Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
La lunga salita di Simon Yates
02 giu 2025
La vittoria del Giro d'Italia è arrivata alla fine di un percorso difficile.
(articolo)
10 min
(copertina)
IMAGO / SW Pix
(copertina) IMAGO / SW Pix
Dark mode
(ON)

«Quando il percorso del Giro è stato annunciato, ho avuto l’idea di tornare e chiudere quel capitolo. Magari non prendermi la corsa come ho fatto ora, ma almeno provare a me stesso di poterlo fare». Simon Yates parla senza riuscire a trattenere le lacrime in zona mista, appena dopo aver indossato la Maglia Rosa sul podio del Sestriere.

Disbelief, incredulità: è la prima parola che gli viene in mente per descrivere le sue emozioni subito dopo aver passato la linea del traguardo: «È qualcosa per cui ho lavorato tanti e tanti anni e che ho sempre fallito», dice singhiozzando «Ma oggi è il mio giorno».

Il rapporto tra Simon Yates e il Giro d’Italia non è stato dei più facili, a raccontarlo è lui stesso in conferenza stampa. «Ho investito tanto della mia carriera e della mia vita per questa corsa, e ci sono state tante battute di arresto: nel 2022 mi sono dovuto ritirare per un infortunio al ginocchio, il COVID [nel 2020 nda], malattie… è stata dura ed è per questo che non ci posso credere, perché finalmente sono riuscito a farcela».

Il flashback che viene in mente a tutti in questi giorni: il 25 maggio 2018 si corre la terzultima tappa del 101esimo Giro d’Italia. Simon Yates indossa la Maglia Rosa con 28” di vantaggio su Tom Dumoulin, 2’35” su Domenico Pozzovivo e più di 3’ di vantaggio su Chris Froome.

Dalle prime rampe del Colle delle Finestre si vede l’inglese arrancare. Si inizia a intuire che non sarà la sua giornata, ma lui prova a difendersi in maniera disperata. Quando mancano circa 5 chilometri alla cima del Colle delle Finestre e poco più di 80 alla fine della tappa, Simon Yates accusa un ritardo di circa 2’30”. È il momento Chris Froome lascia finire le ultime energie del suo gregario, Kenny Elissonde, prima di lanciare l’attacco che oggi ricordiamo come il più bello della sua carriera. Gli oltre 40’ di ritardo con i quali Simon Yates arriverà al traguardo posto in cima alla salita dello Jafferau, poco sopra Bardonecchia, raccontano il peso del suo calvario, uguale e contrario a quello che ha sentito sullo stomaco e nella mente lo scorso sabato, alla partenza da Verrès, prima della penultima tappa del Giro d’Italia che arriverà al Sestriere, dopo aver affrontato il Colle delle Finestre.

Nelle interviste pre tappa Simon Yates sembrava non volerlo dare a vedere. Si era limitato a dire che sperava sarebbe andata meglio dell’ultima volta ma che comunque era successo tanto tempo fa. Una storia apparentemente chiusa. Dopo la tappa è stato il suo stesso direttore sportivo, Marc Reef, a spiegare che erano parole di circostanza. «La prima chiacchierata che abbiamo avuto al ritiro invernale è stata riguardo quella tappa e quanto volesse fare bene oggi. Non potrà mai dimenticarla. Ora sul Finestre ha ribaltato il Giro».

Anche il suo allenatore, Jesper Morkov, ha rivelato alla rivista inglese Rouleur che: «Simon non ha parlato di redenzione ma è sul Finestre che ha perso tutto e sul Finestre ha vinto tutto indietro. È stato speciale per lui». Di redenzione si sta parlando tanto, lo ha fatto anche il periodico britannico The Observer, ma siamo davvero sicuri che sia la parola corretta?

Yates non ha mai avuto colpe da cui affrancarsi e non c’è nessuna forza maggiore, nessuna divinità intervenuta in suo nome per riscattarlo. La sua vittoria, in realtà, nasce da una volontà umana, molto umana, di non lasciare andare le cose, di continuare a migliorarsi costantemente. O perlomeno provarci.

La cronometro di Pisa alla tappa 10, per esempio, nasce da questa volontà. Alcune complicazioni atmosferiche hanno aiutato questo risultato, è vero, ma è comunque incredibile che in quell'occasione solamente Gee, Roglič e Ayuso tra gli uomini di classifica siano stati capaci di arrivargli davanti. Un caso? In realtà quella tappa arriva alla fine di un lavoro iniziato anni addietro e culminato con la vittoria nella cronometro alla seconda tappa del Giro 2022 a Budapest.

In quella occasione il suo tecnico, Marco Pinotti, a Bici.pro aveva spiegato i cambiamenti a cui Yates era dovuto andare incontro per raggiungere quel risultato. «Non sapete quante notti senza dormire ho passato pensando a cosa non andasse. Poi abbiamo cambiato bici e abbiamo tirato una riga. Siamo andati con lui e con Sobrero in galleria del vento. Siamo partiti dalla biomeccanica più che dall’aerodinamica e abbiamo messo le basi per ripartire bene. Simon ha ricevuto il manubrio custom prima della Parigi-Nizza e si è trovato subito bene, soprattutto con la convinzione di aver trovato la giusta posizione». Sono piccoli dettagli, accumulati nel tempo, che alla fine fanno la differenza.

Nel 2022 però non è ancora il momento di Simon Yates. Quel Giro d’Italia si complicherà con una caduta all’arrivo sull’Etna, nella tappa 4. Quella caduta gli costerà subito un pesante ritardo di 11’ nella tappa con l’arrivo sul Blockhaus, e poi dolori al ginocchio che, nonostante il riscatto momentaneo con la vittoria nella movimentata tappa di Torino, porteranno al ritiro alla diciassettesima tappa. Matteo Beltemacchi, all’epoca medico della squadra, aveva rivelato che Yates ci aveva provato in tutti i modi, ma che alla fine il dolore causato dall’edema osseo al ginocchio non poteva più essere tollerato. Allora c'era chi gli suggeriva di abbandonare la corsa dopo la tappa del Blockhaus, ma lui aveva provato a tenere duro. Lui, aveva detto, era venuto al Giro per vincerlo.

Sono capitoli estemporanei di una carriera che, dopo il Colle delle Finestre 2018, sembrava non potesse avere un racconto univoco. Un lungo susseguirsi di alti e bassi. Il riscatto a La Vuelta l’estate successiva alla debacle del Giro sembrava aver restituito un corridore solido che poteva giocarsi le sue chance nelle corse di tre settimane. Invece nel Giro 2019 è un altro colle piemontese della provincia di Torino a togliergli il sonno. Nella tappa verso il Lago Serrù sotto il Colle del Nivolet, Yates accumula un ritardo di 5' dai migliori in classifica - una distanza che sembra un giudizio, una brutta botta per un ciclista che si era presentato con dichiarazioni di questo tipo: «Sono io il favorito numero 1. Se fossi nei miei rivali, avrei paura di me, me la farei addosso».

Gli alti sono profondi tanto quanto i bassi. Il Tour de France che segue, corso senza l’ambizione e senza il peso della classifica generale, restituiscono un corridore splendido. Mentre la Francia si innamora di Alaphilippe in Maglia Gialla e si illude sulle speranze di vittoria finale di Thibaut Pinot, Simon Yates si prende due vittorie di prestigio sui Pirenei.

Per il 2020 l’obiettivo è nuovamente il Giro per puntare anche alle Olimpiadi di Tokyo. Sembra l'anno buono ma la pandemia ferma tutto. Simon Yates si presenta al Giro di ottobre in forma vincendo la Tirreno Adriatico, pochi giorni prima di iniziare, ma è costretto all’abbandono dopo essere risultato positivo al tampone del coronavirus alla fine della settima tappa.

Nel 2021 arriva al Giro con i favori del pronostico dopo un inizio di stagione buono e un Tour of the Alps esaltante dove si prende una tappa e la classifica generale. Questa volta corre bene, coperto, senza spacconerie, ma non trova il colpo di pedale giusto nella tappa decisiva (una tappa che tra l'altro per via del meteo non abbiamo nemmeno potuto vedere). Egan Bernal gli è superiore e si deve accontentare del podio. Il Tour de France che segue non verrà di certo ricordato per il suo ritiro dopo una caduta alla tredicesima tappa. 

Nel 2022 Simon Yates si ritira di nuovo e davanti ai microfoni è sfibrato, dice che sta pensando di dire basta al Giro. La Vuelta 2022 segue più o meno la stessa dinamica, con un ritiro a metà del percorso per aver contratto il Covid. In quel momento risuonano le sue parole a inizio stagione, alla conferenza stampa di presentazione con la sua nuova squadra (la Visma-Lease a Bike). «Ogni volta che iniziavo a prendere il ritmo mi ammalavo e crollavo, e quindi ho sentito di aver bisogno di un cambiamento. Facevo sempre le stesse cose, anno dopo anno e poi arrivavano le battute di arresto, spesso molto simili. È arrivato un momento dove mi sono chiesto: posso continuare a farlo altri tre o quattro anni o è ora il tempo di cambiare, mentre sono ancora abbastanza giovane da poter vincere le corse migliori?».

Dopo l’arrivo del Sestriere, pochi giorni fa, in molti hanno chiesto a Yates se la squadra avesse giocato un ruolo determinante. Sembra una domanda come tante altre ma per Yates non lo è. Il ciclista inglese ha infatti passato gran parte della sua carriera alla Jayco, che gli lasciava grande libertà ma che forse, proprio per questo, non lo aiutava abbastanza per portarlo al livello necessario per vincere il Giro. È un tema spinoso su cui nemmeno gli atleti d'élite possono dire di avere delle certezze, è un equilibrio che rimane personale. Non è un caso che Yates di fronte a questa domanda, forse anche per non voler essere irrispettoso nei confronti di una squadra per cui ha lavorato per un decennio, abbia preferito glissare dicendo che non era il momento di parlarne.

«La differenza più grande è l’attenzione ai dettagli», aveva detto a inizio anno «Non prendetela male, ho avuto un periodo fantastico con la squadra precedente, non ho rimpianti. C’era molta libertà, ma anche molte responsabilità ricadevano sui corridori. Mi organizzavo i ritiri in altura e i piani di allenamento ma la responsabilità era su di me. Qualche volta avevamo mancanze sui dettagli minori su quando, ad esempio, avere blocchi di allenamento, quando fosse meglio implementare una certa strategia nutrizionale. Piccoli dettagli che alla fine possono fare una grande differenza».

Quella di cedere una parte della propria libertà per raggiungere un grande obiettivo non è però una scelta semplice, e per Yates c'è voluto del tempo. È stato un processo che si è sviluppato anno dopo anno. Perché il Simon Yates del 2024, dopo la vittoria di inizio stagione al Tour of AlUla, che oggi possiamo dire essere il suo unico successo stagionale, riguardo alla possibilità di andare in una delle super squadre che dominano il ciclismo attuale dichiarava che: «Non direi mai di no, ma sono anche molto felice dove sono. Ho molta libertà per organizzare la mia vita, gli allenamenti, eccetera. Organizzandomi da solo posso andare via con la famiglia e portare il mio cane e vivere una vita relativamente normale. E quando lo faccio sono molto professionale, non sono mai tornato poco allenato. Mi piace farlo e perché dovrei cambiare queste libertà?».

Forse il più grande punto di svolta di questa storia è aver dato una nuova risposta a questa domanda. Mettere sulla bilancia la sua libertà personale e la sua responsabilità professionale, accettare di avere una squadra a prendersi cura di lui e delle sue ambizioni dovendo però rinunciare a qualche libertà.

Il Tour de France del 2023 e le prestazioni del suo gemello Adam forse sono i tasselli mancanti di questo puzzle. Simon e Adam Yates corrono insieme fino al 2020, quando le loro strade si dividono. Adam va due anni in Ineos; poi, quando nel 2023 passa alla UAE, arriva il suo miglior risultato di sempre al Tour de France. Simon, che gli arriva subito dietro, forse capisce che con quel cambiamento gli si era aperto del nuovo spazio per migliorare.

Tutto questo dentro le lacrime di pochi giorni fa al Sestriere - una piccola cittadina ai piedi delle montagne, alla fine di questo lungo viaggio verso il riscatto. A caldo, Simon Yates ha dichiarato che a fare la differenza è stata la fiducia che gli altri hanno riposto in lui - fiducia confermata dai calorosi abbracci arrivati dopo la vittoria, sia dei suoi attuali compagni di squadra che dei precedenti. «Questa mattina avevo ancora dei dubbi, perché i due ragazzi davanti a me sono stati più forti lungo tutto il Giro», ha dichiarato «La squadra però ha creduto in me fin dall’inizio». Il suo direttore sportivo, Marc Reef, ha aggiunto che non volevano dirlo ma si aspettavano questo scenario, anche se non con uno sviluppo così perfetto.

«Penso che sia il picco della mia carriera, non penso che niente possa superarlo», ha detto Simon Yates subito dopo aver raggiunto la cima, alla fine della sua lunga salita.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura