", ci trattava con disprezzo», spiegò Boquete, «È andato da alcune di noi faccia a faccia dopo l'ultima partita al Mondiale, rimproverandole duramente per un errore, facendole piangere». L'ex CT della Nazionale fu accusato anche di scarsa professionalità: «Interrompeva gli allenamenti per rispondere alle telefonate».

 



Non che il presidente della Federcalcio spagnola, Angel Maria Villar, fosse un simbolo di rinnovamento visto che era ai vertici dal 1988. Ex calciatore dell'Athletic Bilbao dal 1971 al 1981, si era contraddistinto durante la sua carriera in campo specialmente per un cazzotto mollato a Johann Cruyff, che comunque lo schivò, in una partita contro il Barcellona nel marzo 1974. Pettinato già da giovane con una riga a sinistra che lo rendeva ancora più vecchio, specialista dei passaggi all'indietro, come verrà ricordato in maniera perfida da alcuni analisti, già da calciatore Villar aveva cominciato a fare il sindacalista, in aiuto ai colleghi. Nel 2017, però, è stato arrestato assieme al figlio Gorka, tra gli altri, con l'accusa di corruzione, evitando il carcere pagando una cauzione di 300mila euro. Nel frattempo, però, era stato "premiato" con la vice-presidenza della FIFA.

 

Villar comunque non è l'unico personaggio ad essere salito sul palcoscenico di questo sciopero, su cui si sono alternati molti attori, tutti con i loro interessi. Come la AFE, il massimo sindacato di rappresentanza dei calciatori e delle calciatrici in Spagna, fondato proprio da Villar, e il suo presidente, David Aganzo, ex attaccante di Racing Santander, Alaves e Rayo Vallecano, uscito dal settore giovanile del Real Madrid.

 

Una delle personalità più importanti della vicenda, però, è il nuovo presidente della Federcalcio: Luis Rubiales. Laureato in legge dopo aver smesso col pallone, è diventato celebre nell'estate 2018 per il licenziamento

planetaria di Julen Lopetegui a due giorni dal Mondiale in Russia, colpevole di aver trovato in contemporanea un accordo col Real Madrid senza avvisare la Federazione.

 

Figlio di un militante prima del Partito Socialista e poi di Podemos, ex calciatore come Villar, ma a un livello molto più basso (squadra più importante dove ha militato, il Levante), terzino sinistro di fatica, Rubiales ha dalla sua soprattutto la carta d'identità, visto che ha 42 anni, tanta voglia di fare e di rinnovare. “Il cambio non si può fermare”, era stato il suo slogan alle elezioni presidenziali. Rubiales conosce, essendo stato anch'egli al vertice dell'AFE per un decennio, i diritti e le richieste degli atleti. C'era proprio lui, ad esempio, dietro lo sciopero dei calciatori dell'agosto del 2011, che costrinse la Liga ad iniziare con una settimana di ritardo.

 

Rubiales è anche uno dei principali rivali di Javier Tebas, presidente della Liga maschile. Tebas è l'uomo che ha "inventato" lo “spezzatino estremo”, cioè la regola che ha portato il campionato spagnolo a non avere nessuna partita in contemporanea durante una giornata di campionato, e che vorrebbe far giocare all'estero, magari negli Stati Uniti, qualche incontro, almeno uno all'anno. Tebas alle elezioni presidenziali del 2018 appoggiava senzi mezzi termini il rivale di Rubiales, Juan Luis Larrea, con cui recentemente ha avuto l'ultima di tante diatribe, sulle partite il lunedì sera, criticate pesantemente sia dalla Federazione che dai tifosi.

 

Tebas è anche l'uomo di congiunzione tra la Liga e Mediapro, che possiede i diritti del campionato spagnolo, sia maschile che femminile (e che

anche nel mercato italiano dei diritti TV). E a questo proposito è utile ricordare che ogni settimana una partita di campionato maschile (di prima e seconda divisione), nonché una di quello femminile e una di Champions femminile con una spagnola coinvolta, vengono trasmesse in diretta e in chiaro, sul canale tv Gol.

 



È proprio all'interno del triangolo Federcalcio-Liga-Mediapro che le calciatrici spagnole stanno portando avanti la loro battaglia. Ad organizzare il campionato femminile è sempre stata la Federcalcio spagnola, ma persino questo ambito è stato toccato dalle frizioni tra Rubiales e Tebas, con Mediapro spettatrice interessata. Innanzitutto va detto che l'interlocutore della federazione è l'Asociaciòn de Clubes (AC), sostenuta da Tebas e presieduta da Ruben Alcaine, a cui hanno aderito, in compenso, solo 13 delle 16 squadre della Liga. Restano fuori, convinti di poter far valere meglio il loro peso, tre club di “fascia A”: Athletic Bilbao, Barcellona e Tacòn, il futuro Real Madrid.

 

Già questo è un bel vuoto di sceneggiatura. Anche perché alle riunioni tra Asociaciòn de Clubes e le altre parti coinvolte si sono presentati pure i rappresentanti delle tre squadre fuori dall'AC, provocando non pochi malumori. In effetti, almeno in teoria, Athletic, Barça e Tacòn non c'entravano nulla, lo scontro era principalmente tra la federazione e i sindacati. Athletic, Barça e Tacòn hanno infatti accordi televisivi di altro tipo, stipulati direttamente con la Federcalcio, da 500mila euro a stagione. Le altre 13, compreso il Siviglia che ha concluso l'accordo con Mediapro proprio durante la serrata, 200mila circa fino al 2022.

 





 

In sostanza abbiamo l'AC e Mediapro da una parte, e la Federazione dall'altra. E in questo gioco di “reciproci fastidi”, a marzo di quest'anno Rubiales, a nome della Federazione, ha provato a risolvere la situazione presentando l'idea di un campionato diverso da quello attuale.

“Futbol Femenino Elite”, spiegando che sarebbe stato di stampo più professionistico, con sedici squadre massimo coinvolte, in base a determinati requisiti, in realtà mai comunicati ufficialmente, ma che potrebbero essere la cessione dei diritti d'immagine alla federazione e non più a Mediapro, un certo numero di giocatrici provenienti dal vivaio e norme salariali uguali per tutti. Notare che il nome della competizione non sarebbe stato più “Liga”, proprio per distinguersi dal campionato maschile, e quindi in sostanza da Tebas. Questo progetto avrebbe portato anche alla creazione di una Segunda Divisiòn, chiamata “Promesas”, di 32 squadre divise in quattro gironi da otto su base territoriale.

 

Anche a livello economico Rubiales ha alzato di molto l'asticella, offrendo alle società una somma maggiore a quella che già ricevono da Mediapro, e cioè 500mila euro a stagione a club per quelli attualmente in Prima Divisione (stessa cifra data ad Athletic, Barça e Tacòn, due volte e mezza i 200mila che ogni club dell'AC prende da Mediapro ad oggi per ogni stagione fino al 2022), 100mila a stagione a quelli di Seconda.

 

Rubiales ha provato ad utilizzare questa offerta anche come arma negoziale, in cambio dell'annullamento dello sciopero. Proprio questa proposta ha rappresentato un primo incagliamento della situazione, dato le difficoltà dei 13 club dell'AC nel rescindere l'accordo con Mediapro, e nel rinegoziare tutta una serie di condizioni, tra cui la possibilità di trasmettere sulla piattaforma le gare interne di campionato che coinvolgono le tre squadre non appartenenti all'AC (Tacòn, Barcellona e Athletic Bilbao). Mediapro si è detta anche disposta a trattare, ma i rapporti con la Federcalcio spagnola sono così ostili che alla fine non se n'è fatto più niente. Mediapro che aveva anche provato ad offrire 1.5 milioni extra sull'unghia ai 13 club dell'AC, trasmettendo due partite in diretta tv a settimana invece di una. Ma anche questa offerta è stata rimandata al mittente.

 

A complicare ulteriormente la situazione ci si è messa anche la crisi di governo che nel frattempo ha cambiato un altro attore in causa, e cioè il Ministero del Lavoro e il SIMA (

), l'ente incaricato di risolvere qualsiasi conflitto lavorativo. Proprio nel bel mezzo dello sciopero si è andati ad elezioni per la quarta volta in quattro anni - elezioni che hanno cambiato gli equilibri politici all'interno del governo di Madrid.

 



Non sappiamo come andrà a finire questa battaglia negoziale. Quello che sappiamo, però, è quanto è cambiato il contesto mediatico e politico intorno al calcio femminile spagnolo. Parliamo di due pagine fisse ogni giorno sui quotidiani sportivi, un mega-sponsor per il massimo campionato dal 2016 (la compagnia energetica Iberdrola, che già sostiene altre leghe femminili come quella di pallamano o pallavolo per un totale di 80mila euro a club), migliaia di euro di diritti TV che entrano e entreranno in futuro, divisi in parti uguali, nei club e un'ottima copertura televisiva.

 

Insomma, lo “spirito del Canada” ha portato i suoi frutti - rimane da vedere, però, quanto le calciatrici saranno coinvolte in questa crescita generale del movimento. E questo è meno scontato. Ad esempio, una delle protagoniste della protesta, Veronica Boquete, è stata via via esclusa dalle convocazioni della Nazionale, e non è possibile escludere del tutto la possibilità che questa sia stata una sorta di mossa "punitiva". Alla fine parliamo di una calciatrice che ha giocato nel Bayern Monaco e nel PSG, e sempre con contratti da professionista, cosa tutt'altro che scontata in Spagna. Ufficialmente la Spagna sta rinnovando la sua Nazionale femminile per lasciare spazio alle più giovani, che nel 2018 hanno conquistato un Mondiale Under 17.

 

In ogni caso, il problema è estendere a tutte i benefici della recente crescita del calcio femminile in Spagna. È lampante, ad esempio, che nella stessa Liga ci siano situazioni di Serie A e di Serie B, e forse persino di Serie C. Nel campionato spagnolo convivono realtà come quelle del Barcellona, dell'Atletico Madrid e, solo dall'anno scorso, dell'Athletic Bilbao, che fanno firmare alle loro giocatrici contratti come professioniste, a tempo pieno, con maternità e vacanze pagate, e realtà come quelle del Logrono, dello Sporting Huelva, del Granadilla di Tenerife e del Madrid CF (“cugine” del Tacòn), dove si è a un livello molto più basso e le giocatrici sono costrette ad integrare il proprio stipendio con altri lavori, pur dedicando la maggior parte del tempo ad allenarsi. A questi club, comunque, l'Asociaciòn de Clubes

ulteriori 80mila euro soprattutto per marketing e attività social.

 

Tra queste realtà a metà tra l'amatoriale e il professionista, è celebre l'impresa dello Sporting Huelva, capace di vincere la Copa de la Reina nel 2015, il corrispettivo femminile della Coppa del Re, a Melilla contro il Valencia. Tutte quelle ragazze al pallone abbinavano studio o lavoro per arrotondare, compresa la centravanti Cristina Martin, autrice del gol decisivo e che poi si sarebbe trasferita al Granadilla. Nessuna calciatrice dello Sporting Huelva ha,

dal suo presidente, Francisco Javier Lopez Rey, un contratto a tempo pieno. «Ogni anno il 30-40% di ciò che abbiamo stanziato nel preventivo finisce a ripianare le perdite della stagione precedente», ha dichiarato Rey.

 

«Ogni viaggio ci costa 7mila euro» afferma invece Sergio Batista, il massimo dirigente del Granadilla di Tenerife, caso estremo della Liga perché costretto a spostarsi dall'isola in aereo per 15 trasferte. «Alle ragazze diamo uno stipendio dignitoso, una casa in affitto, e sono 800 euro al mese che se ne vanno. Per fortuna tra gli sponsor abbiamo una compagnia di automobili così le macchine sono un problema meno grave», dice Batista che poi chiede in maniera provocatoria: «Volete più obblighi da parte nostra? Dateci più entrate. Non è giusto perdere a tavolino ciò che abbiamo guadagnato sul campo».

 

Se sindacati e atlete chiedono salari minimi garantiti da 12mila e 16mila euro lordi in base ai contratti, l'Asociaciòn de Clubes, invece, ha proposto 8mila euro minimi per i contratti di mezza giornata, ritenendo ingestibile da un punto di vista economico l'altra opzione. Se le richieste delle giocatrici fossero state accettate, le spese per i club avrebbero rischiato di aumentare in un colpo solo fino a 350mila euro a stagione, con il risultato di metterli quasi tutti in forte difficoltà economica. Per un club come il Granadilla, ad esempio, significherebbe, escludendo le entrate di partite o pubblicità, vedere scomparire i 360mila euro che prende dagli introiti derivanti dai diritti TV, dallo sponsor della Liga e dagli altri contributi federali, anche a causa degli altissimi costi di gestione anche solo per organizzare gli spostamenti dall'isola di Tenerife.

 

Questo, però, non deve inficiare la lotta delle calciatrici, che è una lotta in primo luogo per la tutela dei propri diritti. E in questo senso, non stupisce che ben il 93% delle 188 calciatrici tesserate nei club dell'AC

con lo sciopero. D'altra parte alcune differenze tra calcio maschile e calcio femminile sono talmente marcate da sembrare quasi comiche. Due anni fa il premio-vittoria per la Liga alle calciatrici dell'Atletico Madrid era di 54 euro a testa, cifra ridicolà di per sé, ma che impallidisce ancora di più di fronte a ciò che possono prendere i giocatrici del Real Madrid maschile per lo stesso obiettivo, e cioè 300mila euro. Un altro esempio abbastanza palese è quello che riguarda il costo dell'intera rosa del Barcellona femminile, che per il club blaugrana ha un peso minore rispetto al solo stipendio di Nelson Semedo - uno dei meno pagati, peraltro, della squadra maschile. Lieke Martens, la stella olandese delle blaugrana, prende 120mila euro (lordi) a stagione dopo che il suo trasferimento, considerato da record,

30mila euro al club blaugrana per strapparla al Rosengard nel 2017.

 

Anche le giocatrici che sono andate via dalla Spagna per giocare in campionati più competitivi e da professioniste, come quello americano, sono d'accordo. «Lo sciopero è assolutamente giusto»,

la nazionale Celia Jimenez, che dopo le giovanili nella sua Andalusia ha deciso di trasferirsi negli Stati Uniti dove ha studiato Ingegneria Aerospaziale all'Università dell'Alabama ed è stata scelta al draft del 2018 (36/a assoluta) dal Reign, la squadra di Meghan Rapinoe. «Ho preso questa decisione, di venire in America, per poter conciliare carriera accademica e sportiva in un ambiente che stimola entrambe le attività. Il contratto che abbiamo qua prevede stipendio minimo, maternità, malattia, tutte cose che nella Liga non hanno, ma che dovrebbero poter avere». Celia, che nella pausa tra una stagione e l'altra della MLS femminile è stata ceduta in prestito al Rosengard, ribadisce: «La gente pensa che non lavoriamo, diamo due o tre calci al pallone per qualche ora a settimana, senza considerare che dobbiamo tenerci in allenamento, seguire una dieta e un certo stile di vita per poter raggiungere determinati risultati».

 

Tra le giocatrici, però, c'è anche chi non è d'accordo, anche se come detto rappresentano una minoranza. Ecco

, Maddi Torre, difensore centrale della Real Sociedad, studentessa e praticante in Medicina: «Stanno facendo tutto con troppa fretta, ne ho discusso anche con le mie compagne di squadra. Non è la strada migliore per ottenere ciò che vogliamo, anche se in linea di massima sono d'accordo con la protesta», ha ammesso la giocatrice, che ha avuto anche modo di replicare via social network a qualcuno che la accusava di non lavorare.

 

In tutto ciò le giocatrici, la maggior parte delle quali, per dire, non ha procuratori, al massimo qualche famigliare che gestisce i contratti, quasi sempre di un anno (da qui si spiegano i tantissimi affari che si concretizzano a parametro zero), si sono schierate per difendere i loro diritti e domandare nulla più che un trattamento minimo, da lavoratrice precaria (sarebbero circa 13mila euro netti all'anno, mille euro al mese o poco più).

 




Non è la prima volta che le giocatrici provano ad alzare la voce per far valere i loro diritti. Già in passato era successo

, con la Nazionale femminile della Danimarca che nel 2017 aveva protestato per il differente trattamento economico rispetto ai colleghi uomini, facendo annullare una partita di qualificazione al Mondiale contro la Svezia. Uno 0-3 a tavolino che probabilmente era costato alle danesi proprio la partecipazione alla rassegna iridata, visto che avevano terminato seconde il girone per poi perdere agli spareggi contro l'Olanda.

 

Questa, però, è la prima volta in cui un campionato in blocco si ferma per uno sciopero, a livello femminile. Uno sciopero appoggiato da alcuni colleghi maschi (come Griezmann e Iniesta) che per adesso rimane molto partecipato e compatto: tra sabato e domenica nessuna squadra si è presentata per la giornata di campionato, mentre una sola giocatrice, proprio Maddi Torre della Real Sociedad, si è presentata agli arbitri durante la ricognizione prima dell'incontro - in casa, contro il Barcellona, in quello che sarebbe stato il match clou della giornata.

 

Ieri, però, prima che la situazione precipitasse definitivamente, il SIMA è riuscito a trovare una soluzione tampone che le calciatrici hanno deciso di accettare: le squadre torneranno in campo a partire dal prossimo weekend, mentre nel frattempo le parti in causa proveranno a trovare un modo per finanziare le richieste sindacali delle giocatrici, con il 20 dicembre come limite temporale massimo. Entro quella data la AC si è detta fiduciosa di poter raggranellare quel milione e mezzo che servirebbe a finanziare queste misure. Ma è difficile dire oggi se questo basterà.

 

 

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