
Quando in estate Simone Fontecchio è passato da Detroit a Miami, si è iniziato a speculare sul suo futuro. Gli Heat lo avrebbero tagliato per liberare ulteriore spazio salariale? Ci sarebbe stato ancora spazio per lui in NBA, oppure sarebbe tornato in Europa, come lasciavano intendere diverse voci di mercato? Come avrebbe reagito lui alla deludente ultima stagione ai Pistons, a cui era seguito un Europeo con più bassi che alti?
Oggi quelle voci le ha portate via il vento. Le prime partite di Fontecchio con gli Heat sono state tra le migliori della sua carriera. Certo, siamo appena all’inizio e tutto può cambiare molto velocemente in NBA, ma la sicurezza con cui Fontecchio entra in campo e la fiducia con cui sta giocando sembrano presagire un ruolo non marginale in questa stagione e un futuro ancora lungo nella Lega.
La prima cosa da dire è che, tranne un piccolo passaggio a vuoto contro i Lakers (2 su 10 dal campo), Fontecchio sta segnando tutto quello che gli passa per le mani. I suoi numeri offensivi sono di una efficenza stupefacente: in 21 minuti Fontecchio segna 13 punti di media, tirando il 51.3% da tre punti e con una percentuale di EFG di oltre il 70%. Numeri probabilmente destinati a calare, ma che raccontano di un giocatore in fiducia, pronto a fare quello che gli viene chiesto, e cioè tirare bene.
A Miami, Fontecchio è arrivato per sostituire Duncan Robinson, uno dei migliori tiratori della NBA. Sulla carta è stato uno scambio fatto dagli Heat non tanto per questioni tattiche o per migliorare il roster, quanto per abbassare il salary cap in vista delle prossime stagioni.
Sembrava che l’italiano fosse arrivato in Florida quasi per caso, per via del suo contratto in scadenza e da soli 8 milioni di dollari, ma le recenti parole di Spoelstra hanno raccontato una storia diversa. Quando era nello staff di Team USA, l'allenatore di Miami si occupava dello scouting dell’Italia e guardando le partite si era invaghito dello stile di gioco di Fontecchio: «Ho guardato tutte le sue partite in Nazionale per due anni. Quando sei il go-to-guy di una squadra come l’Italia e riesci comunque a incidere contro difese preparate su di te, significa che hai qualcosa di speciale. È stato uno dei miei giocatori preferiti sia al Mondiale che ai Giochi [...] Quando si è presentata l’occasione di prenderlo, ho sentito di conoscerlo bene».
Spoelstra, quindi, ha voluto Fontecchio, convinto di poterne sfruttare le caratteristiche all’interno del suo sistema di gioco. E sta avendo ragione. L’allenatore di Miami sembra aver lavorato prima di tutto sulla fiducia dell’italiano. Per un giocatore come lui, a cui per ruolo e caratteristiche è chiesto di essere incisivo nei pochi minuti in campo, la fiducia nei propri mezzi è un elemento fondamentale.
In estate Spoelstra è andato a trovarlo a Roma, dove Fontecchio era in ritiro con la Nazionale, passando del tempo insieme a lui per tranquillizzarlo circa il suo posto nel roster e spiegargli cosa avrebbe voluto da lui («Ho sentito da subito la loro fiducia. La visita di coach Spoelstra è stata speciale, un gesto che ho apprezzato moltissimo», ha raccontato poi Fontecchio). In queste prime partite, poi, lo sta trattando come un giocatore importante in uscita dalla panchina. Dopo la vittoria contro New York, Spoelstra ha sottolineato davanti a tutti i compagni l’impatto di Fontecchio nel cambiare l’inerzia della gara, chiusa con 14 punti, tutti segnati tra secondo e terzo quarto. L’allenatore di Miami gli ha concesso di guidare l’urlo finale della squadra, un segnale dell’importanza che ricopre in squadra, oltre il minutaggio, che rimane comunque in linea con le sue ultime stagioni, anzi addirittura inferiore.
Non è una fiducia che arriva da Spoelstra solo a parole: fin dalla prima partita contro gli Orlando Magic si sono visti giochi disegnati per far tirare Fontecchio o farlo ricevere in movimento. Simone, quindi, non solo come tiratore coi piedi per terra in attesa di uno scarico nell’angolo, l'unico ruolo che sembrava poter coprire in NBA, ma proprio come elemento centrale dell’attacco di Miami, a volte anche con il pallone in mano. «È un’alternativa diversa per noi», ha detto Spoelstra di Fontecchio, «può tirare, ma non è solo quello. Può mettere palla a terra, passare sui blocchi, aprire il campo per i nostri giocatori principali. E soprattutto, compete. È uno tosto».
Spoelstra è uno dei migliori allenatori nella storia della NBA, e nella sua carriera ha spesso tirato fuori il massimo da esterni capaci di muoversi lontano dalla palla, giocatori magari senza grandissime qualità offensive, ma che sapevano leggere il gioco, tirare e tagliare con grande tempismo. Se sta puntando su Fontecchio in attacco, deve essere perché gli riconosce queste qualità, la possibilità di incidere anche in NBA. A oggi l'italiano è il quinto marcatore di Miami, giocando però in media una decina di minuti in meno a partita di chi lo precede.
Più in generale è l'attacco di Miami a essere cambiato molto in questa stagione. Con l’addio di Butler e l’infortunio di Herro, Spoelstra ha dovuto rivedere completamente il suo sistema offensivo, passando da essere una delle squadre più lente della NBA nell’attaccare a una delle più veloci, limitando molto i pick and roll per puntare più su penetrazioni, tagli senza palla e gioco in transizione.
Uno stile di gioco che sta funzionando soprattutto per la second unit di Miami, che finora è stata una delle migliori della NBA, anche grazie all’impatto offensivo di Fontecchio. L’italiano ha detto di ritrovarsi molto in questo gioco, e che Spoelstra gli chiede di «tirare ogni volta che tocco il pallone, ovviamente entro i limiti delle scelte giuste da prendere in attacco, provando a essere molto aggressivo e diventando una minaccia per le altre squadre dal punto di vista del tiro a tre punti. E io sto provando a fare proprio questo».
Per Miami Fontecchio non è però solo la possibilità di avere buona efficienza offensiva dalla panchina. Spoelstra ha detto che «sta lavorando molto sul lato difensivo del campo. La prima cosa che gli ho detto è che deve saper usare il suo fisico: lo ha già dimostrato in EuroBasket e in uno dei suoi anni a Utah, quando gli è stato chiesto di marcare i migliori esterni avversari. Ha dimostrato di poter essere fisico in difesa».
Fontecchio non è uno specialista difensivo, ma il suo atletismo e la capacità di difendere sugli esterni è sempre stato un po’ sottovalutata, soprattutto in NBA. La copertina da questo punto di vista è la stoppata al ferro su Miles Bridges, ma sono anche i numeri a confermarlo. Miami ha il terzo miglior defensive rating della NBA, 109.9, che cala di oltre 5 punti quando c'è Fontecchio in campo (non che sia merito solo suo: dalla panchina con lui spesso esce anche Dru Smith, che si sta dimostrando un grandissimo difensore).
L'eccellente avvio ha fatto diventare Fontecchio un piccolo eroe di culto per i tifosi di Miami, sorpresi dalle sue qualità. Fontecchio coll'esultanza italiana dopo il tiro da tre punti, con il telecronista che grida «bellissimo!» dopo ogni suo canestro, con l'eleganza e lo stile tipici dello italiano stereotipato negli Stati Uniti. Dietro c'è tanto lavoro e anche la naturalezza con cui il suo gioco si abbina con l'identità di Miami, quella Heat Culture spesso citata a sproposito, o almeno con eccessiva enfasi, che però in qualche modo descrive il lungo lavoro di Spoelstra e Pat Riley.
In questo contesto Fontecchio sta dimostrando di essere un giocatore NBA, cosa che era stata messa in dubbio dopo l'ultima stagione. È una buona notizia per lui, per i Miami Heat e anche per noi, come movimento e tifosi. Fontecchio è l'unico italiano nella Lega, il leader di una Nazionale attesa a un importante ricambio generazionale. Che sia in fiducia, che continui ad avere fiducia negli alti e bassi che indubbiamente avrà in stagione, è davvero una bella notizia.