
Intorno alle 17, nel complesso del Foro Italico, si incrociano i flussi. Mentre si giocano gli Internazionali d’Italia, sta per iniziare allo Stadio Olimpico la partita di Serie A fra Lazio e Juventus. I tifosi del calcio passano a pochi metri dai campi da tennis, dove un paio d’ore dopo Jannik Sinner avrebbe giocato contro Mariano Navone. Il suo ritorno in campo dopo i tre mesi di squalifica. Prima di entrare allo stadio, accanto a quei campi, i tifosi del calcio alzano un coro: «Olè olè olè olè Sinner Sinner».
È un coro familiare per chi segue Sinner, che abbiamo sentito scandito al PalaAlpitour di Torino durante le ATP Finals, per esempio, o nei palazzetti in cui l’Italia ha giocato la Coppa Davis. Cantato da tifosi di Lazio e Juventus, mentre vanno a vedere una partita di calcio, però, ha un altro senso. Racconta bene quanto la venerazione per Sinner sia penetrata nel ventre più profondo di questo Paese, raggiungendo un sostrato in cui è diventato quasi indifferente che giochi a tennis per lavoro. Un’icona talmente grande da aver raggiunto una specie di rarefazione.
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