Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Gianni Montieri
Momenti di calcio come sarebbero dovuti essere
24 dic 2020
24 dic 2020
Il calcio raramente è giusto ma per Natale si può rimediare.
(di)
Gianni Montieri
(foto)
Dark mode
(ON)

In una bellissima poesia, Milo De Angelis scrive: «Non farti portare via / dalla partita, da un’idea dell’amore / che muta con un numero». Sono versi talmente belli e potenti che ogni volta mi commuovono. L’emozione nasce non solo dalla capacità evocativa di quelle parole, ma dalla precisione con cui sono messe insieme, dal modo in cui De Angelis le ha disposte. Questione di millimetri, succede con in versi, una sillaba di troppo può trascinarti fuori ritmo e registro e rovinare tutto; succede con il calcio, un controllo in più, un tiro frettoloso, un altro che esce fuori di un niente, il portiere che ci arriva con la punta delle dita, l’arbitro che fischia un fuorigioco che non c’era, la traversa, il palo, il difensore che salva sulla linea, l’attaccante che arriva con un attimo di ritardo, o che arriva in anticipo, quell’altro che salta fuori tempo.


 

Quei versi di De Angelis hanno a che fare anche con il desiderio e con ciò che non si realizza sul campo, la partita che non è andata come volevamo, un tiro o una parata hanno trasformato la nostra aspettativa in delusione, ancora una volta, anche questa. Quei versi per me sono, soprattutto, motivo di conforto, sono più affezionato al gesto, alla singola giocata che al risultato. Intendiamoci, mi piace quando la squadra per cui tifo vince, ma resto più deluso davanti a un gol che poteva essere bellissimo e non lo è stato. La bella giocata è la mia idea d’amore e tento di non farmela portare via dal numero, perciò dalla partita. Certe partite avrei voluto che andassero in un’altra maniera, perché qualcosa è stato sottratto alla bellezza o alla giustizia, che qualche volta sono la stessa cosa. Allora, tenendo a mente i versi di De Angelis, me le sogno, cioè me le scrivo (forse anche in questo caso stiamo parlando della stessa cosa), e provo a rimettere a posto le cose.


 

È il 25 giugno del 1978, nel sogno le date coincidono, a Buenos Aires si sta giocando la finale dei mondiali tra Argentina e Olanda. Vedo che Cruijff c’è, all’ultimo momento è stato inserito tra i 22 e ha partecipato ai Mondiali. La partita è dura, ci sono molti falli, gli argentini sono aggressivi e gli olandesi non sono da meno. Nel sogno siamo 1 a 1, Nanninga ha appena pareggiato, si profilano i tempi supplementari. La variabile Cruijff inciderà sulle idee di Videla, sulle decisioni discutibili di Gonella, l’arbitro italiano, e inciderà anche sul destino di Mario Kempes. All’ultimo minuto c’è un lancio dalla trequarti verso l’area argentina, una cosa non proprio da olandesi, ma così è, la palla è calciata da Krol, un lancio da 50 metri, la palla  - come tutti sanno – scavalca i difensori sudamericani e arriva a Rensenbrink, che spunta alle spalle di tutti e calcia di sinistro, anticipando l’uscita di Fillol, palo pieno. La palla torna verso il centro dell’area, ed ecco che Passarella non riesce a spazzarla, prima di lui – spuntando da chissà dove – arriva Cruijff che in tuffo di testa insacca a porta ormai vuota, 2 a 1 per l’Olanda. Gonella concede 9 minuti di recupero, ma nulla più impedirà all’Olanda questa volta di diventare campione del mondo. Al fischio finale esplode la disperazione dei calciatori argentini, Bertoni e Ardiles scoppiano in lacrime. Mario Kempes stavolta sceglie una mano da stringere, è quella di Johan Cruijff, i due si scambiano una pacca sulle spalle e subito dopo le maglie. Mi sveglio mentre qualcuno sta scattando la fotografia.


 

«La parte inventata», scrive lo scrittore argentino Rodrigo Fresán «che non è, mai, la parte disonesta, anzi è la parte che trasforma davvero qualcosa che è semplicemente accaduto in qualcosa così come doveva accadere». Il gol di Michel Platini nella finale dell’Intercontinentale del 1985, è la cosa semplicemente – magnificamente accaduta. Platini stoppa di petto al limite dell’area, con un mezzo pallonetto di destro salta il calciatore dell’Argentinos Juniors che lo sta marcando, e calcia al volo di sinistro, segnando un gol indimenticabile. La cosa che lo trasforma in qualcosa così come doveva accadere è il mio sogno, in cui l’arbitro non annulla ma convalida. La Juventus vincerà la coppa perciò il risultato non cambierà, ma per 3 a 2 nei tempi regolamentari, senza arrivare ai supplementari e ai calci di rigore. Una cosa resta uguale perché è accaduta così come doveva accadere. Platini dopo il gol, stavolta regolare, si lascia cadere lo stesso sul terreno di gioco, e di nuovo si solleva su un fianco tenendosi la testa sollevata con il braccio, solo che stavolta ride e guarda in su, come a dire: «Cos’altro posso fare dopo questo?». Se le cose andassero sempre come devono andare nessuno si azzarderebbe mai ad annullare una rete del genere, figuriamoci un arbitro. 


 





 

Alcuni calciatori meriterebbero un posto rilevante nella storia, quella che si fa nei tabellini, perché nel cuore dei tifosi quel posto ce lo hanno già. Uno di questi è Christian Maggio, e io in un sogno di Natale gli ho reso giustizia, ho scritto il suo nome tra i marcatori di una partita. È il 21 febbraio del 2012, al San Paolo di Napoli si giocano gli ottavi di finale tra Napoli e Chelsea. La partita è bellissima, la squadra di Mazzarri disputa un incontro indimenticabile contro la squadra di Lampard, John Terry e Drogba, e quando mancano dieci minuti alla fine è in vantaggio per 3 a 1. Due gol di Lavezzi e uno di Cavani hanno ribaltato il vantaggio iniziale degli inglesi realizzato da Mata. Nel sogno mancano nove minuti alla fine, Hamsik quasi dalla linea di fondo la mette rasoterra nell’area piccola, lì è appostato Maggio, che di sinistro segna a porta vuota. Nella partita vera, il tiro fu respinto incredibilmente sulla linea di porta da Ashley Cole. Il Napoli venne poi eliminato perdendo allo Stamford Bridge per 4 a 1. Nel sogno mi sveglio prima della partita di ritorno, forse il Napoli esce lo stesso oppure no, non importa, non sarà un’eliminazione agli ottavi a cambiare la nostra vita. La cosa importante è che nessuno dica che sia stata colpa del gol fallito da Maggio all’andata. Qui Maggio ha segnato, al San Paolo è finita 4 a 1 ed è giusto e bello così.


 

Zoff, in tuffo perfetto, con la mano di richiamo, arriva fin sotto la traversa e la para, devìa il tiro di Haan, che anche nei miei sogni è partito da una distanza siderale, ma adesso – qui – in un diverso inverno argentino, il portiere della nazionale italiana ci arriva e manda la palla prima sulla traversa e poi in calcio d’angolo. È di nuovo il giugno del 1978, Freud direbbe che ho una questione irrisolta con quel mondiale, può darsi. Eppure, non si può sopportare che un grande portiere come Zoff, venga negli anni accusato di non vederci bene, di non parare i tiri da lontano. Che fesserie. E poi anche il primo gol, lo ricordate? Segnò Bradnts sempre da fuori area, ma quell’azione nacque da una rimessa laterale in cui gli olandesi che avrebbero dovuto restituire il pallone agli azzurri non lo fecero. La palla l’aveva buttata fuori proprio Zoff che si era fatto male alla spalla. In ogni caso, in questo sogno, Zoff la para e l’Olanda esce, sì, esce. Qualcuno potrebbe obiettare che questo sogno contrasta con l’altro in cui gli "orange" vincevano i mondiali, ma si tratta di sogni e non di almanacchi. In una poesia molto bella, Anna Maria Carpi scrive: «Il fatto è che del vero non m’importa» riferendosi alla scrittura, all’invenzione; figuriamoci se il vero può intromettersi mentre si sogna. Zoffa la para, ciao Olanda.


 

Mark Juliano si disinteressa del pallone e si butta addosso a Ronaldo, è il 1998, e fino a qua è tutto uguale, ma nel sogno l’attaccante brasiliano e più veloce di sé stesso, riesce a raggiungere il pallone prima che il difensore della Juventus gli frani addosso, lo sposta con un tocco di esterno destro e batte Peruzzi con un tiro al fil di palo, pareggiando il gol segnato da Del Piero. Da questo momento in poi, secondo il mio sogno, la partita può continuare, se deve finire in pareggio finisca, se l’Inter deve raddoppiare che raddoppi, magari con un colpo di testa di Zamorano; o se Del Piero o Zidane debbano inventare un’azione clamorosa e siano i bianconeri a portarsi di nuovo in vantaggio, beh che la inventino, non importa. Importa che qui l’arbitro non conta, si è dissolto, come succede a volte ai personaggi dei quadri dei pittori fiamminghi, che in mezzo ai colori che scuriscono si confondono e svaniscono in una nebbia, con la schiena - dipinta appena un tono più scuro del paesaggio circostante – consegnata per sempre ai visitatori di un museo, che, nella calca, qualche volta non la noteranno nemmeno. Quello che succederà dopo quella partita non ci riguarda.


 

Così come l’infermiera, che non viene, non entra sul terreno di gioco dove l’Argentina ha appena battuto la Nigeria per 2 a 1, con doppietta di Caniggia. L’infermiera, non prende per mano Diego Maradona, non lo porta al controllo antidoping come si porta un bambino in bagno. La FIFA non stabilisce che il campione argentino non serve più, non considera gli stadi pieni il massimo cui si possa ambire. L’Argentina che rovina la festa, meglio di no. Eduardo Galeano scrive: «Il piacere di abbattere gli idoli è direttamente proporzionale alla necessità di averli». Lo scrive riferendosi a Maradona, a quell’episodio, a quella partita. Nel sogno invece, l’infermiera non viene e l’Argentina va avanti fino alle semifinali, dove forse perde con l’Italia o forse no, magari perde con un rigore sbagliato da Maradona, con Maradona che piange, ma solo perché ha perso, come quando un bambino perde a qualsiasi gioco. Magari invece l’Argentina batte l’Italia proprio con un gol di Maradona, un gol bellissimo, oppure con un gol di Batistuta servito proprio da Diego, oppure l’Argentina perde così: Maradona ha appena colpito la traversa dopo aver dribblato chiunque, sul ribaltamento di fronte, Franco Baresi taglia il campo e lancia Signori in contropiede, l’attaccante entra in area e mentre sta per caricare il sinistro mi sveglio, e non capisco se sia stato un sogno brutto o un sogno bello.


 





 

Roberto Baggio ha detto di Paolo Rossi: «Non mi ha domandato di quel rigore sbagliato». Lo ha detto con affetto qualche giorno fa, mentre tutti ricordavamo l’attaccante straordinario appena scomparso; inutile specificare di quale rigore si tratti, è quel rigore, quel solo maledetto rigore a USA ’94. Sognare di vincere con il Brasile prima dei rigori o sognare di vincerla ai rigori? Secondo me ai rigori, Baggio deve segnare quel penalty. Ricordiamo la sequenza vera: Franco Baresi (sbagliato); Marcio Santos (sbagliato); Albertini (gol); Romario (gol); Evani (gol); Branco (gol); Massaro (sbagliato); Dunga (gol); Baggio (sbagliato). Ora, nella notte, prima di sognare la sequenza che più ci piace, dobbiamo ricordarci una cosa, facendoci una domanda: perché nessuno ha in mente che anche Massaro sbagliò quel giorno? Daniele Massaro è stato cancellato perché la delusione verso Franco Baresi  - che giocò una partita eccezionale – è più grande; perché la delusione nei confronti di Roberto Baggio è indicibile. Ci ricordiamo dei due campioni, della roccia Baresi e dell’immenso Baggio, e rimuoviamo Massaro, ma è giusto che anche lui si prenda le sue colpe, prima di sognare tutto daccapo, accusiamo l’attaccante del Milan, pupillo di Sacchi, di aver sbagliato un rigore importante. Nel sogno sorridiamo perché la nuova sequenza è questa: Franco Baresi (gol); Marcio Santos (sbagliato); Albertini (gol); Romario (gol); Evani (gol); Branco (gol); Massaro (sbagliato); Dunga (gol); Baggio (gol); Bebeto (sbagliato). L’Italia è campione del mondo, suona la sveglia.


 

Nessuno perde lo scudetto in albergo. È un giorno di aprile, Giovanni Simeone non fa nessuna tripletta con il Napoli, che invece vince per 1 a 0, con uno splendido gol di Hamsik. Lo slovacco ha segnato in tuffo di testa su cross dalla destra di Callejón. La sera prima a San Siro, tra Inter e Juventus è finita 2 a 1 per l’Inter, il sogno registra tutto fino all’autogol di Barzagli, il sogno vede l’espulsione di Pianjc, il sogno può e sa. A questo punto il Napoli ha in classifica 3 punti in più la Juventus 3 in meno. Nel sogno non vogliamo permetterci di influenzare le giornate successive, ma a questo punto chi crederebbe che il Napoli così lanciato la settimana successiva non batta il Torino? In questo sogno irreale e molto bello di Natale il Napoli chiuderebbe il campionato a 96 punti, la Juve non lo chiuderebbe a 95. È un sogno bellissimo e assurdo, di quelli che fanno i tifosi, che non entra nel merito, si offre solo di riparare nella notte ciò che il giorno ha sottratto. Un sogno che è come la lettera di De André: «Vera di notte, falsa di giorno».


 

Burgnich la prende, stacca più in alto di Pelé e respinge di testa. Ah, sospiro. Salviamo il soldato Tarcisio da tutte le foto, e in bianco e nero e a colori, che abbiamo osservato per decenni. Il nostro immaginario per sempre trafitto da Pelé che va a prendere il pallone ad altezza Michael Jordan e umiliato da Burnich che sembra piccolo e goffo, che nulla può, che nulla potrebbe e che nulla mai potrà. Nel sogno Burnich diventa Scottie Pippen e Pelé non diventa Jordan, Burnich sembra un angelo, sembra salire su una pertica invisibile, va più in alto della traversa, di ogni altezza ipotizzabile e respinge la palla fuori area. «Non una parola viene, ma il pensiero di finestre alte». Scrive il poeta inglese Larkin e il telecronista brasiliano tace, e Nando Martellini non pronuncia verbo, il silenzio prosegue ancora per qualche istante dopo che la palla spazzata cade. Non vedremo più Burnich con gli occhi chiusi e il braccio aperto, come a volersi aggrappare all’aria, vedremo Pelé che cade ruzzolando e non si spiega chi sia salito più in alto di lui, non capisce come possa non aver raggiunto il pallone. Burnich e l’unico gol di Boninsegna diventeranno le cose salve di quella partita, che pure nel sogno l’Italia perderà, perché  - anche con la particolare fantasia che vien di notte - quel Brasile non si può battere, tantomeno l’Italia stanca dalla semifinale vinta con la Germania, l’Italia che anche qui concede a Rivera soltanto sei minuti.


 

Piccoli sogni sparsi, da aprire come pacchetti sotto l’albero: Agostino di Bartolomei è vivo ed è presidente della Roma. All’Heysel non è morto nemmeno un tifoso. Il grande Torino non si schianta mai con nessuno aereo e vince altri scudetti. Il gol di Turone viene convalidato per sempre. Nessuno spara a Re Cecconi. Federico Aldrovandi è vivo, Ciro Esposito è vivo. La Nigeria, a un certo punto, è campione del mondo. Gli stadi sono tutti pieni e colorati. Diego Armando Maradona non muore, Paolo Rossi non muore. Eduardo Galeano e Juan Carlos Onetti scrivono le loro biografie.


 

 

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura