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Sinner e l'uccisione del padre
07 giu 2025
In semifinale al Roland Garros Djokovic ha lottato, ma ha dovuto soccombere.
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10 min
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IMAGO / PsnewZ
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Nel tennis non si può giocare sempre bene. Persino il numero uno del mondo può svegliarsi col piede sbagliato, andare ad allenarsi e non sentire il suo tennis. Percepire un disordine, o comunque un’incongruenza, fra se e il micro-mondo che si crea su un campo da tennis. Arrivare in anticipo o in ritardo sulla palla, mancare di riflessi o di decisione. Le folate di vento spostano all’ultimo l’impatto ottimale. L’argilla rossa può diventare porosa, sfaldarsi sotto alle scarpe, non offrire nessun appoggio, e ci si ritrova a muoversi con l’instabilità surreale dei pinguini. E quando i piedi non sono ben piantati a terra tirare dritti e rovesci non è semplice.

Spesso lo senti dalla mattina, che la macchina ad alta efficienza che è il tuo tennis funziona a giri ridotti, e se il pomeriggio hai una partita la cosa ti può preoccupare. Pensa se quella partita è la semifinale del Roland Garros, e dall’altra parte c’è Novak Djokovic, ovvero il giocatore più vincente della storia del tennis.

Sinner era in una di quelle giornate: ha giocato male, ma ha vinto. Ha battuto Novak Djokovic per la prima volta su terra rossa, la sua superficie meno preferita, al Roland Garros - dove Nole non perdeva di fatto una partita dal 2022. L’ultimo a batterlo sul campo, a Parigi, era stato Rafael Nadal

Come ci è riuscito non è semplice da dire, ma racconta la grandezza ormai consolidata di Jannik Sinner.

Nel tennis ci sono giornate in cui puoi limitarti a colpire e brillare, e altre in cui il tennis invece significa più che altro risolvere problemi. Giornate in cui il tuo avversario non riesce a chiudere nemmeno un game, in cui il tuo punteggio è dilagante, e altre che ti richiedono la massima concentrazione possibile su punti che proprio non puoi permetterti di perdere.

Il punteggio finale di 3 set a 0 mente più del cronometro, che invece segna tre ore e un quarto, che hanno contenuto tre set pesanti, farciti di gravità emotiva. Sinner ha dovuto vincere con quello che aveva, che ieri non era il massimo, ma è pur sempre il numero uno al mondo.

Non era semplice capire cosa aspettarsi. Tutto lasciava immaginare una vittoria facile di Sinner. I numeri con cui arrivava al match erano ridicoli. Dal rientro a Roma ha giocato 32 set e 9 di questi sono finiti 6-0 (5 volte) o 6-1 (4 volte). 19 vittorie consecutive negli Slam, 14 anni di differenza tra i due. Nel 2005 Djokovic ha partecipato per la prima volta al Roland Garros, mentre Sinner ancora andava all’asilo. Eppure nessuno riusciva, concretamente, a figurarsi l’immagine: Djokovic spazzato via sul Philippe Chatrier, dove meno di un anno fa ha vinto l’oro olimpico battendo Carlos Alcaraz. Nessuno si immaginava un Djokovic docile e disarmato, vecchio. Già ci eravamo passati, per partite che immaginavamo di pensionamento e che sono invece diventate Rocky III, IV e V. Ricordate anche solo gli Australian Open di quest’anno, la vittoria contro Alcaraz? Però come avrebbe fatto, che armi poteva avere, contro una versione di sé stesso più giovane di 14 anni?

Nessuno vede le strade per vincere meglio di Djokovic. La strada che vedeva davanti a sé, ieri, però era davvero stretta e dipendeva da tante variabili, e su alcune delle quali non poteva avere controllo. Se Sinner avesse giocato al meglio, comunque, non avrebbe avuto possibilità. In ogni caso, la strada era difficile ma non impossibile: giocare scambi brevi, variare il più possibile altezze e velocità, trasformare il campo nel pantano di tattica, vento e palle corte che a Sinner - col suo tennis giocato con perfezione artificiale - non piace.

A volte, però, le cose possono non andare secondo i piani neanche per Djokovic. All’inizio vuole muovere Sinner in lunghezza, perché pensa che a scambiare da fondo sia spacciato. Solo che dalle prime 9 palle corte giocate ricava la miseria di 2 punti. Sinner non è Zverev: gioca con i piedi in campo, legge prima, corre veloce, ha una buona mano. Così, senza palle corte, Djokovic ha dovuto rimboccarsi le maniche e accettare la partita che non avrebbe voluto, una di ritmo da fondo campo. Ha provato a farla a modo suo: cercando di muovere lui il gioco il più possibile. Se fai colpire Sinner con i piedi fermi sei finito. Bisogna guardare una cosa: dove colpisce Djokovic? In quale zona del campo, quanto è fermo sui piedi? Con Zverev è riuscito a comandare la partita dal centro, ma con Sinner è più difficile perché oggi è il migliore interprete di un’arte che Djokovic ha prima inventato e poi perfezionato, quella dell’assorbimento.

Se Sinner non è al comando, comunque pensa di tornarci il prima possibile. Per farlo riassorbe i colpi offensivi dei suoi avversari arrivandoci velocemente, e poi restituendo palle tese, veloci, profonde e centrali. È l’equivalente di quelle tecniche di lotta con cui si cerca di sottrarsi dall’avversario che ci impone il suo peso, ci si sfila e si ribalta l’inerzia attraverso la forza e la tecnica. Guardate questo punto: Djokovic è subito aggressivo sulla risposta, ma Sinner si muove troppo bene. Arriva bene sulla palla e tira un rovescio molto forte, molto profondo, quasi centrale, che costringe Djokovic a rimettersi in difesa. Poi c’è subito un’altra accelerazione incrociata.

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Sinner è un fenomeno dei colpi vincenti, certo, ma la sua vera specialità sono i colpi di mezzo, quelli che modificano sottilmente l’inerzia degli scambi e delle partite. Quelli che costruiscono, un po’ alla volta, la “pressione”. Guardate quest’altro scambio contro Rublev. Il colpo a cui dovete fare attenzione non è il vincente ma il dritto precedente, che respinge il russo come un gatto a cui si fa la voce grossa all’improvviso.

Quest’arte, che è un'arte del contrattacco, è quella con cui Djokovic ha allenato per anni i suoi avversari, e Sinner ne è il discepolo. Djokovic per anni è stato soprannominato “muro di gomma”, per questa impressione di enigmatica invulnerabilità che offriva nello scambio da fondo. Ora toccava a lui rompere un muro di gomma, che in più gioca con un’aggressività e un’urgenza che lui non aveva.

Però Djokovic è un campione e dopo un primo set mediocre comincia a giocare un tennis d’attacco da fondo favoloso - che non credevamo ancora nelle sue corde. La prima di servizio è devastante e crea la cornice, dove poi col dritto inizia a comandare, a tirare file di vincenti, a prendere Sinner sempre in controtempo. E forse Jannik inizia a dubitare, a sentire il peso della leggenda di Nole, che dall’altra parte della rete sembra avere più trucchi del diavolo per venire a capo di una partita. Dopo aver annullato una palla break all’inizio del secondo set si accende. Ha sempre bisogno di queste piccole scintille.

C’è una crepa - sottilissima, quasi invisibile - nel gioco da fondo di Sinner: il lato destro quando è in corsa e fuori equilibrio. Almeno in questa stagione su terra, sembra l’unica zona in cui provare a spingere per ricavare qualcosa. Djokovic prova a picconare questa piccola crepa fino a farsi un’apertura. Non ci riesce del tutto, ma Sinner va in difficoltà. Non si sente bene, non è la sua giornata, è falloso, spesso in ritardo. Scivola sempre. Tra un colpo e l’altro scivola, come se fosse la prima partita su terra della sua vita.

La prima di servizio, poi, non entra mai. Nel primo set il 48%, nel secondo il 49%. Con meno di una prima su due, contro Novak Djokovic a Parigi, come si può pensare di vincere?

C’è una cosa che ha detto Simone Vagnozzi che racconta i miglioramenti di Sinner. E cioè che prima, se alla mattina non si sentiva bene in allenamento, le cattive sensazioni se le portava in partita. Ora invece ha imparato a gestire meglio queste percezioni. Così accetta i momenti di difficoltà, accetta il talento avversario, accetta pure che non sia il suo giorno, ma si rimette al lavoro. Del resto il suo livello di gioco oggi è così alto, così più alto di quello di tutti quanti (quasi) che il suo standard medio-alto diventa irraggiungibile per tutti. Pur non nella migliore giornata, nei momenti in cui Sinner riesce a spingere, Djokovic sembra quasi venire fisicamente investito dalla potenza del suo avversario - perde equilibrio, sbaglia di metri, è così a corto di fiato che deve inventarsi dei siparietti col pubblico per guadagnare secondi.

Sul 5-4 nel secondo serve per il set, si fa strappare il servizio, ma nel game dopo alza il volume e fa di nuovo il break decisivo.

È stata una versione non eccezionale di Sinner, che però è diventata eccezionale nei finali di set, quando i punti decidono vittoria e sconfitta. Sul 6-5, quando serve per il secondo set, Djokovic lo trascina sul 40-40, la prima non entra mai, nel game ha già commesso qualche errore e la tensione sale. A quel punto tira fuori dal cilindro un ace di seconda che non si sa da dove arrivi. Un servizio esterno, solido, che cade all’incrocio e che lascia Djokovic - forse il migliore in risposta nella storia del tennis - fermo. Nel set successivo annulla tre set point con uno scambio di grande qualità, un servizio solido e un errore di Nole. Al tiebreak gioca i migliori punti della sua partita. La pressione, fisica e mentale, su Djokovic è tale che quello commette pure due errori molto pesanti, fra cui uno smash tirato tristemente a rete che chiude la sua partita. Un errore significativo, visto che lo smash è lo storico tallone d’Achille di Djokovic - il giocatore più forte ha il suo punto debole nel colpo più semplice, strano no?

Ne avevamo scritto in passato ed è successo di nuovo: Sinner ha fatto a Djokovic il “trattamento Djokovic”. Ha vinto la partita sembrando in difficoltà, giocando un tennis depotenziato, ma vincendo tutti i punti importanti, scalando le marce, facendo pesare la propria superiorità mentale e fisica. Quello che Djokovic faceva agli altri ora lo subisce dagli altri. Nel 2019 il serbo si era trovato nella posizione di togliere la soddisfazione a un uomo di 38 anni di vincere ancora uno Slam. Ci era riuscito nel modo che conosciamo e che non dimenticheremo mai. Il tempo è un concetto relativo, ma lo sport ci aiuta a scandirlo mentre guardiamo i nostri preferiti logorarsi negli anni ed essere battuti da nuovi campioni che scrivono nuove storie. Come recita la massima dell’ordine dei Cappuccini: «Quello che voi siete noi eravamo; quello che noi siamo voi sarete».

La prestazione di Djokovic a 38 anni, però, non va sottovalutata, ed è una prova che esiste qualcosa in una zona profonda di questi campioni che il tempo non può toccare. La precisione tecnica di certi colpi di Djokovic ieri sera era commovente. Certi ralenti d’arte plastica, in cui il corpo di Nole si sollevava da terra per tirare un dritto: la racchetta che rotea, il busto che rimane perfettamente fermo e in posizione.

Il suo 2025 era stato ambiguo. Da una parte era riuscito a battere Alcaraz agli Australian Open - prima di ritirarsi per l’infortunio alla gamba - ma dall’altra aveva infilato una serie di sconfitte malinconiche: Van de Zandschulp, Arnaldi, Mensik, Tabilo sono i giocatori che lo hanno sconfitto in queste settimane, facendolo apparire decrepito. La sua versione Slam, lo sappiamo, è diversa, ma Djokovic non vince un grande torneo dal 2023. Negli ultimi sei Slam ha perso quattro volte da Sinner e Alcaraz e a Wimbledon proverà forse un’ultima grande magia. È uscito dallo Chatrier tra gli applausi di uno stadio che non gli era mai stato troppo amico ma che non può più non riconoscere la sua grandezza. «Se è stata la mia ultima partita al Roland Garros, è stato meraviglioso aver salutato così».

Forse Sinner è un figlio non del tutto voluto, a giudicare da dichiarazioni sempre freddine che Nole gli riserva. Djokovic ha detto di vedersi allo specchio nel gioco di Rune, e persino di Mensik, e non di quello che davvero gli somiglia, forse perché gli mette troppo crudelmente davanti la sua fine. «Queste partite sono quelle per cui gioco ancora a tennis» aveva detto Djokovic dopo la vittoria con Zverev, non solo per l'adrenalina che possono trasmettergli, ma anche per la forza che possono fargli percepire. Secondo Freud nella dimensione famigliare preistorica il padre detiene la forza, e per questo il figlio deve canonizzarlo come nemico e prendergli il potere, occupare il suo posto.

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