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Foto di Adam Davy - PA Images / Getty Images
Calcio Roberto Scarcella 4 febbraio 2022 6'

La sostituzione più assurda della storia

Un cambio fatto solo per generare caos.

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«Era la prima volta che la mia fidanzata veniva a vedermi giocare. A fine partita mi chiese se quel che aveva visto succedesse sempre. Risposi che non le sarebbe mai più capitato in tutta la sua vita». Lo racconta David James, ex nazionale inglese, professione portiere, a parte in quella cosa che la sua fidanzata aveva appena visto. Quel che aveva visto era una delle sostituzioni più assurde della storia della Premier League, e forse anche del calcio d’alto livello.

 

Perché giocatori di movimento diventati per qualche minuto portieri improvvisati a causa di un infortunio o di un’espulsione ne abbiamo visti ormai a decine: alcuni hanno fatto figure meschine, altri trascurabili, con i picchi, almeno in Italia, raggiunti da Francisco Farinós, che nei quarti di finale di Coppa Uefa – nel 2002 – contro il “suo” Valencia, entrò al posto di Francesco Toldo e salvò l’Inter respingendo goffamente tutto senza parare davvero mai, e David Di Michele, che in uno spettacolare Udinese-Lecce 5-4 di Coppa Italia riuscì nell’impresa di fare prima una doppietta e poi parare un rigore al novantesimo a Mirko Vucinic. L’ultimo eroico esempio è quello di Chaker Alhadhur, terzino delle Comore schierato per tutti e novanta i minuti in porta contro il Camerun – negli ottavi di Coppa d’Africa – perché il titolare era infortunato e le due riserve in quarantena per il Covid.

 

Ci sono poi portieri specialisti dei calci piazzati, come Rogério Ceni, José Chilavert, René Higuita e Hans Jörg-Butt e altri abbastanza talentuosi sia dentro che fuori dai pali, come il messicano Jorge Campos. Infine, i portieri che si avventurano in avanti per l’ultimo corner alla ricerca di un gol in stile assalto con la baionetta: la casistica è ampia, da Michelangelo Rampulla, primo a riuscirci in serie A (nel 1992, in Atalanta-Cremonese 1-1), ad Alberto Brignoli del Benevento, guastafeste dell’esordio di Gennaro Gattuso sulla panchina del Milan, il 3 dicembre 2017. Anche qui c’è una superstar, Peter Schmeichel, capace di andare a segno con cinque maglie diverse: Hvidovre, Brøndby, Manchester United, Aston Villa (contro lo United) e Danimarca (su rigore).

 

David James non appartiene a nessuna di queste categorie, tanto per cominciare perché è l’unico portiere ad essere finito a fare quel che ha fatto senza deciderlo e senza sapere cosa avesse in testa chi aveva deciso per lui.

 

Sarà ovviamente un disastro, ma a tanto così dal trionfo. Proviamo ad andare con ordine, per quanto sia possibile farlo con un allenatore come Stuart Pearce, nome di battaglia: “Psycho”. Iconico difensore del calcio inglese anni ’80-’90, capitano dell’ultimo, decadente e poi decaduto Nottingham Forest di Brian Cough, Pearce era famoso per il suo stile di gioco ruvido e – soprattutto – suo malgrado, per un rigore decisivo sbagliato in mondovisione contro la Germania Ovest nella semifinale di Italia ’90. Pearce si rifarà sei anni più tardi, in una competizione che nemmeno doveva giocare, calciando e segnando uno dei rigori che eliminano la Spagna ai quarti di finale di Euro ’96 (l’Inghilterra poi perderà di nuovo in semifinale, di nuovo ai rigori, di nuovo contro la Germania).

 

Nemmeno sei mesi dopo, Pearce, che ha già 34 anni ed è alla sua dodicesima stagione con la maglia del Forest, si ritrova di colpo nel ruolo di allenatore-giocatore dopo le dimissioni di Frank Clark. La sua prima panchina è contro l’Arsenal del nuovo manager Arsène Wenger, in lotta per il titolo. Sembra una missione impossibile, e alla fine lo sarà, perché il Nottingham chiuderà il campionato in fondo alla classifica, ma quel giorno, sotto 1-0 per un gol di Ian Wright, la squadra di Pearce ribalta il risultato con la doppietta di un difensore, Alf-Inge Haaland (padre di Erling Haaland).

 


A gennaio il Forest (che crollerà in primavera) è fuori dalla zona retrocessione e Pearce vince il titolo di “Manager del mese”. Forse quel premio non glielo avrebbero dato se avessero saputo quel che stava combinando prima dell’esordio con l’Arsenal: una storiella – raccontata poi negli anni da Pearce – che include un portiere, anzi no, a dire il vero.

 

In pratica, il neo allenatore faticava a trovare la quadra alla formazione e dopo una notte insonne consegnò il foglietto con l’undici titolare al suo vice, che gli rispose: «Stuart, manca il portiere». «Ma no, sono undici. Controlla». «Sì sono undici, ma non hai messo nemmeno un portiere». Il portiere, Mark Crossley, alla fine ci sarà. Come ci sarà, otto anni e mezzo più tardi, David James a difendere i pali del Manchester City di Pearce nell’ultima giornata di Premier League contro il Middlesbrough.

 

È una partita decisiva perché il City, in caso di vittoria, scavalcherebbe il Boro e si qualificherebbe per la Coppa Uefa. Lo stadio è quello di casa, che però non si chiama ancora Etihad: devono ancora arrivare gli sceicchi, i soldi, i grandi campioni. C’è qualche ottimo giocatore a fine corsa, come Steve MacManaman e Robbie Fowler, il talentoso statunitense Claudio Reyna e poco altro. Nicolas Anelka se n’è andato a metà stagione (al Fenerbahce). Il quarto portiere è il diciottenne Kasper Schmeichel, figlio di un fenomeno che a volte sa anche fare gol.

 

Andare in Coppa Uefa per il City e per Pearce sarebbe un grande risultato. Quel giorno, il 15 maggio 2005, lo stadio – pieno – è pronto a fare festa, ma viene gelato al 23’ da una rete di Jimmy Floyd Hasselbaink. Sembra finita, ma un minuto dopo l’intervallo Kiki Musampa segna il pareggio. Serve un altro gol al City e in panchina ci sarebbe l’attaccante che è stato pagato 5 milioni di sterline per segnarli, Jon Macken. Ma Pearce, sebbene sconsigliato dal suo vice, decide comunque di fare di testa sua. All’88’ minuto entra in campo Nicky Weaver, il secondo portiere: a uscire però non è James, ma il regista Claudio Reyna.

 

Pearce, in gran segreto, nei giorni precedenti, aveva fatto stampare una maglia da giocatore di movimento con il nome di James e il numero 1, e poi –  durante quel cambio surreale – gliel’aveva data. L’idea era sfruttare la stazza di James per buttare palloni alti in area e – parole di Pearce – «fare casino»: il suo metro e 93, insieme all’effetto sorpresa, che lì per lì galvanizzò il pubblico, avrebbero dovuto fare il resto. La prima giocata al limite dell’area avversaria è tragicomica: James stoppa male il pallone, riesce in qualche modo a tenerlo in mezzo a tre avversari, ma poi non riesce a fare di meglio che rifilare un calcione negli stinchi a un difensore. Fallo.

 

La palla rimbalza sempre dalle sue parti. In pieno recupero arriva un cross da destra, James è nell’area piccola sul secondo palo, ma prima che il pallone gli arrivi, un difensore interviene con la mano. Il folle piano di Pearce, nonostante lo stile poco elegante, sta pagando. Sul dischetto va Fowler, che si fa bloccare il tiro da Mark Schwarzer (se vi suona familiare, è il portiere dell’Australia che nel 2006, ai Mondiali, non parò il rigore di Francesco Totti).

 

 

Restano altre due azioni in cui James dà il peggio: sull’ultima palla che arriva a spiovente dal limite anticipa in sforbiciata un compagno di squadra lisciando il pallone, che gli ritorna sui piedi. Al secondo tentativo la palla s’impenna e lui riesce ad abbattere, con un solo calcio, due avversari che cascano contemporaneamente uno a destra e uno a sinistra, come birilli colpiti da una palla da bowling. La partita finisce, il Middlesbrough si qualifica per la Coppa Uefa (dove l’anno dopo arriverà in finale, sconfitto dal Siviglia, all’epoca al suo primo successo europeo), il portiere inglese tiene fede al suo sciagurato soprannome “Calamity” James (nato in realtà per alcuni suoi celebri errori con le mani) e prova a spiegarsi così: «L’allenatore voleva che giocassi da riferimento in avanti, invece mi sono messo a fare il numero dieci». Pearce si giustifica dicendo quel che avrebbe detto chiunque dopo un finale del genere: «Se Fowler avesse segnato il rigore, quel cambio sarebbe stato visto come un colpo di genio, invece è passato per una fesseria».

 

James, la cui carriera – soprannomi e doti da attaccante a parte – è di tutto rispetto (sette anni al Liverpool, una Fa Cup col Portsmouth, 53 presenze nell’Inghilterra, un Mondiale e un Europeo da titolare), nemmeno cinque mesi dopo lo scempio con il Middlesbrough, rischia di fare il bis con il Fulham, sempre con Pearce in panchina, che però – stavolta – almeno non gli aveva chiesto niente. Siamo nei minuti finali, il City perde 2-1, ma guadagna un calcio d’angolo: James si butta avanti e il pallone viene calamitato dalle sue parti, ma lui incespica goffamente e passa la palla agli avversari. Parte un contropiede velocissimo con quattro giocatori che viene salvato miracolosamente sulla riga dall’unico difensore rimasto, il cinese Sun Jihai.

 

 

Dopo quell’esperienza al Manchester City, chiusa nel 2007, Pearce – che diventerà anche selezionatore ad interim della Nazionale inglese dopo l’improvviso addio di Capello – non allenerà mai più in Premier League: sono passati 15 anni. James, invece, giocherà – rigorosamente in porta – fino al 2014 con due ultime esotiche esperienze in Islanda e in India: è uno dei pochissimi calciatori ad aver disputato più di 1000 incontri da professionista, inclusi 6 minuti da dilettante allo sbaraglio.

 

Tags : david james

Roberto Scarcella è nato a Savona. Ha lavorato per 15 anni al Secolo XIX e scritto reportage e inchieste per La Stampa. Oggi è responsabile esteri del quotidiano svizzero La Regione. Viaggiatore compulsivo, ha raccontato i suoi vagabondaggi in "Disavventure nel mondo" sul Secolo XIX e ora su Ticino 7 con "Disavventure latine". Ha giocato in Serie D e una volta, pagando, anche al Villa Park con la maglia dell'Aston Villa.

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