
Quanto sono importanti i portieri nel calcio? È una domanda retorica, importante nel calcio, e nella vita, vuol dire poco, eppure ogni tanto viene da chiederselo. I portieri stanno fermi mentre gli altri corrono, fanno e disfanno una partita; condannati al loro ruolo di giudici imparziali degli sforzi avversari di fare gol. Parano, ma quasi ogni parata può essere vista e interpretata da noi come meglio crediamo. Oggi esistono degli strumenti statistici per valutare il loro impatto, ma sono quei numeri freddi e mai del tutto chiari che chiamiamo xGOT, gol attesi dopo un tiro. Cioè quanto un tiro che arriva in porta in un determinato modo dovrebbe essere gol. Ieri, per dire, Sommer ha evitato 1.44 xGOT, un gol e mezzo praticamente.
Capite che è strano, come si evita mezzo gol? Un gol o si evita o non si evita, non c’è filosofia. Messa così, però, ogni parata è un gol evitato: bisogna provare a creare una scala di valore, o tornare a fidarsi degli xG. Oppure possiamo fidarci di Sommer, delle sue parate, le parate di uno che è tutta la vita che fa il portiere, e a cui per tutta la vita hanno detto che era troppo basso per farlo a questo livello, il livello dei migliori del mondo. Basso in senso letterale (183 centimetri, meno di me, per dire, meno dei portieri) e metaforico, basso di livello: forte, ma non abbastanza forte. E invece ieri è stato il migliore in campo in quella che, forse - aiutatemi a ricordare se non è così - è stata la più incredibile semifinale di Champions League nella storia del calcio.
Sommer ha passato una vita intera al Borussia Mönchengladbach e nella Nazionale svizzera, e ogni volta che incrociava una squadra italiana o magari giocava una partita un po’ più importante era facile accorgersi come fosse un portiere davvero forte. Ma abbastanza forte? Il mercato sembrava dire di no. Sommer ha dovuto vedere Neuer rompersi sciando per avere una sua occasione, un rapido passaggio al Bayern Monaco, che però non l'ha capito. L’Inter invece sì: il mercato di Marotta è fatto di intuizioni, e quella su Sommer è stata brillante. 5 milioni per un portiere vecchio, dopo aver venduto Onana per 10 volte tanto. E oggi il portiere vecchio ha portato l’Inter in finale di Champions League.
È curioso come due anni fa fosse successa più o meno la stessa cosa con Onana: l’allora portiere dell’Inter aveva giocato una Champions League irreale, risultando decisivo in diverse partite di quel percorso verso la finale. E in generale, queste ultime edizioni ci stanno raccontando come il ruolo del portiere sia sempre più decisivo in partite secche in cui può succedere di tutto: Courtois è stato il motivo principale per cui il Real Madrid ha vinto nel 2022 e nel 2024, e tra poche ore Donnarumma potrebbe riportare il PSG in finale con le sue prestazioni.
Ma torniamo a Sommer - Sommer che ieri ha evitato un gol e mezzo in una partita in cui ne ha presi 3 e in cui, obiettivamente, ne poteva prendere altri 5 o 6, e che in generale non è stata una partita “normale”, il tipo di partite decise da episodi singoli in cui un portiere può fare la differenza in positivo o in negativo (tra andata e ritorno Szczęsny ha preso 7 gol potendo fare quasi poco o nulla). Sommer è comparso all’improvviso nella partita, dopo aver già preso un gol da Eric García, quando ha detto che no: due gol da Eric García erano troppi.
Ci sono due modi di vedere questa parata: il primo è guardare il replay da dietro e dire che il terzino del Barcellona avrebbe potuto calciare in uno dei 3-4 metri quadrati dove Sommer non sarebbe potuto arrivare neanche se fosse stato alto due metri e mezzo. L’altro è vederla in diretta, esaltarsi come abbiamo fatto tutti perché quello che fa Sommer non è normale.
Non è che Eric García gliela tiri addosso, Eric García, comunque, la tira lì anche perché è sicuro che un portiere lì non ci arriva. E invece Sommer ci è arrivato. La sua reattività è fuori scala e lo sapevamo, ma questa parata è nel ristretto gruppo che comprende Banks contro Pelé, Buffon contro il Paraguay, parate fatte parando dietro la linea del corpo. Sommer ci arriva dopo essersi preparato al tiro di Gerard Martin, che però era un cross, cambiando direzione all’improvviso, scivolando col ginocchio a terra e riuscendo a spingere comunque con qualche parte del corpo, che - mi viene da dire - è la forza di volontà (lui ti direbbe che è il lavoro, ma tutti lavoriamo eppure queste cose non le facciamo).
Il Barcellona comunque pareggia, comunque continua a spingere, e Sommer si trova a dover fare tutta una serie di parate più normali. Sono parate che vuoi che il tuo portiere faccia, ma che deve fare. Questa su Lamine Yamal, ad esempio.
Non voglio dilungarmi su questa parata, perché sapete dove arriverò, ma un portiere serve anche a dare un senso di sicurezza diffuso, oltre alle parate in sé. I suoi compagni sono sicuri perché Sommer è un portiere sicuro, che non fa sbavature né con le mani e neppure con i piedi, che magari non tutte le partite ti previene un gol e mezzo, ma che se può parare para, come questo tiro di Lamine Yamal, o quello all’andata, spizzicato sulla traversa.
Sommer para anche il primo tiro di Raphinha, ma non il secondo: il secondo non si poteva parare. A pensarci oggi, per lui e per l’Inter è anche meglio così: quello che succede dopo è praticamente storia, storia dell’Inter, storia della Champions League, storia del calcio. Storia di Sommer, se ogni uomo è una storia.
Di parate ne farà diverse nei 30 minuti aggiuntivi, ma una rimarrà per sempre nei ricordi di chi era allo stadio o davanti al televisore. Sull’unica sbavatura dei supplementari dell’Inter, Lamine Yamal può puntare Carlos Augusto coi piedi ben dentro l’area. Chi stava vedendo la partita, chi ha visto almeno dieci minuti in vita sua giocare Lamine Yamal, ha subito pensato che sarebbe stato gol. Il vantaggio che riesce a crearsi in queste situazioni è troppo grande, la sua tecnica troppo pulita. Lo spagnolo fa tutto alla grande, col suo calcio di tempi e controtempi si libera di Carlos Augusto, e poi in automatico apre l’interno sinistro per andare sul secondo palo: una cosa che - seppur appena diciassettenne - sa fare come i migliori di sempre. E i migliori di sempre vincono le partite così. Eppure succede qualcosa.
In diretta è quasi più una sensazione della parata, è difficile capire davvero come il pallone possa essere uscito. Lo stupore di Bergomi in telecronaca è abbastanza indicativo, come se avesse appena assistito a un miracolo. Lo ha scritto anche qualcuno su X. Sommer l’ha deviata con la punta dell'indice e col medio, veramente le ultime due appendici del nostro corpo, due appendici che - possiamo dirlo serenamente, non sono molto utili, a meno che non dobbiate indicare la luna allo stolto.

Ovviamente i miracoli - se succedono, questo è affar vostro - non succedono su un campo da calcio. Sommer quel tiro l’ha parato davvero, l’ha parato da solo, coi suoi 183 centimetri, una reattività e un'intuizione semplicemente straordinari.
Dopo la partita, cercando di parlare in italiano, Sommer ha detto che sapeva che Lamine Yamal fa quei tiri lì, imitando il gesto del tiro a giro sul secondo palo. Lo ha detto come se fosse quello il motivo per cui ha parato, perché conosceva quel segreto solo lui. Ma sono generazioni che i calciatori fanno quei tiri lì e li segnano sempre. Lì segnavano i Robben, i Ribery, i Messi. Proprio a parlar di Messi, in molti stanno paragonando la parata di Sommer a quella di Júlio César sull’argentino nelle semifinali di Champions tra Inter e Barcellona del 2010. Perché certe volte la storia si ripete come farsa, ma altre volte come promessa di felicità.
Questi tiri li segna anche Lamine Yamal, e li segnerà ancora chissà per quanto, ma ieri non era la sua serata. Ieri era la notte di Sommer, che a 36 anni si prende una piccola rivincita, anche se non sembra uomo da rivincite, anzi sembra una persona abbastanza risolta e beato lui. Ma è stata anche la serata di Acerbi, di Frattesi che quasi ci lascia le penne per esultare, di Lautaro che ha giocato infortunato, di Thuram che ha fatto 120 minuti di sforzi quando forse ne aveva un terzo in corpo.
È stata la notte dell'Inter e dell'idea che si vince in undici, quindici, forse anche in venti o trenta, se pensiamo allo staff di Inzaghi e ai medici e fisioterapisti. Stavolta è stata la notte di tutti, ma soprattutto di Sommer.
La prossima volta chissà.