
Quando ad andar via fu Antonio Conte si diceva che l’obiettivo della società - ancora di proprietà della famiglia Zhang, che aveva appena ricevuto un prestito di 275 milioni da Oaktree - fosse quello di "mettere in sicurezza l’Inter, con o senza uno dei migliori tecnici al mondo: il percorso delle ambizioni più sfrenate potrà essere ripreso forse più avanti, quando sarà ritrovato un equilibrio di bilancio". Era la fine di maggio del 2021. C’era molto buonsenso e infinite giustificazioni per gli uni e per l’altro.
Da una parte, per via della "crisi economica acuita dalla pandemia", era necessario un ridimensionamento con cessioni importanti (Hakimi, Lukaku, ma si parlava anche di Lautaro e Bastoni, e si citava il taglio di Kolarov, rimpiazzato da Dimarco, come segno oggettivo del peggioramento della rosa); dall’altra era considerata legittima la delusione di Conte per quel cambio di programma rispetto agli investimenti sul mercato della stagione precedente. Nessuno metteva in discussione il "grande lavoro fatto in profondità che avrebbe avuto bisogno ora solo di pochi mirati colpi per permettere all’Inter di giocarsela con i top club europei".
La società ha ringraziato Conte e gli ha versato circa la metà dello stipendio dell’anno di contratto che gli restava (7 milioni, compresi i premi che avrebbe avuto, in caso). Per sostituirlo si parlava idealmente di Massimiliano Allegri ma "non è scontato incassare il sì da un allenatore di alto profilo come Allegri che dovrebbe accettare il ridimensionamento. Nella peggiore delle ipotesi, l’Inter potrebbe essere costretta a virare su un tecnico di seconda fascia, più economico e meno affascinante". Si facevano i nomi di Sarri, Mihajlović e "infine, staccato, Simone Inzaghi".
Quindi Simone Inzaghi è arrivato in una società in crisi da cui Antonio Conte era scappato perché, evidentemente, non pensava ci fossero le condizioni per essere competitivi in Europa.
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