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Dario Pergolizzi
Come il Siviglia ha raddrizzato una serata storta
01 giu 2023
01 giu 2023
La squadra di Mendilibar ha vinto una partita difficile e l'Europa League.
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Dario Pergolizzi
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IMAGO / Gribaudi/ImagePhoto
(foto) IMAGO / Gribaudi/ImagePhoto
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Il Siviglia vince ancora una volta l’Europa League, per la settima volta in diciassette anni. Questa volta lo fa al termine di una delle finali più estenuanti dell’epoca recente, una partita durata più di 140 minuti e che alla fine ha punito la Roma. La squadra di Mourinho aveva iniziato meglio, ma col passare dei minuti ha perso l'inerzia positiva, finendo per subire più del Siviglia questa guerra di logoramento. Anche per questo la Roma non è riuscita ad avere in campo i suoi migliori giocatori nei momenti decisivi, come nei rigori. Il Siviglia non ha brillato, ma alla lunga è stata forse più a suo agio nella sofferenza, accettando meglio un tipo di partita che forse poteva esserle indigesto e finendo per arrivare ai rigori in una maniera migliore, contando su calciatori più preparati e un portiere abile nel fondamentale.

Di questa partita abbiamo parlato anche in Che Partita Hai Visto, il podcast dedicato ai nostri abbonati in cui commentiamo a caldo le partite più importanti della settimana. Se non siete ancora abbonati, potete farlo cliccando qui.

L'inizio della Roma L’approccio alla partita della Roma è stato abbastanza aggressivo, alternando dei momenti di pressing alto ad altri di contenimento più basso, ma comunque interpretati con un certo vigore, e poi seguiti da una buona reattività una volta recuperato il possesso. La squadra di Mourinho si è mossa su due piani diversi: quando andava a pressare alto il Siviglia (che a dirla tutta non pareva avere troppa voglia di far circolare il pallone nei pressi della sua area di rigore) Pellegrini si sistemava alle spalle di Dybala e Abraham, prendendo come riferimento Fernando, mentre Cristante e Matic alle sue spalle potevano agire, rispettivamente, orientandosi su Rakitic e i movimenti incontro di Torres, o dando copertura centrale. Il pressing della Roma in questi casi andava avanti sfruttando le uscite forti di Cristante sulla destra, seguendo i movimenti a defilarsi e abbassarsi di Rakitic, mentre sui giro palla verso i terzini Navas e Telles si sganciavano, partendo qualche metro più in basso, Spinazzola e Celik. In queste occasioni, era decisivo il tempismo di scalata di Mancini e Ibanez, che dalla loro posizione di difensori intermedi, dovevano allargarsi o comunque prendere in consegna Gil e Ocampos, cioè gli esterni di Mendilibar.

A questo punto, Smalling e il difensore opposto al lato palla rimanevano in isolamento contro En-Nesyri e Oliver Torres; circostanze che la Roma è riuscita a gestire molto bene sia grazie a una partita aggressiva e precisa dei suoi centrali, che al contributo sostanzioso di Matic nei ripiegamenti e nei raddoppi centrali. Quando invece il Siviglia riusciva a risalire il campo con un palleggio più paziente, Pellegrini andava a posizionarsi sul fianco sinistro di Matic, tenendosi pronto a raddoppiare insieme a Spinazzola sull’esterno, oppure a prendere in consegna una sovrapposizione interna/esterna del terzino. Un atteggiamento simile era visibile anche sul lato opposto, con la differenza che Cristante, partendo in prima battuta spesso con il riferimento diretto di uno specifico avversario (Rakitic spesso, ma talvolta anche Fernando ritrovatosi da quel lato) tendeva più ad assorbire direttamente i tagli di quell’avversario. In tutto ciò, Matic scivolava orizzontalmente da un lato all’altro equilibrando le uscite aggressive dei compagni, talvolta schiacciandosi fin dentro la linea difensiva, così da dare copertura anche alle scalate aggressive dei difensori alle sue spalle.

La Roma è riuscita a neutralizzare il Siviglia per la maggior parte del primo tempo con questa strategia, unita alla solita grande applicazione difensiva di tutti i coinvolti, anche delle punte. Iconica a riguardo l’immagine di Dybala che, all’ultimo istante del primo tempo, si sdraia eroicamente al centro della trequarti per schermare un tiro da fuori. Dal punto di vista offensivo, i giallorossi sono riusciti a creare più di qualche pericolo verso la porta di Bounou in questa fase, sfruttando innanzitutto la grande vena di Paulo Dybala, che ha avuto un ruolo decisivo in tutti quei movimenti di raccolta del pallone, resistenza al pressing, partecipazione da un lato all’altro del campo. Da sue invenzioni sono capitate le due migliori occasioni della Roma nel primo tempo, il tiro di Spinazzola e un quella avuta da Pellegrini, che però ha controllato male il pallone. Ovviamente c'è anche il gol segnato dall'argentino, dopo una bella verticalizzazione di Mancini. Certo, non è una novità che la Roma non sia riuscita a sfruttare più di tanto delle trame di gioco interne che riuscissero a esaltare le ricezioni di Dybala e Pellegrini a ridosso di Abraham, ma in compenso, finché ne hanno avuto, è riuscita a ricavare il meglio anche da palloni ad alto coefficiente di difficoltà giocati in verticale, o comunque sul lungo, da un lato all’altro del campo. [gallery columns="4" ids="91990,91991,91992,91993"] Per risalire il campo la Roma o cercava una circolazione paziente tra i suoi difensori oppure cercando palle lunghe verso Abraham o l’esterno (principalmente Spinazzola). Consolidato il possesso nella metà campo avversaria, nella Roma ha continuato a prevalere questa ricerca dei cambi gioco. Esemplificativa una delle azioni più pericolose della Roma, con Spinazzola che fa un lungo cambio gioco in diagonale verso Dybala, che riesce ad addomesticarlo, si incunea in area e la mette al centro per lo stesso Spinazzola, autore di un tiro abbastanza innocuo. Anche se questo atteggiamento ha avuto i suoi aspetti positivi - alcune occasioni create nei pressi dell’area, anche su palle inattive scaturite da giocate simili - ha probabilmente posto le basi per quanto successo dopo, con una graduale ma evidente perdita di controllo da parte della squadra di Mourinho, che, una volta che le energie venivano meno, non si è ritrovata sufficientemente a suo agio nell’addormentare i ritmi attraverso il possesso, non riuscendo a compattarsi con il pallone e a mantenere una riaggressione adeguata per tenere il Siviglia lontano dalla propria area. L'uscita di Dybala, che non aveva nelle gambe più di quanto ha dato, e il calo di Abraham e Pellegrini, con quest’ultimo che ha concluso la sua partita giocando più alto dopo l’ingresso (abbastanza negativo) di Wijnaldum, hanno tolto alla Roma ulteriori possibilità di rialzare il proprio baricentro o ribaltare il campo in ripartenza. Com’è cambiato il Siviglia Ma c’è anche una buona parte di merito nel Siviglia, per il cambio di contesto dal secondo tempo. Mendilibar ha inserito, già a inizio secondo tempo, Suso e Lamela al posto di Torres e Bryan Gil, che erano stati in balia dell'aggressività dei difensori della Roma per buona parte del primo tempo, e non erano riusciti a variare i ritmi e la qualità del possesso della loro squadra. Con l’ingresso di Suso e Lamela, oltre a poter godere di un tipo di interpretazione differente, il Siviglia è diventato più fluido nella trequarti avversaria.

Lamela, entrato a sinistra al posto di Gil, si è messo in mostra da subito per una diversa efficacia nel venire incontro e giocare dentro il campo, movimenti che ben si incastravano con quelli a supporto di Rakitic e Alex Telles (che tendeva a sovrapporsi all’interno). Quando non era direttamente coinvolto nello sviluppo del palleggio, l’argentino tendeva ad accentrarsi, aumentando sia le potenzialità di riaggressione centrale della sua squadra, che le possibilità di attacco dell’area di rigore sugli attacchi da destra. Da quel lato, infatti, l’ingresso di Suso ha mischiato ulteriormente le carte. Alternandosi e sovrapponendosi con Ocampos nel presidio della fascia destra, l’ex Milan ha svolto una funzione catalizzatrice che ha consentito al Siviglia di far arrivare più spesso l’eterno Jesus Navas sul fondo, magari ricevendo con qualche, decisivo, centimetro in più a disposizione per tentare il cross (soluzione che nel corso del primo tempo è stata difesa molto bene dalla Roma). Ciò è stato possibile perché Suso ha da subito mostrato di essere perfettamente in sintonia con il palleggio dei compagni vicini e coi movimenti funzionali necessari, di circostanza in circostanza, aperti o interni.

La seconda conseguenza “indiretta” dell’ingresso di Suso è relativa al posizionamento di Ocampos, che ha potuto dedicarsi più spesso ai movimenti interni e all’attacco dell’area, dando al Siviglia una seconda opzione quando crossava in area, cosa avvenuta anche in occasione del gol del pareggio. Pochi minuti prima, Ocampos aveva già fatto sentire la sua presenza in area con una ambiziosa rovesciata. Insomma, il Siviglia è riuscito ad aumentare il suo peso offensivo man mano che i minuti passavano e, sfruttando il progressivo calo della Roma e l’uscita dal campo dei suoi uomini più qualitativi, è riuscito a prendersi il campo trovando anche delle ricezioni centrali pulite alle spalle del centrocampo giallorosso cosa che, a inizio partita, era sembrata impossibile. La Roma di Mourinho, in questo biennio, ha definito la sua identità proprio sulla capacità di resistere sotto pressione, rendere degli assedi subiti la normalità. Così è arrivata in finale, ma ieri non ha funzionato, anche un po' per sfortuna, visto che il gol del Siviglia è arrivato con una deviazione di Mancini nella propria porta. A questo punto, con la partita riaperta, la Roma non è stata in grado di riprendere le trame del primo tempo, mostrando tutti i suoi limiti strutturali nella creazione di occasioni. Chi è entrato dalla panchina non è riuscito a incidere come hanno fatto Suso e Lamela e, per dieci minuti, la Roma è sembrata dover soccombere alla pressione del Siviglia. Un rigore prima concesso e poi tolto col Var a Ocampos ha però come risvegliato i giallorossi. Da quel momento la squadra di Mourinho è sembrata in grado di gestire meglio la pressione avversaria, mentre il Siviglia si è come di colpo sgonfiato. Da lì è nata un'altra partita ancora dove la Roma ha avuto dalla sua i calci piazzati (simbolica l’immagine di Mourinho che, a ridosso del tempo supplementare, è inquadrato dalle telecamere mentre spiega ai suoi giocatori i cambi di strategia sui piazzati indicando compulsivamente i disegni colorati nei fogli tra le sue mani, che avevano un aspetto stremato come quello della squadra). Da queste situazioni la Roma ha avuto le occasioni per vincere la partita, più di una, anche importanti come la punizione morbida di Pellegrini per Belotti, il tiro sbilenco di Ibanez da pochi metri dopo mille carambole tra una matassa di corpi intorno a Bono, un colpo di testa di Smalling un po’ troppo “schiacciato”, arrivato seguendo una dinamica che ha costantemente messo in difficoltà il Siviglia sui piazzati, cioè il movimento del difensore inglese verso il secondo palo, a sovraccaricare il difensore più esterno sul lato debole. Alla fine, sopravvivendo (o imponendole?) anche alle estenuanti dilatazioni temporali dei tempi supplementari, la Roma è riuscita a resistere al lungo ritorno di fiamma del Siviglia, scollinando fino ai rigori, affrontati poi con una rosa di tiratori probabilmente non ottimale a causa delle sostituzioni effettuate. Questa volta, per la prima volta, Mourinho non è riuscito vincere una finale europea, e la sua mistica fatalista ha dovuto piegarsi a quella forse ancora più fatalista del Siviglia. Lo ha fatto trovando le proprie misure strada facendo, resistendo a un buon avvio avversario, inserendo degli interpreti decisivi che hanno portato varietà di soluzioni e occupazioni spaziali, ma anche appoggiandosi ai suoi pilastri di esperienza - Rakitic, Fernando, Navas - che a loro volta hanno trovato il modo di stare in campo più consono alla partita, col passare dei minuti, resistendo alle loro stesse debolezze e trovando di volta in volta le opportunità migliori.

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