Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Michele Cecere
La solitudine di Khvicha Kvaratskhelia
17 gen 2024
17 gen 2024
La stagione del Napoli nasce anche dalla scomparsa della sua connessione magica con Osimhen.
(di)
Michele Cecere
(foto)
IMAGO / Marco Canoniero
(foto) IMAGO / Marco Canoniero
Dark mode
(ON)

Tra tutta la pittoresca umanità raccontata da Luciano De Crescenzo in Così Parlò Bellavista – il romanzo, e successivamente film, diventato iconografia della Napoli degli anni Ottanta: una di quelle opere che con il tempo hanno plasmato la cultura della città – c’è un poeta strambo, che oggi forse definiremmo cringe. Si chiama Luigino e a ogni evento che scandisce la storia chiede al professore Bellavista, e indirettamente anche a noi spettatori: «Permettete un pensiero poetico?». I suoi aforismi sono succeduti quasi sempre dallo stupore infantile degli altri personaggi, spazzini e portieri a cui Bellavista dà lezioni di filosofia. A un certo punto, per commentare la relazione tra la figlia del professore e il suo futuro marito (un giovane uomo laureato in architettura ma disoccupato), Luigino dice: «Siamo angeli con un’ala soltanto, e possiamo volare solo rimanendo abbracciati».

È un aforisma abusato, che durante la scorsa stagione molti tifosi del Napoli hanno ripescato per descrivere il rapporto così intimo e fraterno – o, se preferite, di bromance – tra i due protagonisti del terzo Scudetto: Khvicha Kvaratskhelia e Victor Osimhen. I due pastori dell’anima vincente del Napoli, la rivelazione che anche dopo trentatré anni si poteva ancora festeggiare con il cuore aperto al futuro.

In campo era impossibile non accorgersi di un legame viscerale, reso iconico dalle esultanze esasperate di Kvaratskhelia, deformato in urla in cui gioia e sollievo sconfinavano l’una nell’altra. È facile notarlo, se non lo avete già fatto: a ogni esultanza di Kvara c’è dietro il marchio affettuoso di Osimhen; a volte lo cinge come un fratello maggiore che vuole proteggerlo; altre gli porta la mano sulla testa per incoraggiarlo; altre ancora è Kvaratskhelia a cercare un appoggio mentre la vena gli pulsa sul collo nell’atto di urlare al mondo il suo talento.

A marzo la fotografia più artistica e sentimentale: la lunga rincorsa di Osimhen verso le spalle di Kvaratskhelia pochi secondi dopo che quello ha sbloccato un grigio venerdì sera a Reggio Emilia dribblando mezza difesa del Sassuolo. Giocavano insieme da un anno scarso e sembravano farlo da sempre. A maggio La Gazzetta dello Sport scriveva che il Napoli aveva cominciato a fare bene «non appena Kvicha e Victor hanno iniziato a correre mano nella mano».

Kvaratskhelia era atterrato in Serie A provocando un sisma irripetibile: non abbiamo fatto in tempo a riconoscere la navicella da cui proveniva che aveva già segnato 14 gol e servito 14 assist. «Quando è arrivato mi chiedevo chi fosse», ha detto a novembre Osimhen «Ricordo la prima partita a Verona, lui segnò e io ero felice per lui. Insieme abbiamo fatto certe cose come se fossimo Messi e Suarez». In quella intervista racconta anche di aver avvicinato Kvara da subito in allenamento, come se avesse percepito una connessione istantanea.

Non è un amore unilaterale. L’anno scorso il giornalista georgiano Kakha Dzebuadze, diventato tifoso del Napoli con l’arrivo di Kvaratskhelia, dipingeva Osimhen come una specie di eroe: «Spero un giorno possa visitare il nostro Paese. In Georgia lo amano tutti». E poi ancora sull’intesa tra i due: «Possono fare grandi cose, anche in Champions League». C’era un’atmosfera dolce intorno a Osimhen e Kvaratskhelia, come quella che abbiamo di fronte alle coppie di attaccanti che segnano un’epoca, o anche solo l’immaginario collettivo con giocate inaspettate.

In fondo si completano: Osimhen mangiato dalla rabbia, che vuole sbranare le partite con la forza del suo talento, e la bellezza ricercata di Kvaratskhelia, il suo gusto per l’individualità esasperata nel contesto collettivo di una squadra di calcio. Come in un quadro di Mirò, Kvaratskhelia pennella la tela con i colori e Osimhen la incendia, la squarta: eppure insieme trovano un’armonia, un senso comune. Poche settimane fa abbiamo assistito all’ultimo capitolo della loro storia d’amore.

Al 75’ il Napoli ha sbloccato la partita da qualche minuto, con la classica azione che negli ultimi mesi era stata resa inverosimile a causa dell’assenza di un terzino sinistro di ruolo: Raspadori e Kvaratskhelia si erano spartiti il mezzo spazio di sinistra, e il pallone era arrivato a Mario Rui isolato in ampiezza, libero di crossare per il taglio di Osimhen nel cuore dell’area. È un anno strano, però, e appena dopo il calcio d’inizio era arrivato il pareggio di Pavoletti nell’aria lugubre del Maradona. Uno stadio che non riesce più a vivere le partite di calcio sorridendo, epitome di una grandezza mutilata, talmente eterea da scomparire dopo qualche mese. È l’ennesima azione velleitaria della partita: un bel movimento di Raspadori, andato a ricevere sullo spigolo destro dell’area di rigore, un pallone troppo arretrato per Osimhen, che per controllarlo deve arpionare con il collo del piede e palleggiare con il petto. Poi con la coscia: una, due, tre volte. E ancora con la testa.

Sono sempre momenti scioccanti, quelli in cui Victor Osimhen materializza la sua creatività nella dialettica tra corpo e pallone. Quando sembra aver rinunciato a esercitare la forma più tenue di controllo sulle cose intorno a sé, sbuca in un posto dello spazio che non ci saremmo immaginati. Anche questa volta è così: Osimhen entra in spaccata per anticipare i difensori del Cagliari e crossa al centro per Kvaratskhelia.

È un gol tutto sommato semplice per un giocatore del suo livello, eppure la vena di Kvaratskhelia si gonfia in modo spropositato, mentre la sua faccia dostoevskijana si contorce: la mascella allargata e gli occhi spiritati da pazzo. Va per esultare e non fa nemmeno qualche metro che comincia a indicare Osimhen, lo cerca con le mani, con il busto si attacca all'altro. Nell'abbraccio di squadra ci sono anche Raspadori, Anguissa, Di Lorenzo: e in qualche modo si sono intrufolati in quell’intimità, nella storia della loro bromance. È un abbraccio nervoso, pieno di carica emotiva, di stress. Kvaratskhelia e Osimhen come due amanti angosciati dalla realtà, che provano a proteggersi l'uno con l'altro dagli agenti esterni, dai turbamenti della vita.

È un languido momento di tregua sempre più raro, però. Qualche giorno dopo la vittoria con il Cagliari, contro il Frosinone in Coppa Italia, Kvaratskhelia e Osimhen sono entrati insieme in campo nel secondo tempo. Mazzarri aveva fatto un largo turnover per prepararsi alla trasferta di Roma, ma appena ha inserito i “titolari” qualcosa si è inceppato e il Napoli ha finito per perdere 0-4 una partita irrazionale, cupa, assurda. Kvaratskhelia e Osimhen sbracciavano, si scambiavano il pallone con timidezza, non saltavano l’uomo.

Il sabato seguente, nello scontro diretto di Roma, per due falli ingenui a centrocampo Osimhen si è beccato il rosso e ha lasciato il Napoli in nove. Oggi la squadra che avrebbe dovuto difendere lo Scudetto vinto sette mesi fa sarebbe fuori dalle coppe, e anche se è arrivata da qualche giorno la notizia del suo rinnovo, è sempre più evidente la frattura tra Osimhen e il club. Il Napoli ha iniziato a essere una squadra decadente, e se da un lato è venuta a mancare la struttura tattica che sorreggeva il talento individuale – «si era creato un grande gruppo, fatto di calcio relazionale», ha detto Luciano Spalletti nell'intervista a Bruno Vespa del 13 dicembre – dall'altro è impossibile non accorgersi di un nervosismo sul fondale della stagione di Kvaratskhelia e Osimhen. La loro trasfigurazione in giocatori arrabbiati, sul filo di una crisi di esaurimento, è il ritratto dei problemi del Napoli, della mancanza di serenità che affligge l’ambiente. Lo stesso rapporto tra Kvara e Osimhen è sembrato incrinarsi. Pochi giorni fa l’agente del georgiano – Mamuka Jugeli – ha parlato del rinnovo contrattuale di Osimhen, ipotizzando il suo futuro lontano da Napoli per avidità. «Te lo dico adesso, andrà a giocare in Arabia Saudita», ha detto a Sport1Georgia. Poco dopo Osimhen ci ha tenuto a rispondergli pubblicamente sul proprio profilo Instagram: «Tieni il mio nome fuori dalla tua bocca, pezzo di sporcizia». Come siamo arrivati a tutto questo?

A inizio stagione l’arrivo di Rudi Garcia aveva messo il punto a una certa visione del gioco, e con Mazzarri il Napoli sembra tornata ad essere una squadra dalla mentalità timida e confusa. Khvicha Kvaratskhelia è stato il primo succube di queste incertezze, e senza quell’impianto collettivo che ne illuminava le qualità, la sua luce è ridotta a brevi finestre.

L’idea che qualcuno si è fatto riguarda le potenzialità stesse di Kvaratskhelia, il cui debutto in campionato ci ha lasciati così esterrefatti da non trovare un motivo. È quest’anno, pensiamo, che ci rivelerà davvero che giocatore è: e il suo rendimento crollato a picco è la risposta superficiale che molti si aspettavano. Le statistiche dicono qualcosa di meno banale. In Italia quasi nessuno calcia più di Kvaratskhelia – 3.78 volte per 90 minuti, meno solo di Vlahovic e Nico Gonzalez, secondo i dati di StatsBomb. Questo numero enorme dipende in un certo senso dalla frenesia per il gol, che a Kvaratskhelia è mancato per sei mesi: dal 19 marzo, Torino-Napoli, al 27 settembre, Napoli-Udinese.

Dall’altro lato, però, il fatto che Kvaratskhelia tenti giocate rischiose come il tiro in porta o il dribbling – altro fondamentale in cui continua a eccellere: sono addirittura 3.33 per 90 minuti quelli riusciti in Serie A, meglio di chiunque altro – racconta il languore offensivo del Napoli, che tenta di risolvere individualmente problemi collettivi. La squadra azzurra condensa tutto il suo flusso creativo nella risalita delle catene laterali: tre giocatori per fascia che sembrano provare un’intelligenza comune, allacciati da una corda invisibile che li trattiene per muoversi in funzione del compagno. È una catena di lavoro i cui anelli sono diventati sfacelo: tra novembre e dicembre gli infortuni di Mario Rui e Olivera hanno reso ancora più greve questa difficoltà. Non è raro veder giocare Kvaratskhelia isolato a sinistra contro il terzino di parte e un raddoppio interno per impedirgli di rientrare sul destro. La mole di occasioni che crea non porta neanche risultati e questo, unito a una scarsa lucidità sotto porta, ha reso Kvaratskhelia nevrotico, sempre pronto alla reazione spazientita. In casa contro il Monza un calcetto provocatorio di Bondo lo ha fatto impazzire: è dovuto intervenire Mazzarri, che si è preso un’espulsione al posto suo.

L’ultimo assist che ha donato a Osimhen, a Lecce il 30 settembre, è la fotocopia di quello alla Juventus dello scorso gennaio. Un pallone vagante recuperato dal nigeriano era bastato per attivare un contropiede due contro quattro. In quel caso Kvaratskhelia si era affidato alla sua arma più affilata, i continui movimenti ondivaghi in cui sembra inciampare sul pallone per sterzare in controtempo rispetto al suo avversario: poi un cross dolcissimo aveva trovato il taglio di Osimhen sul secondo palo. È diventato il loro classico, una signature move che vediamo provare spesso durante le partite, oltre che la strategia offensiva del Napoli più pericolosa.

Durante l’avvicinamento allo Scudetto l’immagine del cross da sinistra per Osimhen era diventata iconica: l’arco disegnato da Elmas per il colpo di testa contro l’Udinese, il cross lungo di Olivera salvato in extremis dall'attaccante nigeriano con la pura forza della caparbietà. Le pennellate di Kvaratskhelia aggiungevano però un senso di irripetibilità a quei gol, erano i palloni più intimi possibili su cui Osimhen si gettava allungando il mantello invisibile come se fosse in un film della Marvel. È successo due volte al Diego Armando Maradona, e in entrambi i casi il Napoli di Spalletti si era cucito un pizzico di titolo sul petto. La prima, già citata, contro la Juventus il 13 gennaio scorso: Mario Rui aveva aggredito Bremer sulla linea di fondo bianconera, e la palla scottante era sembrata attratta dai piedi di Kvaratskhelia. Quello era entrato in area di rigore e con un mezzo interno destro era riuscito a far arrivare la palla sulla maschera di Osimhen.

Un paio di settimane dopo un’azione più sofisticata e tecnica, ma dal codice genetico simile, manda in gol ancora Osimhen al Maradona, stavolta contro la Roma. Notate tutte le sottili differenze: il tiro scoccato con il piede – dopo un controllo vitruviano, eseguito da Osimhen con più porzioni del corpo – e non con la testa; il cross di Kvaratskhelia di sinistro; la palla che ruota con un effetto diabolico.

Pochi mesi fa Khvicha Kvaratskhelia era accerchiato di quest’aura impossibile, che richiamava una sottile distorsione nel mondo che gli stava intorno. Il Napoli lo cercava attraverso i movimenti della catena di sinistra, dove il terzino sinistro “invertito” occupava il canale centrale del campo per isolarlo nell’uno contro uno. È una combinazione che non riesce più quest’anno, visto che sia Rudi Garcia che Walter Mazzarri hanno provato a stringere la posizione di Kvaratskhelia. Quella che doveva essere un'evoluzione, l’ala dribblomane che abbandona la fascia per diventare più spietata, ha finito per incupire uno dei talenti più luminosi in Italia.

Secondo le statistiche non ci sono variazioni significative tra la Serie A 2022/23 e quella attuale: tra gli esterni del nostro campionato, Kvaratskhelia è ancora tra i migliori per azioni da tiro create, passaggi progressivi, expected assists. Ciò che invece rende concreta la solitudine di Kvaratskhelia in questa stagione riguarda la qualità delle sue giocate: senza movimenti particolarmente fini senza palla del terzino dal suo lato, o gli inserimenti vorticosi delle mezzali a occupare l’area, la manovra del Napoli si ripiega su se stessa. Quando viene cercato e ha l’uomo in pressing alle spalle, e un altro pronto al raddoppio, Kvaratskhelia è solo contro tutti, mentre i compagni aspettano la sua venuta tra gli umani come quella di un Messia.

Per pochi minuti, a inizio secondo tempo di Torino-Napoli, Mazzarri è tornato alla sua vecchia difesa a tre. Un altro modo per acuire le responsabilità tecniche e offensive di Kvaratskhelia, che è stato spostato nel ruolo di seconda punta. È una scelta che dice qualcosa sulla disperazione di allenatore e giocatori: trasformando Kvaratskhelia in un appiglio contro la catastrofe, il Napoli ha finito per rinunciare alla sua coralità, deprimendo il suo talento migliore.

Kvaratskhelia dà il meglio di sé quando parte largo, con i piedi ancorati sul fallo laterale, per pennellare il quadro delle sue giocate con tranquillità. Spostandolo dalla sua comfort zone Mazzarri ha pensato di aiutarlo a influenzare ulteriormente il Napoli, eppure sotto questa virata tattica c'è una domanda a cui non abbiamo ancora risposta. E se Kvaratskhelia non fosse fatto per i corridoi centrali? E se il suo talento avesse bisogno della protezione della linea del fallo laterale?

L’infortunio al bicipite femorale di Osimhen ha poi finito per spuntare altre lame a disposizione del Napoli, che ha fatto affidamento esclusivo a Kvaratskhelia per uscire dalla crisi. Il loro gioco in coppia è fondamentale per gli azzurri: l’attacco predatorio di Osimhen alla profondità svuota le linee davanti alla difesa avversaria, e anche un rifinitore eccentrico come Kvaratskhelia beneficia di quello spazio per accentrarsi e calciare in porta o chiudere l’azione tagliando a destra per compensare i movimenti di Politano, come nel caso del gol al Sassuolo dello scorso campionato.

Insieme hanno segnato 12 gol, un bottino troppo leggero per le ambizioni del Napoli. Le responsabilità creative sono affidate solo a loro, ma questa crisi velenosa che affligge la squadra forse è solo la dimostrazione di quanto conti la struttura tattica, persino per un giocatore a tratti anarchico come il georgiano. Una stagione fa divenne virale il video di Spalletti che durante un Empoli-Napoli rimproverava a Kvaratskhelia la costante posizione di fuorigioco: «Kvara...ora mi fai incazzare: you look the line!» aveva sbiascicato in una lingua tutta sua. La libertà assoluta che aveva concesso Rudi Garcia si è rovesciata nella crisi del loro rapporto calcistico, una fase in cui torniamo a guardare le vecchie foto del loro innamoramento e ci sentiamo pieni di nostalgia.

Il romanzo Così Parlò Bellavista è stato pubblicato nel 1977 e solo sette anni dopo ne è stato prodotto il film: era il 1984, l’anno dell’arrivo di Diego Armando Maradona. Nessuno aveva ancora spiegato ai napoletani cosa significasse vincere, il club si comportava da vero e proprio parvenu. L’opera di De Crescenzo ritraeva una Napoli stracciona, capace di perdere su tutti i fronti, non riuscendo a comunicare una diversa idea di sé. Le cose erano cambiate con #Napul3, l’hashtag lanciato dal Napoli sui social per celebrare lo Scudetto più insperato della sua storia: dovevano essere anni floridi per la celebrazione di una città in fermento sportivo, artistico, culturale. Sono passati sei mesi, sembrano passati sei anni: oggi i tifosi si commuovono quando Kim Min-jae pubblica foto con la maglietta azzurra, o se Spalletti parla del suo biennio.

Chissà che anche Kvaratskhelia e Osimhen non comincino a nutrire verso il passato una forma di rimpianto. All’Olimpico entrambi sono stati avvicinati da Mourinho per placare le proteste nervose sui falli tattici della Roma. Osimhen era intervenuto in un secondo momento, come un capofamiglia che si accerta della tranquillità dei suoi, andando da Mourinho per difendere Kvaratskhelia dall’atteggiamento rissoso degli avversari. Mentre tutto naufragava, ancora una volta, Osimhen e Kvaratskhelia si erano sentiti vicini, colmi di una tenerezza speciale che li unisce in campo e fuori.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura