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Sinner non era pronto per questo fantasmagorico Alcaraz
19 mag 2025
Nella finale di Roma lo spagnolo si è confermato il più forte sul rosso.
(articolo)
9 min
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Nella scena iniziale di Match Point una pallina balla sul nastro: «Per un attimo può andare oltre, o tornare indietro. Con un po’ di fortuna va oltre, e allora si vince, oppure no. E allora si perde». È una metafora che vuole raccontare il peso del caso nell’esistenza umana, e una partita di tennis su questo tema offre spesso spunti di riflessione continui per artisti del cinema e della letteratura. Restando però allo sport, può una sola pallina, deviata dal nastro, fare la differenza tra la vittoria e la sconfitta? Può farlo in uno sport ad alto punteggio come il tennis in cui si giocano centinaia di punti in una partita?

È un modo di raccontare il match tra Sinner e Alcaraz. La finale del torneo di Roma, vinta nettamente dallo spagnolo, ma che per un momento - forse, FORSE - sarebbe potuta andare diversamente. Sul 4-3 del tiebreak del primo set siamo in una situazione di assoluta parità. Sinner ha appena recuperato un mini-break dell’avversario e serve quindi per il 4-4. Sembra in controllo, quando un rovescio tirato da Alcaraz coglie il nastro e invece di cadere nel proprio campo cade in quello altrui, e si trasforma in un 5-3 che si rivelerà irrecuperabile.

È solo un modo, un angolo, per raccontare la partita. Un trucco narrativo di chi sta scrivendo.

C'è però un altro modo per raccontare questa partita. Nell’ultima finale che Sinner e Alcaraz avevano giocato contro, a Pechino, un tiebreak era risultato decisivo. Un tiebreak in cui Sinner non aveva potuto rimproverarsi niente, mentre guardava il suo avversario entrare in God Mode. Uno di quei momenti in cui Alcaraz vede la pallina più grande e colpisce più forte e più preciso di chiunque altro; più forte e più preciso di quanto i limiti umani dovrebbero permettere. 3-1 e servizio Sinner, il punto era praticamente perso, poi Alcaraz aveva giocato una serie di colpi surreali recuperando il mini-break. Non era però solo una questione di punteggio: la scintilla si era accesa, e a quel punto Sinner si era stato ridotto a dover il suo avversario mentre giocava sei o sette minuti di tennis senza senso.

Al Foro non è andata esattamente allo stesso modo, ma di certo Alcaraz ha giocato un tiebreak del primo set praticamente perfetto. I suoi primi 4 punti sono tre prime vincenti e un nastro vincente. Una volta avanti, è stato poi inattaccabile. Il set point è forse il suo punto più bello. Sinner riesce restare aggrappato al tiebreak e si costruisce uno scambio promettente. Riesce a giocare un dritto pesante che manda Alcaraz fuori dal campo. Lo spagnolo, però, impercettibilmente, rosicchia spazio in avanti dopo ogni colpo e all’improvviso attacca in controtempo. È una mossa da pazzo, forse sbagliata, a dirla tutta. Sembra anche calcolare male l’approccio a rete e avere la palla troppo addosso, ma se la cava con una magia. Una stop volley di rovescio a togliersi la pallina dal corpo che nessuno, assolutamente nessuno nel circuito, sarebbe in grado di fare. Alcaraz a volte sembra complicarsi la vita solo per dare fondo al proprio talento e dimostrarci che è diverso dagli altri.

Anche questo, però, è solo un modo per raccontare la finale di Roma.

C’è ancora un altro modo per raccontare quel primo set, e quindi la partita. E cioè parlare di quelle due palle set che Sinner ha avuto sul 6-5 e servizio Alcaraz. La prima l’ha sciupata con una risposta di dritto a rete su una prima dello spagnolo. Una prima molto sostanziosa ma non impossibile. La seconda è quella da rivestire di rimpianti. Sinner è entrato nello scambio ed era in una buona posizione. Poi, però, si è stranamente scomposto su un rovescio, tirandolo nel pieno corridoio. Non è la prima volta che Sinner manca un bivio decisivo delle partite contro Alcaraz. Anzi: ormai fatti simili si sono ripetuti così tante volte che non possono essere un caso e rivelano un pattern. Il numero uno del mondo, gelido nella gestione dei momenti contro chiunque, si rivela fragile contro il suo rivale più forte. Oppure quell’altro, semplicemente, riesce a scalare una marcia inesistente proprio in quei momenti. Il confine fra colpe e meriti, come sempre nello sport, è sottilissimo. Ricorda una dinamica già vista in passato, quando Roger Federer era sempre perfetto nei punti importanti, tranne che contro Rafael Nadal. Era il giocatore con la mentalità agonistica migliore di tutti, tranne che di uno. Stiamo parlando soprattutto del periodo tra il 2005 e il 2006 - quando Federer perse da Nadal anche in finale a Roma.

Questi sono solo alcuni modi per raccontare come è andato il primo set, e ci siamo concentrati su quello non solo perché è stato l’unico in cui si è giocata una partita equilibrata, ma anche perché si sapeva che avrebbe avuto un’importanza maggiore per Sinner che per Alcaraz. A semplificare: se Sinner lo avesse vinto non è detto che avrebbe poi vinto la partita; se lo avesse vinto Alcaraz, invece, c’eranoo molte possibilità per lui di sollevare il trofeo. Quando le partite si allungano Alcaraz è sempre favorito, ha un’intensità speciale se i match si fanno molto tirati; dall’altra parte, invece, uno dei pochi modi per scalfire il muro di ritmo eretto da Sinner è trascinarlo sulla distanza, fargli appannare il suo tennis di ritmo e geometrie. Un tennis che ha bisogno di controllo. Questo è vero sempre, ma era vero soprattutto ieri, visto che Sinner non era al meglio della condizione fisica.

Prima del torneo ci si chiedeva quanto avrebbe pagato l’assenza di tre mesi dai campi. Sinner aveva detto di accontentarsi di giocare due o tre partite. È andata molto meglio del previsto, e ai quarti di finale ha raggiunto un picco di forma che non credevamo possibile a questo punto. Il 6-0, 6-1 a Ruud contiene una delle più spaventose performance di sempre dell'altoatesino. Già nel match successivo con Paul, però, non era più lo stesso: pesante, sempre in ritardo sulla palla, mentalmente fuori fuoco.

Questa condizione opaca si è palesata in tutto il match di ieri, ma se nel primo set è rimasta mascherata da una performance magistrale del servizio, nel secondo la percentuale di prime è crollata e Sinner si è ritrovato nudo nello scambio da fondo - dov'era in ritardo ovunque, ma soprattutto nei recuperi dal lato destro. Dall’altra parte della rete Alcaraz ha colto l’occasione con una furia insolita, non per l’energia quanto per il controllo. Ha spinto ogni colpo, preso tutte le righe possibili. Lo ha fatto con una continuità che di norma non gli appartiene. Il suo gioco in genere è un saliscendi, mentre ieri non ha avuto nessun momento di calo. Aver vinto il primo set in quel modo gli ha tolto tutte le pressioni, e quando Alcaraz può giocare sciolto e senza ansie è difficile da gestire. Ha retto bene sulla diagonale di rovescio, e quando riusciva a girarsi sul dritto è stato sempre concreto e letale.

Non ha giocato un torneo incredibile, Carlos Alcaraz, esclusa questa finale. Si è detta la stessa cosa della sua performance a Montacarlo e a Barcellona. Eppure esce da questi tre tornei con due coppe e una finale. Siamo sempre in mezzo agli equivoci quando parliamo di lui. Talvolta pare farsi trascinare dal livello dell’avversario. Se quello sbaglia tanto, per lui è difficile trovare il ritmo. Lo abbiamo visto in semifinale contro Lorenzo Musetti. È un problema relativo, visto che poi nei momenti chiave alza l’intensità ed è perfetto. In questo torneo però è stato più concreto del solito, più lucido nella costruzione dei punti. Ha cucinato Draper nella sua ossessione di tirare solo di dritto; ha gestito il vento e le condizioni avverse come doveva contro Musetti; ha avuto pochi fronzoli contro Sinner. Solo nel secondo set, in condizioni ormai dilaganti, si è concesso qualche ricamino e colpo a effetto. Nel primo set si è concentrato a chiudere gli spazi a Sinner e a lavorarlo alle gambe da vero terraiolo. Il dato forse più interessante è lo spin dato alla palla col dritto. Un tennis meno flashy del solito, ma un tennis da terra battuta, che ha fatto perdere campo a Sinner e lo ha costretto a scambi faticosi.

Alcaraz insomma ha rinunciato a un po’ della sua brillantezza da highlights per far pesare a Sinner la fisicità del tennis su terra rossa. Lo spagnolo ora è 10-1 nelle grandi finali e a 22 anni su terra ha già vinto tutti i titoli importanti: Rio, Madrid e Barcellona due volte, Roland Garros, Roma e Montecarlo. Non sarà Nadal, come molti giustamente dicono, ma ha comunque già espresso un discreto dominio sul rosso. È una superficie che gli permette di nascondere i suoi difetti, di prendersi delle pause, e dove ha obiettivamente meno competizione. Il tennis di oggi è modellato attorno a giocatori che variano poco, cercano il vincente presto, vogliono un tennis rapido e violento. È ancora una stagione per specialisti, ma gli specialisti non ci sono praticamente più.

Dopo la semifinale Lorenzo Musetti è stato mangiato vivo per aver detto una verità anche piuttosto banale: il miglior Carlos su terra rossa parte favorito con tutti. È scontato pensare una cosa simile di uno col curriculum che abbiamo appena citato. E infatti lo ha sottolineato anche Sinner durante la premiazione: «Alcaraz è il miglior giocatore su terra oggi».

Sinner non era pronto a questo livello competitivo. Affrontare questa versione lussuosa di Alcaraz, in finale, su terra, in un pomeriggio soleggiato di Roma, dopo altri 5 match giocati per la prima volta dopo tre mesi di inattività, era il peggior scenario possibile. Questo bisogna tenerlo presente per tracciare qualsiasi valutazione, e probabilmente lo terrà presente anche lui, che non si aspettava molto da sé stesso. Questa partita un peso però ce l’avrà. A inizio carriera Sinner aveva in questa rivalità un’isola felice. Faticava a ottenere risultati importanti, ma ogni tanto batteva Alcaraz, e quindi suggeriva un livello di gioco che in quel momento era più difficile riconoscergli. Ora la situazione si è ribaltata: Sinner è numero uno del mondo, ha vinto tre Slam e sta disintegrando un record dietro l’altro. Però perde contro Alcaraz, sempre. Dall’inizio del 2024 Sinner è 85 vittorie e 3 sconfitte contro tutti gli altri, ma è 0-4 sotto contro Alcaraz. Un dato che suona appunto familiare.

Dei quattro confronti tre sono stati su superfici molto favorevoli allo spagnolo: due volte sulla terra e una a Indian Wells, che col suo cemento lento e dal rimbalzo molto alto è il torneo preferito di Carlitos. Anche il cemento di Pechino è uno dei più lenti del circuito, e la partita si è decisa per microscopici dettagli. Insomma, se guardiamo più a fondo il 4-0 racconta una verità parziale, ma di certo ora ad Alcaraz piace giocare contro Sinner. Dopo la partita ha detto che affrontare Jannik dà delle sensazioni diverse: «Dall'altra parte della rete sprigiona una specie di aura». Siccome è un grande agonista, però, questo carisma invece di spaventarlo lo esalta. Le grandi rivalità del tennis vivono di fasi e possono cambiare da un momento all'altro. Sinner ora deve capire come risolvere l'enigma Alcaraz, e cambiare l’inerzia di un dualismo che già oggi rende il tennis contemporaneo all'altezza del suo passato.

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