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Marco D'Ottavi
Questa Juventus non vince e non impara
19 mag 2023
19 mag 2023
Il Siviglia va in finale mostrando di volerlo di più.
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Marco D'Ottavi
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IMAGO / Pressinphoto
(foto) IMAGO / Pressinphoto
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Un bel cielo andaluso, il Sánchez-Pizjuán vestito a festa, la mistica del Siviglia e l’Europa League. Ci sono voluti 120 minuti ma alla fine il copione ha rispettato la scenografia, chi l’ha voluto di più si è preso la finale. Per la Juventus arriverà il momento dei giudizi sulla rosa, lo staff tecnico, la società. Farlo oggi, però, sarebbe un po’ ingeneroso, al termine di una semifinale di ritorno che è stata un turbinio, una partita che poteva andare da una parte e dall’altra, dove le due squadre si sono scambiate occasioni da gol come fossero due pugili in un ring, contrasti duri come pugni, grandi giocate ed errori banali come caramelle. Che non sarebbe stato facile per la Juventus si sapeva e il campo è stato chiaro. Lo sforzo fisico, mentale ed emotivo di affrontare questo Siviglia a casa sua è stato semplicemente troppo per una squadra che in questa stagione ha mostrato di avere spirito ma anche molta confusione. Già al sesto minuto la Juventus si difendeva dentro la propria area con 9 giocatori, al decimo minuto i lanci lunghi dei bianconeri erano 10, di cui uno riuscito, su un totale di 35 passaggi (55% di precisione, a fine partita sarà del 73%).

In nove dentro l’area, Di Maria appena qualche metro fuori.

In una partita così anche le scelte di Allegri diventano relative, come quella di inserire Iling Junior a sinistra al posto di Kostic. L’inglese, che in questo primo scorcio di carriera ha mostrato di avere una fulminante capacità di infilarsi dentro difese schierate, ieri ha fatto praticamente il terzino, applicandosi in una rigorosa fase difensiva che però non gli appartiene. Meglio è andata forse con Kean, tornato titolare in maniera controintuitiva al posto di Vlahovic e Milik, forse per accollarsi i primi 65 minuti di 120, ma finendo per essere uno dei più positivi finché è stato in campo. Ed è stata la sua capacità di vincere il duello individuale con Badé a far rifiatare ogni tanto la Juventus nel primo tempo, toglierla da quelle fasi in cui il Siviglia la costringeva a tenere la testa sott’acqua. Se al 26’ Di Maria - in quella che è stata forse la miglior azione della Juventus, una transizione in verticale partita da un triangolo tra Iling Junior e l’argentino, passata per una ricezione spalle alla porta di Kean e rifinita da un brillante filtrante di Rabiot - l’avesse ripassata a Kean davanti alla porta vuota invece di provare un pallonetto disastroso, sarebbe cambiato qualcosa? Se Kean, messosi in proprio, dopo essersi fumato Baldé con un movimento da centroboa della pallanuoto avesse incrociato sull’interno del palo invece che sull’esterno? A volte le scelte di Allegri sembrano fatte proprio per forzare questa ricerca degli eroi inattesi, come se la condizione emotiva dei giocatori potesse ribaltare un piano tattico precario.Se la Juventus ha avuto le sue occasioni nel primo tempo, la squadra più presente in campo è stata il Siviglia. La squadra di Mendilibar per larghi tratti è stata molto abile nel riaggredire gli avversari appena riconquistavano palla, accerchiare la difesa della Juventus per poi provare a scardinarla con i cross. Attaccare la Juventus con i cross, una squadra che si difende con tre difensori abili nei colpi di testa come Gatti, Bremer e Danilo, a cui può aggiungere Rabiot e Locatelli, sembra quasi un controsenso. Il Siviglia, però, non crossa per crossare, come se fosse una scorciatoia a una mancanza creativa (che comunque c’è), ma lo fa costruendo raffinate rotazioni sulle catene laterali, sfruttando gli esterni Gil e Ocampos a piede naturale e lasciando grande libertà di spinta ai terzini Acuna e Jesus Navas. E proprio da un cross di Navas è arrivato il colpo di testa in tuffo di Ocampos che Szczesny ha tolto dalla porta con un riflesso felino, l’unico dei 28 (28!) andato davvero a buon fine nei primi 45 minuti.

Il piano di Allegri, quindi, che poi è il solito piano, sembrava poter funzionare a un certo punto. La Juventus contava sulle capacità dei suoi difensori e del suo portiere per contenere la spinta del Siviglia, farli sfogare in una pioggia di cross per poi ripartire. Gli spagnoli, anche più che all’andata, hanno mostrato di essere una squadra con poco equilibrio quando si lascia coinvolgere emotivamente dalla partita. Con il solo Fernando davanti alla difesa, visto che Rakitic saliva molto per associarsi con la catena di sinistra, soprattutto Rabiot ha trovato diversi spazi per correre con il pallone, quello che sa fare meglio. A inizio secondo tempo prima è arrivato al tiro dal limite dell’area di rigore, poi è bastata una giocata un minimo elaborata per creare una grande occasione: Bremer batte la rimessa dal fondo per Danilo che si è spostato largo a sinistra, il pressing del Siviglia per una volta è distratto, il brasiliano può lanciare alzando la testa e trovando Kean, che con una bellissima sponda di petto lancia nello spazio Rabiot. Il francese si è trovato lanciato verso la porta da solo ma il suo tiro di sinistro, da posizione angolata ma non impossibile è finito fuori di poco. [gallery columns="4" ids="91684,91685,91686,91687"] È stato il momento in cui la partita è sembrata poter piegare verso la Juventus. Pochi minuti dopo Bremer, di testa, ha sfiorato il gol in maniera ancora più evidente. Poi - subito dopo i cambi: Suso per Oliver Torres, Chiesa per Di Maria, Vlahovic per Kean - la Juventus ha segnato. Non è stato un gol voluto: su una rimessa laterale del Siviglia si sono alternati un colpo di testa di Cuadrado, uno di Acuna, uno stop sbagliato di Chiesa, un colpo di testa di Rabiot, un rimpallo tra Vlahovic e Gudelj, un errore di Badé obiettivamente difficile anche solo da spiegare. Ci sono volute tutte queste cose per mettere davanti la porta Vlahovic, che poi è stato freddo come raramente gli è capitato in questa stagione. Cosa fa una squadra forte a questo punto? Vince le partite. Alla Juventus, però, l’inerzia positiva fa anche peggio di quella negativa. Invece di continuare su quello che stava riuscendo meglio per cercare il secondo, è entrata in una fase di catatonica su cui il Siviglia ha banchettato. Non ci è voluto neanche molto tempo, appena 5 minuti. Su una palla sporca arrivata a Chiesa ai limiti della sua area di rigore (teoricamente doveva essere la seconda punta), invece di spazzare, l'italiano cerca di controllare il possesso e resistere alla riaggresione di Acuna per poi cercare uno scarico. Il supporto però è scarso e l’argentino vince il duello fisico, ricicla il possesso che gli viene strappato dai piedi da Lamela, che pur contrastato da Chiesa e Iling, cadendo, riesce a servire Suso. Lo spagnolo, forse ve lo ricordate, è passato in Italia per un giocatore irritante e inconcludente, ma il suo sinistro non è mai stato un problema. Dopo aver scartato Paredes, che invece di accompagnarlo verso l’esterno cerca la scivolata, Suso supera il miglior Szczesny della stagione e quasi butta giù la porta.

È indicativo di come il Siviglia, la squadra con la rosa meno forte tra le due, abbia ripreso (e poi vinto) la partita con i cambi. Spinta anche dal pubblico di casa, la squadra di Mendilibar, dopo il pareggio, ha continuato a essere la squadra migliore in campo. Non è riuscita a vincere nei 90 minuti, ma gli è bastato scegliere il momento giusto per trovare il gol decisivo. È stato anche, almeno apparentemente, facile: Gudelj ha trovato Gil isolato a sinistra contro Cuadrado. L’esterno spagnolo, autore di una partita notevole, ricca di tantissime giocate, non ha esitato nel puntarlo, farsi spazio e mettere dentro il 61esimo cross della sua squadra. Gil è mancino e per lui crossare dal fondo è più comodo: il suo pallone è teso, appena dietro i tre difensori della Juventus che istintivamente si erano schiacciati a copertura dell’area piccola, proprio lì dove stava arrivando Lamela e dove Rabiot non lo ha seguito.

Dopo si è entrati nel regno oscuro delle vittorie del Siviglia, partite che si trascinano tra interruzioni, perdite di tempo, errori che sembrano frutto di una stregoneria. Gli spagnoli non sono una squadra che si difende bene e la Juventus avrebbe avuto anche le possibilità per fare il gol del 2-2 e sperare nella buona stella del suo portiere ai rigori. Nella mezz’ora finale la squadra di Allegri ha calciato sei volte, ma solo una di queste nello specchio. Le due occasioni migliori sono capitate sul piede di sinistro di Chiesa, ma le ha fallite malamente. Il resto si è composto da molti cross e calci d’angolo respinti, in una curiosa legge del contrappasso che ha creato un finale più convulso che pericoloso. Alla fine la Juventus non si è sciolta, come può succedere alle squadre che stanno attraversando una stagione difficile da tutti i punti di vista, ma forse questa versione ibrida, capace di stare attaccata al Siviglia ma non di batterlo deve far pensare ancora di più società e tifosi. Ieri Allegri lo ha detto: «Più di così non si poteva fare». Non ha detto, però, perché. Perché la Juventus oggi è a un livello leggermente più basso di quello di una squadra che dovrebbe esserle inferiore su tutti i piani del confronto sportivo? Negli oltre 200 minuti di questa semifinale quelli a suo favore sono stati troppo pochi. Se l’inerzia del proprio vantaggio atletico, fisico e tecnico poteva bastare con Nantes e Friburgo, col Siviglia c’era bisogno di qualcosa in più che non si è visto. Che cosa? Allegri ha trovato la sua risposta nell’inesperienza, scaricando la colpa sui giovani, «che hanno poca esperienza internazionale» e che l’anno prossimo saranno più pronti (ma l’anno prossimo giocheranno in Europa? Per la Juventus l’occasione più certa era proprio questa coppa). Se, come ho scritto, non è il momento dei processi, bisogna dire che queste parole di Allegri sono difficili da spiegare, tanto più che sono state smentite anche da Danilo che ha invitato «chi ha più esperienza come me, Di Maria, Paredes e Cuadrado» ad «assumersi la responsabilità». Difficile dire se abbia fatto dei nomi a caso o se stesse cercando di mandare un messaggio a qualcuno, ma è indubbio che, se la colpa deve passare dai giocatori, deve passare da quelli più esperti. Fagioli, finché è stato in campo, ha dimostrato di non avere nessun problema quando il livello di gioco si alza e di essere, tolto l’ultimo anno di Rabiot, il miglior centrocampista passato per la Juventus da diversi anni a questa parte. Gli altri giovani chi erano? Iling Junior ha giocato praticamente da terzino, Miretti entrato nel finale per essere mosso come una pedina, Kean - se vogliamo considerarlo giovane - è stato tra i più positivi. Chiesa e Vlahovic sono stati pagati e guadagnano abbastanza da non poter passare per "giovani inesperti". Puntare il dito, all’interno di una stagione veramente strana, è sbagliato, ma volendo farlo Allegri avrebbe dovuto farlo verso Alex Sandro, disastroso all’andata, Cuadrado, che ieri ha giocato forse la sua peggior partita da quando è alla Juventus, Di Maria, le cui condizioni fisiche sono semplicemente insufficienti. Ma se questi giocatori non possono stare in campo, chi deve accorgersene? La Juventus finirà la seconda stagione consecutiva senza trofei, ma questo può essere anche considerato un incidente di percorso. Il problema, al massimo, è che finirà la seconda stagione senza un progetto tattico coerente, con 105 formazioni diverse su 105 partite, con i suoi migliori giocatori che si nascondono e con quelli più giovani che vengono accusati. Nello sport, quando si vuole trovare qualcosa di positivo si dice "o si vince o si impara". Quella della Juventus al momento sembra una terza via. Quale sia questa terza via, sta a loro scoprirlo.

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