
Ieri c'è stato il sorteggio della UEFA Champions League e anche dell'Europa League. Ad alcune italiane è andata piuttosto bene - come all'Inter o al Napoli - ad altre molto meno, come alla Juventus o alla Lazio. Analizziamo gli avversari uno per uno, cercando di analizzare quali sono gli aspetti da tenere d'occhio.
L’Atlético Madrid per la Juventus
di Daniele V. Morrone
Pescare l’Atlético Madrid agli ottavi di finale non è certo una fortuna per la Juventus. Quella di Simeone era, insieme al Liverpool, la squadra più pericolosa da poter affrontare in questi ottavi. Si tratta di una formazione con un’enorme esperienza europea e un talento diffuso che sfocia in picchi assoluti (come nella colonna vertebrale Oblak-Godín-Saúl-Griezmann) e in un grande allenatore. Ma, come ha scritto Allegri sul suo profilo twitter, “chi ha ambizione non ha timore”.
La vittoria della Champions League è l’obiettivo dichiarato della Juventus, ed era quindi in ogni caso inevitabile incontrare prima o poi una squadra del livello dell’Atlético Madrid sul proprio percorso. In questo senso, meglio affrontare agli ottavi l’Atlético Madrid che in semifinale o addirittura in finale (anche perché si gioca proprio al Metropolitano). La Juventus sembra al momento una squadra superiore, forse la migliore in Europa nello sviluppo delle diverse fasi di gioco.
Il principale vantaggio della Juventus ora sta nel modo con cui la difesa gestisce la manovra avversaria, ma anche per come il suo attacco riesce a trovare sempre un modo per arrivare in porta. La Juventus vista in Europa è una squadra abile a sfruttare tutto il campo di gioco grazie all’alternanza di movimenti senza palla e a passaggi corti e lunghi. Un gioco che si poggia a sua volta su talenti individuali in grado di trovare gol dal nulla come Cristiano Ronaldo e Dybala.
L’Atlético si affida a talenti di pari livello, come Griezmann e Saúl, ma non ha ancora un sistema del tutto definito. A questa situazione si aggiungono i problemi fisici per Diego Costa, che si è operato da poco al piede e dovrebbe quindi stare circa due mesi fuori, forzando per arrivare al meglio all’andata e che molto probabilmente sarà al 100% solo per il ritorno. Lo stesso Griezmann si è detto non ancora al 100%: «Ancora posso migliorare, non sto al mio miglior livello. È stato un anno lungo e a volte mi manca velocità». Ovviamente questo non ha impedito all’Atlético di essere comunque in lotta per il titolo della Liga, avendo perso solo una partita, contro il Celta alla terza giornata.
Nelle grandi partite ha pareggiato sia contro il Barcellona che contro il Real Madrid. Ha perso una sola partita anche nel girone di Champions League, contro il Borussia Dortmund per 4-0, stessa squadra contro cui è arrivata anche la partita più convincente dei gironi, una vittoria per 2 a 0.
C’è da dire che le squadre come l’Atlético puntano ad arrivare a febbraio ad avere un sistema definito e i giocatori nel picco della condizione. La Juventus al momento ha un vantaggio tattico chiaro: vuoi per l’età avanzata di Filipe Luis e Juanfran, vuoi per il poco talento offensivo di Lucas Hernandez e Arias, finora i terzini dell’Atlético rappresentano il punto debole della squadra, che sta avendo problemi a dare ampiezza e profondità sugli esterni. In questo senso c’è tempo per poter lavorare su questo fronte.
Non possiamo dire ora che squadra sarà l’Atlético di Madrid a febbraio, solo Simeone può sapere dove vuole arrivare con lo sviluppo del suo sistema e per noi è difficile fare delle previsioni sulla sfida contro la Juventus. Non sappiamo se vorrà continuare la ricerca della fluidità offensiva, che ad inizio stagione sembrava il grande tema dello sviluppo tattico della squadra ma è ancora totalmente in divenire. A quel punto diventerebbe una sfida tra chi segna di più. Non sappiamo se invece vorrà tornare a concentrarsi a spingere sullo zoccolo duro difensivo visto il tipo di gioco che fa al momento la Juventus. Scegliendo allora una sfida a chi subisce meno. Quello che però sappiamo è che storicamente il meglio l’Atlético lo dà proprio da febbraio in poi, quando arrivano le partite importanti ed è finito il tempo degli esperimenti.
Sappiamo anche che questa è la rosa migliore mai avuta a disposizione da Simeone, con un talento distribuito su tutta la rosa ed eterogeneo nelle caratteristiche: l’Atlético può presentarsi per pressare alto, come per giocare sugli spazi con una linea bassa; può avere un centrocampo tecnico e fluido nei movimenti con Correa-Koke-Saúl-Lemar, ma anche uno fisico come Saúl-Partey-Rodri-Koke, pronto a non perdere un duello individuale. Può anche disporsi in un 4-3-3 a partita in corso, con un tridente con Griezmann al centro e due esterni tecnici come Lemar e Correa, ma anche uno da corsa in caso di vantaggio acquisito con Costa al centro e Griezmann e Saúl esterni.
Per rendere la vita difficile alla Juventus l’Atlético può colpire su due fronti: uno è la ricezione di Pjanic, utilizzando un giocatore sempre nella sua zona (come Griezmann quando si abbassa il bosniaco) e invitando quindi la Juventus ad impostare attraverso il lancio di Bonucci e giocandosi quindi la bravura nei contrasti aerei della sua linea difensiva (soprattutto nei centrali Godín e Gimenez). L’altro è giocare contro Cancelo, il miglior elemento scardina pressione della Juventus, che però è ancora da verificare in un contesto dispendioso, come può essere uno in cui ha sempre Lemar alle sue spalle o ancora di più contro uno dei giocatori migliori al mondo in questo contesto come Saúl.
Questo Atlético, rispetto alle stagioni passate ha scoperto l’utilità delle ali, con l’inserimento di Lemar a sinistra e l’esplosione di Correa a destra. Quando Simeone però prevede una partita pià combattuta tende a inserire Saúl a sinistra, quindi vederlo sulla fascia di Cancelo.
Per quello che può valere questo tipo di statistiche storiche, la Juventus di Allegri ha pareggiato 0-0 e perso 1-0 nell’unico scontro con l’Atlético di Simeone, nei gironi della Champions League 2014/15. Simeone invece non ha mai perso negli 8 incontri con una squadra italiana. Va detto che giocare la prima in casa può essere un vantaggio per l’Atlético, perché può impostare una doppia sfida puntando a non prendere gol all’andata e sfruttare il vantaggio di poter segnare un gol che vale doppio al ritorno. Insomma il tipo di piano per l’eliminatoria classico per Simeone, che storicamente all’andata punta a sedare la partita controllando gli spazi in campo e al ritorno spinge nei minuti iniziali un pressing alto e un’intensità con pochi paragoni per forzare errori e generare imprevedibilità. Giocandosi poi tutto sulla capacità dei suoi singoli di vincere i singoli duelli diretti.
Il motivo principale per cui è stato acquistato Cristiano Ronaldo però è proprio per risolvere questo tipo di partite in Champions League, che promettono di essere bloccate soprattutto all’andata. Deve essere quindi lui l’ago della bilancia contro l’Atlético di Madrid. Lui è quello che nella semifinale di andata della Champions League 2017 ha segnato una tripletta proprio contro l’Atlético nel 3-0 all’andata. Ronaldo contro l’Atlético ha segnato ben 22 gol, potrebbe bastare anche solo il 23esimo per decidere un’eliminatoria come questa.
Il Porto per la Roma
di Dario Saltari
A distanza più di due anni e mezzo, Roma e Porto si rincontreranno in Champions League in uno scontro di andata e ritorno ad eliminazione diretta. L’ultima volta, come i romanisti ricorderanno dolorosamente, la Roma venne eliminata dalla squadra portoghese ai playoff per entrare nella fase a gironi, soprattutto a causa del suicidio compiuto nella partita di ritorno, con un gol subito dopo appena 8 minuti e due espulsi all’inizio del secondo tempo (finirà, mestamente, 0-3, dopo l’incoraggiante 1-1 dell’andata). Nonostante il sorteggio sia stato benevolo, relativamente alle altre avversarie che la Roma avrebbe potuto pescare, il Porto non evoca insomma ricordi felici, dato che i giallorossi furono eliminati anche nell’unico altro precedente ad eliminazione diretta in Europa.
C’è da dire che, da quell’ultimo catastrofico precedente all’Olimpico, la rosa del Porto non è cambiata moltissimo e, anzi, molti di quelli che erano presenti quella sera probabilmente ritroveranno la Roma anche questa volta. Il club portoghese negli ultimi anni ha fatto cassa vendendo a caro prezzo alcuni dei pezzi più pregiati delle giovanili, come André Silva, Ruben Neves e Diogo Dalot, mantenendo un’ossatura stabile. Il cambiamento più rilevante, in realtà, è avvenuto in panchina dove il posto di Nuno Espirito Santo è stato preso da Sergio Conceição, che, con il suo passato laziale, addensa nubi ancora più cupe all’orizzonte della scaramanzia romanista.
Conceiçao non si è allontanato moltissimo dal percorso intrapreso dal suo predecessore, rafforzando l’identità del Porto come squadra solida difensivamente, principalmente reattiva e molto fisica. Al momento in vetta al campionato portoghese con due punti di distacco sullo Sporting secondo e la miglior difesa, il Porto è una squadra che ruota intorno a due moduli base, anche all’interno della stessa partita, e cioè il 4-3-3 e il 4-2-3-1, con un gioco con il pallone molto basilare.
Avendo una linea difensiva piuttosto arida tecnicamente (il regista arretrato del Porto era fino alla scorsa stagione Ivan Marcano, passato proprio alla Roma in estate) e un regista che non fa certo della visione di gioco il suo punto forte (Danilo Pereira), Conceiçao ha preferito puntare su una risalita del pallone molto diretta, che cerca di sfruttare soprattutto le transizioni veloci sul recupero del possesso e il riciclo delle seconde palle derivanti dal gioco lungo. Con un gioco di questo tipo, il Porto raramente riesce ad attaccare passando per le vie centrali del campo e per arrivare in area fa un ricorso massiccio ai cross, provenienti soprattutto dai terzini (in Portogallo, la squadra di Conceiçao è quella che ha ottenuto più passaggi chiave da cross, 4.5 a partita).
Quando non può esercitare un dominio tecnico netto, il Porto fa quindi fatica a creare occasioni da gol pulite. In Champions League solo Monaco, Bruges, AEK Atene e Viktoria Plzen hanno tirato meno della squadra di Conceiçao, che ha segnato molto di più rispetto alla reale qualità delle occasioni create (12 non-penalty goals da 7.9 Expected Goals). Offensivamente, le armi più pericolose del Porto sono i dribbling di Brahimi e Corona (rispettivamente 4.9 e 4.7 dribbling tentati per 90 minuti nel campionato portoghese), con cui riesce quasi costantemente a creare situazioni di superiorità numerica, e le palle inattive, attraverso cui ha già segnato 12 gol tra campionato e Champions League, dove solo il Bayern Monaco ha fatto meglio. D’altra parte, la fisicità nel gioco aereo è uno dei punti forti della rosa a disposizione di Conceiçao, che in Champions League è seconda solo alla Lokomotiv Mosca per duelli aerei vinti (20.3 contro 19.5 a partita), mentre in patria esercita un dominio incontrastato.
Il gioco del Porto diventa più interessante in fase di non possesso. La squadra di Conceiçao adotta infatti uno stile ibrido, che prevede un baricentro molto alto anche in assenza di pressione, almeno quando l’avversario mantiene la palla nei corridoi centrali – il pressing aggressivo in avanti di solito viene attivato dal passaggio del centrale avversario verso il terzino. Il Porto senza palla cerca di proteggere il centro, rimanendo il più possibile corto verticalmente e stretto orizzontalmente, con le ali a copertura dei mezzi spazi e i tre centrocampisti molto vicini tra loro, mentre la difesa cerca di accorciare aggressivamente sugli avversari che cercano di ricevere tra le linee.

L’atteggiamento del Porto senza palla (in grigio).
Con una squadra così corta e aggressiva, Conceiçao punta ad ottimizzare i meccanismi di recupero del pallone esponendosi però inevitabilmente a qualche debolezza strutturale, come la copertura del lato debole. Il Porto, in questo senso, soffre molto le squadre che riescono ad attaccare efficacemente l’ampiezza, soprattutto con cambi di gioco veloci e continui, ma tra queste, purtroppo, non rientra al momento la Roma, che con Di Francesco non è mai riuscita ad utilizzare l’estensione orizzontale del campo come un’arma.
Una caratteristica che fa invece parte del DNA dei giallorossi e che l’allenatore abruzzese farebbe bene a recuperare in vista di questa sfida è il pressing alto. Con una difesa così poco tecnica, infatti, il Porto va sempre in difficoltà quando viene aggredito in fase di prima costruzione e non è sempre pulito in fase di transizione difensiva quando perde il pallone e la difesa non riesce ad accorciare in avanti con i tempi giusti. Con un baricentro così alto in fase di non possesso, inoltre, potrebbero rivelarsi molto preziosi anche gli inserimenti alle spalle della difesa dei centrocampisti più dinamici, come Zaniolo e Cristante.
Certo, è difficile pensare oggi alla Roma come la squadra scintillante che stupì l’anno scorso in Champions League, mentre il Porto non perde una partita dal 7 ottobre, quando venne sconfitta per 1-0 dal Benfica. Ma da qui al 12 febbraio c’è ancora tempo per recuperare alcune delle caratteristiche che hanno portato la Roma fino alla semifinale l’anno scorso, e che sarebbero più che sufficienti ad eliminare la squadra di Conceiçao.
Il Siviglia per la Lazio
di Emanuele Mongiardo
Al di là dei temi di campo, la Lazio dovrà temere innanzitutto il rapporto mistico tra il Siviglia e l'Europa League. Qualcosa di unico, forse ridimensionato dai trionfi in Champions del Madrid di Zidane. La squadra andalusa è molto cambiata rispetto all'ultima finale raggiunta (quella contro il Liverpool), ma alcuni dei leader sono ancora sul ponte di comando: Carrico, Escudero, Banega, oltre a Jesus Navas, che non faceva parte del ciclo di Emery ma aveva alzato il trofeo per due volte quando ancora si chiamava Coppa Uefa.
Poter contare su giocatori così abituati a fiutare ed azzannare i momenti decisivi di una competizione come l'Europa League è già di per sé un grande vantaggio. Lo è ancora di più contro la Lazio, una squadra a cui, come dimostrano le partite dello scorso anno con Salisburgo e Inter, bastano pochi minuti senza la giusta concentrazione per ritrovarsi improvvisamente con l'acqua alla gola.
Se dal punto di vista mentale il Siviglia sembra un passo avanti, non vanno dimenticate le doti puramente tecniche e tattiche degli uomini di Machìn. L'ex tecnico del Girona ha da subito imposto i propri principi: manovra verticale, rombo di costruzione con tre difensori e un regista basso ad occuparsi del primo possesso, grande responsabilità offensiva nei piedi delle mezzali Vazquez e Sarabia, attacchi in ampiezza con l'esterno del lato opposto spesso chiamato a chiudere l'azione sul secondo palo. In più, la coordinazione delle punte, con le sponde di André Silva e i movimenti intorno a lui di Ben Yedder.
Quest’ultimo, noto per la sua tecnica da futsal, è abilissimo con gli spostamenti ad attrarre i difensori fuori zona e ad aprire spazi per gli inserimenti da dietro, specialmente di Sarabia. È un giocatore in moto perpetuo, che per questo sfianca i difensori. Non proprio il massimo per due giocatori a volte un po' distratti come Wallace e Radu, che potrebbero avere difficoltà a gestire le spaziature contro un attaccante così mobile.
Alcune caratteristiche del Siviglia sembrano disegnate per mettere in difficoltà l'ultima Lazio di Inzaghi: gli andalusi spesso preferiscono abbassare il baricentro facendo densità in mezzo al campo per recuperare palla e innescare giocatori da transizione come Sarabia, Promes e le due punte. La Lazio quest'anno sta avendo molti problemi in fase d'attacco posizionale, con le connessioni tra i giocatori più talentuosi interrotte a ridosso della trequarti. Perdere il possesso contro il Siviglia con tanti giocatori oltre la linea della palla significa assecondare il piano partita di Machìn, che potrebbe decidere di abbassare il baricentro, soprattutto all'Olimpico nella partita d'andata.
Il Siviglia è superiore anche per tecnica individuale, basti pensare che il trio di centrocampo, Sarabia, Banega, Vazquez è composto interamente da ex trequartisti, e la Lazio dovrà cercare di colmare il gap puntando sull'atletismo e sull'intensità dei suoi giocatori migliori, magari azzardando un pressing più coraggioso. Le maglie del 3-5-2 di Machìn spesso sono larghe per via della necessità di mantenere l'ampiezza con gli esterni e la profondità con le punte. Il palleggio basso degli spagnoli non è troppo sofisticato. Le posizioni sono stabili: un rombo di costruzione e, più avanti, i due esterni Jesus Navas ed Escudero.
La Lazio, quindi, può contare su un atletismo superiore, specie sul lato sinistro dei biancocelesti, zona in cui Lulic e Milinkovic verosimilmente affronteranno Sarabia e Jesus Navas. Tagliare i collegamenti con i due attaccanti, isolare Banega e imporre il mismatch fisico potrebbe essere decisivo per poi innescare Immobile in velocità contro difensori lenti come Kjaer, Carrico e Sergi Gomez.
Insomma, difficilmente la Lazio avrebbe potuto pescare peggio. Paradossalmente però il fatto che si giochi il ritorno al Sanchez Pizjuan potrebbe avere risvolti positivi: all'Olimpico, verosimilmente, il Siviglia aspetterà la Lazio, e se la squadra di Inzaghi riuscirà a non concedere transizioni pericolose e a guadagnare un buon risultato (anche un pareggio senza gol, perché no?) in Spagna potrebbe impostare una partita di pura transizione, bypassando tutti i problemi in fase di attacco posizionale.
Il Rapid Vienna per l’Inter
di Emanuele Atturo
L’Inter arrivava in Europa League tra le migliori terze della Champions ed aveva quindi poche possibilità di pescare un avversario di livello per i sedicesimi. Eccovi la lista delle squadre che avrebbero potuto essere avversarie dei nerazzurri: Zurigo, Celtic, Slavia Praga, Fenerbahçe, Sporting, Olympiakos, Rapid Vienna, Malmoe, Krasnodar, Rennes, BATE.
Di queste, alcune erano migliori del Rapid Vienna - Fenerbahce, Sporting, Rennes, Celtic - e comunque ampiamente alla portata dell’Inter; invece è difficile invece dire quali potessero essere peggiori del Rapid Vienna. Per dare una misura della fortuna dell’Inter in questo sorteggio, il Rapid nella sua ultima partita di campionato ha perso SEI A UNO il derby contro l’Austria Vienna, uno dei punti più bassi della storia recente della squadra austriaca più titolata.
Forse un dato fotografa bene lo status del Rapid come nobile decaduta: il club ha vinto 32 campionati, 8 più dei rivali dell’Austria Vienna, ma non vince ormai da dieci anni, stagione 2007/08 quando il dominio della Red Bull Salisburgo sul campionato non era ancora così consolidato (oggi ad esempio è al quinto titolo nazionale consecutivo). Negli ultimi anni la storia del Rapid è costellata da scelte sbagliate, soprattutto in panchina.
Due anni fa la squadra ha assunto Damir Canadi, che aveva portato il SCR Altach - una piccola squadra che oggi ha il nome di un’agenzia di scommesse sportive - fino alla qualificazione in Europa League, facendo un gioco basato sulle ripartenze. Con la squadra in pessime acque, il club lo ha licenziato prendendo il suo assistente, Djuricin. La squadra è riuscita a chiudere al terzo posto, qualificandosi per l’Europa League, ma a novembre - dopo una striscia di risultati molto negativi - Djuricin è stato esonerato per far posto a Dietmar Kuhbauer, un altro allenatore noto per dare un’impronta fortemente reattiva alle proprie squadre.
Il Rapid finora si è trovato a proprio agio in Europa League proprio perché ha potuto impostare delle partite di difesa bassa e ripartenze veloci. È riuscito a qualificarsi al secondo posto in un girone zeppo di squadre in difficoltà, dietro a un Villarreal da metà classifica in Liga, davanti al Glasgow Rangers di Steven Gerrard, battuti all’ultima giornata per 1-0. Gli austriaci hanno comunque chiuso il girone col peggior attacco, segnando persino meno dello Spartak Mosca classificatosi ultimo.
I problemi offensivi si notano in particolar modo in campionato, dove il Rapid non può applicare una strategia reattiva e non ha molto spazio a disposizione per attaccare. Senza poter lasciare gli attacchi all’improvvisazione dei suoi giocatori offensivi, il Rapid risente dell’assenza di meccanismi codificata di ricerca degli spazi. Quando deve attaccare in fase posizionale, il 4-2-3-1 del Rapid si dispone su distanze ampie, tutti i giocatori sono isolati e, non avendo linee di passaggio semplici, sono costretti a cercare soluzioni complesse.
Si trovano invece più a proprio agio quando possono attaccare in maniera diretta, attraverso transizioni veloci. Anche in questo il Rapid non spicca per organizzazione ma ha a disposizione qualche giocatore di discreto talento, in particolare Thomas Murg - un mancino schierato sia trequartista centrale che esterno alto a destra a piede invertito - e Philipp Schobesberger, un altro esterno offensivo che però è reduce da un grave infortunio all’anca e non è ancora al massimo della condizione. Il centravanti di solito è Veton Berisha - uno dei milioni di “Berisha” che potrete incontrare in Europa League - e tende anche lui a decentrarsi per aprire gli spazi per gli inserimenti dei centrocampisti. Non essendo bravo nel gioco spalle alla porta, non aiuta la squadra a risalire il campo in modo sporco.
Il Rapid Vienna ha segnato appena 17 gol in 18 partite ed è il peggior attacco del campionato austriaco, nonostante l’ottava posizione su dodici. Eppure, paradossalmente, il punto debole del Rapid sembra essere l’organizzazione difensiva. I due centrali - Sonnleitner e Barac- sono piuttosto lenti e allora il tecnico per proteggerli li fa difendere il più possibile vicini alla porta. Le distanze e i tempi non sono mai giusti, e sembrano sempre confusi in una terra di mezzo e slegati dai due esterni bassi.

Il centrale di sinistra, in questo caso Dibon, ha in mente una strategia tutta sua e si lascia sfuggire alle spalle l’attaccante avversario. Sonnleit, l’altro centrale, è attirato fuori posizione e lascia scoperto l’altro attaccante.
Per provare a proteggere di più la propria difesa, contro un avversario di livello come il Villareal, in trasferta, Kuhbauer ha schierato una difesa a 3 (in realtà a 5), passando al 3-5-2. I risultati sono stati disastrosi, una sconfitta per 0-5, ma non è detto che non potremmo rivederlo contro l’Inter.
Contro i nerazzurri il Rapid potrà impostare la propria strategia preferita, difendendosi con un blocco basso e provando a ripartire. L’Inter dovrà fare la cosa che gli riesce peggio in questa stagione, ovvero attaccare difese che giocano vicine alla propria porta e provare a scassinarle (contro il Parma è stato faticoso). Eppure, nonostante le caratteristiche delle due squadre sembrino incrociarsi a svantaggio dell’Inter, la sproporzione tecnica tra le due rose è così grande che risulta difficile immaginare un modo con cui i nerazzurri possano riuscire a suicidarsi.
Lo Zurigo per il Napoli
Marco D’ottavi
Solo 256 chilometri dividono Nyon, sede dei sorteggi di Europa League, da Zurigo, l’avversario pescato del Napoli. La squadra svizzera si è issata fino ai sedicesimi grazie al secondo posto nel girone A dietro al Bayern Leverkusen, eliminando AEK Larnaca e Ludogorets grazie a tre vittorie nelle prime tre partite.
Il Napoli, sceso in Europa League dopo il terzo posto nel proprio girone di Champions, è una delle favorite alla vittoria finale e poche delle squadre presenti nell’urna potevano anche solo crearle dei grattacapi. Tra queste non di certo lo Zurigo.
Neanche la recente (e sorprendente) vittoria di un’altra formazione svizzera, lo Young Boys, contro un’avversaria italiana più accreditata, la Juventus, sembra aprire un minimo spiraglio: lo Zurigo in questo momento è quarto in classifica nel campionato svizzero, distante ben 24 punti dallo Young Boys. Per farvi capire lo scarto tra le due squadre: in solo 18 partite lo Young Boys ha segnato 31 gol in più dello Zurigo.
Commentando il sorteggio a caldo, Ancelotti ha detto che lo Zurigo «ha disputato un buon girone di qualificazione e per questo lo affronteremo con molto rispetto ma anche con tanta voglia di andare avanti», parole di circostanza ma che sottolineano la convinzione dell’allenatore e della società di avere ottime possibilità di qualificazione al prossimo turno.
La squadra svizzera ha appena cominciato la lunga pausa invernale della Super League Svizzera che riprenderà solo il 2 febbraio. Appena dodici giorni dopo lo Zurigo proverà a giocarsi tutte le sue carte nella gara di andata al Letzigrund Stadion (uno stadio la cui struttura è in legno ed è pieno di pannelli solari), cercando di ripetere la prestazione che gli ha permesso di battere per 3 a 2 il più quotato Bayer Leverkusen. Ludovic Magnin, allenatore arrivato in prima squadra passando per le giovanili, in quella partita rinunciò al 4-2-3-1 con cui è solito schierare lo Zurigo optando per un 4-4-1-1 che gli garantiva una maggiore copertura, situazione che si potrebbe ripetere anche nella sfida contro il Napoli.
Al di là del modulo, l’organizzazione e l’equilibrio sono il maggior pregio di una squadra che tra campionato ed Europa League ha segnato 34 gol, subendone 31. In fase difensiva gli svizzeri preferiscono tenere un baricentro piuttosto basso, mentre in attacco la costruzione del gioco passa dai due esterni offensivi che sono Khelifi (meno spesso Winter) e soprattutto Benjamin Kololli, il miglior giocatore della squadra.
Svizzero naturalizzato kosovaro (come anche il centrocampista centrale Hekuran Kryeziu), Kololli ha già segnato 9 gol in stagione, dimostrando qualità tecniche di buon livello e una buona intesa con Stephan Odey, talentino nigeriano di appena vent’anni, che ha nella rapidità la sua arma migliore. A loro due si affiderà Magnin per provare a svoltare qualcosa nella fase offensiva che sembra spesso improvvisata ed affidata alle individualità dei singoli giocatori, tanto che lo Zurigo pur essendo quarto in campionato ha il secondo peggior attacco e nel girone di Europa League ha segnato 11 gol in meno del Bayer primo qualificato.
La fase difensiva si basa sulla capacità della squadra di ripiegare velocemente a protezione della porta, permettendo ai due centrali, Bangura e Nef, di difendere quanto più possibile vicino alla porta, dove si trovano più a loro agio. Quando invece vengono attaccati in transizione escono fuori tutti i limiti di una difesa lenta e slegata.

Dopo una banale spizzata, la difesa dello Zurigo si trova scoperta sul lato sinistro. Il centrale Maxso va a chiudere, ma viene lasciato in 1 contro 2 visto che i suoi compagni preferiscono rimanere in due sull’uomo al centro. Da questa azione nasce il primo gol del Leverkusen.
Contro il Napoli lo Zurigo proverà a difendere il più possibile la propria area, per non dare spazio alle spalle della propria difesa a Mertens, Insigne o Milik, per poi cercare di servire le punte nella maniera più rapida e precisa possibile. Anche però se riuscisse ad attenersi al piano prestabilito, sembra molto difficile che il Napoli possa permettere agli svizzeri anche solo di mantenere la sfida in equilibrio per 180 minuti.
Per chi volesse saperne di più ecco un po’ di notizie sullo Zurich FC:
- Kololli salì alla ribalta quando per esultare dopo un gol in Europa League per sbaglio saltò dentro ad un fossato dando l’impressione di essere sprofondato nelle viscere della terra.
- In rosa è presente Roberto Rodriguez, fratello di Ricardo Rodriguez terzino del Milan.
- Il secondo allenatore della squadra è René Van Eck, un olandese con un passato da allenatore del Carl Zeiss Jena, ma soprattutto conosciuto per il suo approccio non ortodosso agli allenamenti attraverso la kick boxing e per il suo aspetto da metallaro imbolsito contrapposto all’aspetto da professore di ginnastica di Magnin.