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11 ago 2016
11 ago 2016
Cosa aspettarsi dalla squadra di atletica italiana.
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Hanno in media trent’anni, dai venti ancora da compiere di Ayomide Folorunso ai 44 già festeggiati di Catherine Bertone. Sono in 38 e saranno la faccia dell’Italia in quella che, una volta ogni quattro anni, ricorda ancora di essere la regina degli sport, per quanto travolta dagli scandali e orfana dell’intera squadra russa.

I volti annunciati della Nazionale saranno entrambi assenti. Non ci sarà Alex Schwazer, per la sua recente (e controversa) positività agli anabolizzanti di cui si è ampiamente parlato anche su questo sito. Ieri il Tas ha rigettato il suo ricorso e la sospensione di otto anni (automatica per i recidivi) mette la parola fine alla sua carriera. Con la Russia fuori dai Giochi aveva ottime possibilità di bissare l’oro olimpico di Pechino 2008. È andata diversamente: chi lo considera la vittima incastrata da un sistema mafioso (come teorizza, fra gli altri, il suo allenatore Sandro Donati, da trent’anni uno dei volti più noti della lotta al doping) grida al complotto, chi lo considera un imbroglione che ha provato a fare il furbo un’altra volta esulta.

L’altro grande assente è Gianmarco Tamberi, curiosamente l’atleta che più ha fatto rumore quando si è scagliato contro Schwazer e che ieri è tornato sull’argomento: «Se fosse stato un complotto, ed è difficile pensare che la Wada abbia architettato una cosa del genere, sarebbe una cosa talmente grande da mettere sottosopra lo sport mondiale», la sua opinione. Questo era il suo anno d’oro. A 24 anni era arrivato al livello dei migliori. L’aveva mostrato a marzo a Portland, vincendo i Mondiali indoor, seppure con una platea di avversari ridotta. Lo stava ribadendo nella stagione all’aperto, con l’oro europeo ad Amsterdam e una serie di gare sopra i 2,30 in giro per il mondo. L’ultima, il 15 luglio a Montecarlo, davanti a un pubblico che, presentandosi allo stadio con la barba tagliata a metà (è il suo marchio di fabbrica), aveva il diritto di vedere gratuitamente una delle tappe più importanti della Diamond League. In quell’occasione ha migliorato il record italiano: 2,39. Poi ha deciso di provare anche i 2,41. E dal secondo tentativo non si è più rialzato: lesione a un legamento della caviglia sinistra, stagione finita. Con lui sono sparite le speranze di oro. Per non farsi mancare niente pochi giorni dopo anche Marco Fassinotti ha dovuto dare l’addio a Rio. Si tratta del secondo forfait dopo quello del 2015 sulla pedana di Pechino, pochi minuti prima del via alle qualificazioni mondiali. Un altro addio significativo, visto che prima di infortunarsi, l’anno scorso, Fassinotti gareggiava alla pari con Tamberi. Probabilmente non ci sarà nemmeno Jamel Chatbi: si era qualificato per i 3.000 siepi e i 5.000, ma è stato sospeso per aver saltato tre controlli antidoping. Ha fatto ricorso, l’udienza del tribunale nazionale antidoping è fissata per il 12 agosto e le batterie dei 3.000 siepi sono il giorno di Ferragosto. Detto degli assenti, è il momento di concentrarsi su chi ci sarà.

Non è uno sport per giovani

Se l’età media è di trent’anni, 17 di loro superano quella soglia. Addirittura dieci, oltre il 25% del totale, hanno già i requisiti per partecipare alle gare master, cioè quelle dedicate alla terza età sportiva. Per quattro membri della spedizione, oltre il 10%, la categoria di riferimento sarebbe quella degli over 40. Forse è questo l’elemento più rilevante della spedizione, insieme alle scarse possibilità di podio. Insomma, ci sono tutti i classici ingredienti per la solita litania sull’Italia terra di vecchi, dove i giovani non hanno prospettive e si va avanti solo per debiti di riconoscenza e clientelismi.

Fortunatamente l’atletica leggera è uno degli sport più misurabili del mondo e questo riduce la possibilità di favoritismi sfacciati. In altre parole: chi è partito per Rio ha soddisfatto i requisiti previsti dalla Iaaf, quelli della Fidal e, soprattutto, non ha avuto abbastanza avversari più forti di lui in campo italiano. Se l’età media è così alta, e se una nutrita parte della spedizione ha dai 35 anni in su, è perché nei pochi sport in cui ancora vediamo da non troppo lontano l’élite mondiale spesso ci tengono a galla i veterani.

Sul perché i giovani non riescano a prendere il loro posto e sul perché, in generale, l’atletica italiana stia vivendo un declino che sembra interminabile (crisi di vocazioni? Federazione incapace di sostenere un ricambio efficace? Strutture non all’altezza? Tecnici non aggiornati? Persistenza dei gruppi militari?) ognuno ha la sua teoria e, in generale, l’argomento non può essere affrontato in poche righe. Quello che importa, alla vigilia dei Giochi, è guardare in faccia quello che c’è. A partire dall’unica medaglia di Londra 2012, il triplista Fabrizio Donato: quattro anni fa conquistò il bronzo dopo che la squalifica di Schwazer sembrava aver messo la parola fine alle speranze di podio. Donato festeggerà i quarant’anni il 14 agosto, 24 ore prima di scendere in pedana per le qualificazioni della sua quinta Olimpiade consecutiva. La situazione è quasi proibitiva: si è qualificato grazie a un salto a 16,91 ottenuto l’anno scorso, ma quest’anno è rimasto lontanissimo da quei livelli. Ha un personale indoor di 17,73 metri, ma risale a cinque anni fa. All’aperto, il suo miglior risultato sono i 17,60 metri ottenuti nel 2000. Lui continua a sporcarsi di sabbia, a rialzarsi, a guardare la fettuccina delle misure e a farsi due calcoli. Se trovasse la giornata perfetta e nessun altro facesse degli exploit, potrebbe aspirare a entrare in finale e giocarsi per l’ultima volta le sue cartucce.

Londra 2012, il salto di bronzo di Fabrizio Donato.

Quarant’anni li ha compiuti da pochi mesi Valeria Straneo: la maratoneta salvò i Mondiali di Mosca 2013 con una gara stupenda, tutta all’attacco. Il suo argento evitò lo zero nel medagliere. L’anno dopo si è ripetuta agli Europei di Zurigo, poi gli infortuni l’hanno tenuta lontana dai Mondiali di Pechino. A giugno di quest’anno ha vinto una gara minore, la maratona di Wurzburg, correndo con il freno a mano tirato e con l’unico obiettivo di ottenere il minimo imposto dalla Iaaf. Da due anni non corre una gara vera su questa distanza, la Fidal l’aveva selezionata prima ancora che ottenesse il minimo: il suo tempo di qualificazione è nettamente peggiore di quello di diverse sue connazionali, ma i criteri federali nella maratona e nella marcia sono molto discrezionali e per lei hanno pesato i due argenti conquistati tra Mondiali ed Europei. Quest’anno non è lei la più vecchia della spedizione: Catherine Bertone, 44 anni, è riuscita a strappare un pass per Rio grazie a una maratona da 2:30’19’’. Ha rischiato di non farcela, perché non è ritenuta in grado di lottare per le prime quindici posizioni come chiede la Fidal. È stata convocata a furor di popolo, dove il “popolo” è quello dei runner che in lei si immedesima: è una dilettante (fa il medico), si allena nei ritagli di tempo come centinaia di migliaia di appassionati in tutta Italia. Lotterà nel gruppo, senza ambizioni di podio.

È più o meno come se il vostro vicino di casa fissato con la corsa, passati gli “anta” da un pezzo, vincesse un viaggio premio dall’altra parte del mondo per prendere parte alle Olimpiadi. Un’impresa vera. Al fianco di Straneo e Bertone, con i suoi 36 anni, sembra quasi una bambina Anna Incerti. Invece è la veterana del terzetto, dato che quella di Rio sarà la sua terza Olimpiade. Sei anni fa, agli Europei di Barcellona, fu oro, mentre il suo miglior risultato a livello planetario è il quattordicesimo posto dei Giochi di Pechino.

Chi si gioca la medaglia

Detto delle assenze, delle stagioni che passano anche per un inossidabile come Donato e dell’enigma Straneo, per sperare di finire almeno su un podio l’atletica italiana si affida alla cabala: l’ultima volta che è stata assente dal medagliere risale alle Olimpiadi di Melbourne 1956. E se gli anni dei duecentisti Livio Berruti e di Pietro Mennea e dei maratoneti Gelindo Bordin e Stefano Baldini sono lontani, si cerca almeno di bissare il bottino di Londra. La gara più favorevole è la 20 km di marcia femminile.

Qui ci sono tre nomi che possono dire la loro. Il più importante è quello di Eleonora Giorgi: le previsioni del sito Track and Field News, datate 22 aprile, la accreditano di un secondo posto. Tra le atlete che hanno ottenuto i minimi di qualificazione ha il terzo tempo, dietro a due cinesi: la favorita Hong Liu, campionessa e primatista mondiale, reduce da una squalifica di un mese in cui è incorsa dopo i Campionati del mondo a squadre di Roma (gli stessi che avevano visto la resurrezione di Schwazer), e la vicempionessa mondiale Lu Xiuzhi. Giorgi però ha i numeri per provarci: quattordicesima a Londra quattro anni fa e decima ai Mondiali di Mosca nel 2013, sembrava in grado di arrivare a podio già a Pechino l’anno scorso, ma è stata squalificata per marcia irregolare nelle fasi finali della gara. La tecnica è sempre stata il suo tallone d’Achille, come dimostrato dall’altra squalifica ai Campionati del Mondo a squadre di Roma quest’anno, mentre era in lotta per l’argento.

Poi c’è Elisa Rigaudo, seconda freccia all’arco della spedizione azzurra. Podio alle Olimpiadi di Pechino nel 2008, sette anni dopo, su quello stesso tracciato, stava lottando tra le prime cinque. È stata squalificata poco prima di Giorgi, nonostante stesse marciando molto meglio e nonostante avesse rallentato proprio per non dover abbandonare la gara. Succede, in uno sport che lascia ai giudici la possibilità di valutazioni estremamente soggettive. È stata la sua prima squalifica in carriera: «È da più o meno vent’anni che marcio e non sono mai riuscita a cambiare la mia metodologia di marcia. Non credo di averla cambiata oggi dopo vent’anni – ha detto dopo la gara, piangendo -. Devo capire che cos’è successo. Devo andare a Rio con la consapevolezza che posso stare davanti, non posso avere paura dei giudici». Se trova la giornata giusta e riesce a evitare i paletti delle ammonizioni, Rigaudo è una cliente ancora molto pericolosa nonostante i suoi 36 anni. L’anno scorso il traguardo l’ha tagliato una sola italiana: Antonella Palmisano, che nonostante condizioni di forma non perfette è arrivata quinta, ottenendo il suo miglior risultato in carriera. Ha 25 anni e con quella gara ha mostrato di avere carattere anche nelle occasioni che contano. I suoi tempi sono quelli di un’atleta di alto livello. Pure lei, come Giorgi e Rigaudo, può sognare l’impresa.

Il diluvio di Pechino 2008 e la commozione di Elisa Rigaudo

Nemmeno nella maratona maschile l’Italia è completamente fuori dai Giochi. La speranza di un miracolo accompagnerà Daniele Meucci e Ruggero Pertile, che già l’anno scorso hanno cullato il sogno di farcela ai Mondiali di Pechino. Pertile, che oggi ha 42 anni, è tornato a casa con una medaglia di legno che rappresenta il punto più alto della sua carriera. Il campione europeo del 2014 Meucci, su cui si concentrava la maggior parte delle speranze azzurre, è arrivato ottavo – comunque un bel risultato, visto il lotto di partenti – ma con qualche rimpianto per dei problemi intestinali che gli hanno fatto perdere una manciata di secondi poco dopo il trentesimo chilometro. Con loro correrà Stefano La Rosa, maratoneta dallo scorso anno e un primato personale di due soli secondi peggiore di quello di Meucci. In teoria, nessuno dei tre può scendere sotto le due ore e dieci e se la gara verrà impostata su ritmi veloci non hanno speranze di medaglia. Ma in una gara lenta e tattica tutto può succedere e il fatto che Pertile l’anno scorso abbia sfiorato il podio ne è la dimostrazione.

Ci sono i reduci dell’armata del salto in alto, maschile e femminile. In questi anni, man mano che Antonietta Di Martino si allontanava dalla pedana, sono cresciuti eredi in grado di belle prove. Degli uomini, l’unico rimasto dopo gli infortuni di Tamberi e Fassinotti è Silvano Chesani. Buon saltatore, argento agli Europei indoor l’anno scorso. Ma un infortunio gli ha fatto perdere tutta la stagione 2015 e quest’anno è lontano dalle sue misure migliori, almeno all’aperto. Se anche recuperasse i livelli del passato, dovrebbe sperare nella giornata storta di troppi avversari.

Tra le donne, Alessia Trost sta attraversando un’involuzione preoccupante. Quattro anni fa, la Fidal decise di lasciarla a casa dalle Olimpiadi di Londra nonostante la vittoria dei Mondiali Juniores, che le dava il diritto di partecipare. Una scelta molto discutibile, che ha impedito all’allora diciannovenne di assaggiare l’atmosfera dei Giochi quando ancora non aveva l’obbligo del risultato. L’anno successivo, al chiuso, è salita fino a due metri. All’aperto si è spinta, nello stesso anno, oltre 1,98. Ma nell’ultimo triennio non è mai più andata oltre l’1,94, risultato che ha raggiunto anche quest’anno. È andata malissimo agli Europei di Amsterdam, dove non ha saputo fare meglio di 1,89. Va a Rio con molte atlete davanti a lei, almeno nel ranking. Non c’è una favorita, anche perché la squalifica per doping di Anna Cicerova e l’esclusione di massa della Russia che ha messo fuori gioco Maria Kuchina hanno eliminato due tra le concorrenti più temibili. Resta in gioco la croata Blanka Vlasic, signora della specialità: forse ora è davvero la favorita per conquistare quel titolo olimpico che le è sempre sfuggito. Tra chi ha fatto meglio di Trost nel 2016 c’è la ventiduenne Desirèe Rossit. Quest’anno è esplosa ed è passata da un personale di 1,91 a 1,97 metri, collezionando soprattutto tante prestazioni incoraggianti. Lei non ha nulla da perdere (fino a pochi mesi fa era pressoché sconosciuta) e molto da guadagnare visto che le migliori dell’ultimo biennio sono solo quattro centimetri più in alto. Trost e Rossit sono entrambe friulane, rispettivamente di Pordenone e di Udine. Hanno lo stesso allenatore: Gianfranco Chessa, uno che insegna atletica da decenni e, a giudicare dai recenti risultati del salto in alto friulano, pure molto bene. Ma loro a Rio dovranno cavarsela da sole: Chessa è malato, in Brasile non ci sarà. E loro saranno in pedana senza l’uomo che le ha accompagnate fin lì, lungo un percorso durato anni. Se l’Italia ha qualche speranza di medaglia anche stavolta, quelle passano da quel trio. Dalle due ragazze friulane che salteranno e dall’allenatore che le guarderà in televisione, impegnato in una gara più importante.

Chi punta alla gloria

Se per gli altri il podio è quasi irraggiungibile, c’è chi può puntare a un piazzamento di rilievo: un risultato da ricordare, magari il migliore della carriera. A partire da Libania Grenot, l’italo-cubana che dal 2008 corre con i colori azzurri. Proprio tra le Olimpiadi di Pechino e i Mondiali di Berlino dell’anno successivo aveva fatto vedere le cose migliori, arrivando fino a un personale di 50’’30 che è anche record italiano. Poi è rimasta su quei livelli. Ha vinto l’oro europeo di Zurigo due anni fa, mentre l’anno scorso è arrivata in semifinale ai Mondiali di Pechino ma non è stata in grado di scendere sotto i 51 secondi. Quest’anno, a 33 anni, sembra rinata: ha fatto un ottimo 50’’43, ha migliorato il record italiano dei 200 portandolo a 22’’56, ha rivinto gli Europei sui 400 e ha portato la staffetta 4x400 al terzo posto, grazie a una grande rimonta nella sua frazione. Una novità per lei, che nella gara a squadre faticava a brillare.

Quest’anno è dodicesima nel ranking mondiale, ma davanti a lei ci sono sette americane e solo tre saranno presenti a Rio. Può puntare alla finale, ma deve correre sui suoi livelli migliori. Da Cuba arriva anche l’ultimo nome nuovo della Nazionale: la ottocentista Yusneysi Santiusti Caballero, in Italia dal 2007. Ha ottenuto la cittadinanza italiana l’anno scorso, dopo un iter lunghissimo che le ha impedito di correre alle manifestazioni più importanti di questi anni. Soprattutto le ha impedito di farlo tra il 2011 e il 2012, quando è scesa sette volte sotto i due minuti, la soglia di eccellenza sui due giri di pista. Quest’anno è lontana solo quattro centesimi da quel muro, ma può abbatterlo. Entrare in finale è difficile, anche se dalla sua c’è una grande capacità di leggere la gara.

La finale di Amsterdam e la rimonta di Libania Grenot.

Gli azzurri della marcia sono tre. Matteo Giupponi, 28 anni, è iscritto sia nella 20 sia nella 50 chilometri. Nella distanza più corta ha un quattordicesimo posto ottenuto ai Mondiali di Mosca nel 2013, nella gara più lunga di tutto il programma è arrivato diciassettesimo a quelli di Pechino l’anno scorso. Questa è la sua prima Olimpiade. Poi c’è il veterano Marco De Luca, 35 anni e specialista della 50 chilometri. È la terza volta che va ai Giochi: a Pechino fu diciannovesimo, a Londra quattordicesimo. Vanta anche sei partecipazioni ai Mondiali, con un settimo posto a Berlino nel 2009. Insieme a loro sarà al via Teodorico Caporaso che si allena nel tempo lasciatogli libero dal dottorato in Ingegneria che sta portando avanti. Ha fatto la gara della vita ai Mondiali a squadre di Roma, migliorandosi di oltre tre minuti e strappando la convocazione: per lui sono le prime Olimpiadi, dopo il quarantaduesimo posto ai Mondiali di Mosca 2013 e il venticinquesimo a quelli di Pechino 2015.

Nei 400 ostacoli donne hanno strappato il biglietto per Rio tre atlete. La più promettente è la non ancora ventenne Ayomide Folorunso. Classe 1996, nata in Nigeria ma in Italia da quando aveva otto anni, ha avuto il suo battesimo del fuoco l’anno scorso, a Pechino, nella 4x400 donne in cui ha destato impressione, facendo vedere di avere carattere. Parecchio estroversa nelle interviste fuori gara, non sembra avere timori reverenziali per i contesti in cui si trova a gareggiare da qualche mese. Da vedere se ne avrà per le avversarie. Agli Europei di Amsterdam è arrivata quarta sfiorando la medaglia di bronzo. Deve ancora migliorare tecnica e gestione della gara e questo è un buon segno, visto che già quest’anno è scesa dai 57’’19 che aveva di personale l’anno scorso a 55’’50. Per l’eccellenza manca ancora qualcosa: la finale di solito si conquista scendendo sotto i 55 secondi. Ma a nemmeno vent’anni già arrivare in semifinale sarebbe un buon risultato. La veterana è Marzia Caravelli, 35 anni e una carriera passata tutta sui 100 ostacoli, conquistando qualche qualificazione agli eventi di maggior rilievo degli ultimi anni e arrivando in semifinale alle Olimpiadi di Londra 2012. Dall’anno scorso ha allungato le distanze e quest’anno è scesa fino a 55’’69, un tempo che le lascia la possibilità di fare una gara più che dignitosa. Il personale migliore ce l’ha Yadisleidy Pedroso, nata a L’Avana ma italiana dal 2013. Quell’anno scese fino a 54’’54, un tempo da finale olimpica. Il suo crono di accredito, ottenuto l’anno scorso, è di 55’’18, ma quest’anno non è stata capace di scendere sotto i 57 secondi. Sarà a Rio anche lei, sperando che sia in grado di dare una svolta a una stagione fin qui anonima anche a causa di un lungo infortunio.

Poi ci sono i 400 maschili, una delle discipline in cui la distanza tra il top mondiale e l’Italia è più marcata. Alla partenza del giro di pista ci sarà Matteo Galvan, recuperato dopo anni di infortuni. Quest’anno sta vivendo una stagione magica, nel corso della quale ha migliorato il record nazionale portandolo a 45’’12 (il vecchio limite, 45’’19, apparteneva ad Andrea Barberi ed era vecchio di dieci anni). Ha fatto quel tempo due volte, la seconda agli Europei. Con un crono come il suo, a Pechino, si rischiava di rimanere fuori dalle semifinali. Ma quei 12 centesimi che lo separano dal muro dei 44 secondi rappresentano il suo Everest e un obiettivo che, per l’atletica italiana, vale come una medaglia.

Galvan eguaglia il suo record italiano di 45’’12 in semifinale agli Europei di Amsterdam.

Galvan sarà anche uno dei tre italiani alla partenza dei 200 metri, grazie a un 20’’50 che va a ripetere il suo personale ottenuto tre anni fa. Nella gara che fu di Berruti e Mennea non c’è più nessun azzurro in grado di ripetere quelle vittorie, ma qualcosa si muove. Eseosa “Fausto” Desalu, nato in Italia da famiglia di origini nigeriane, non ha ancora 22 anni e quest’anno, sulla pista di Rieti, ha fermato i cronometri a 20’’31. In Italia solo due atleti hanno fatto meglio di lui: Mennea, sceso sotto quel tempo decine di volte, e Andrew Howe, che a 19 anni vinse i Mondiali Juniores di Grosseto in 20’’28. Anche qui, il mondo corre molto più forte. Però i 200 stanno attraversando una grande crisi di vocazioni: il meglio della velocità preferisce spostarsi sui 100 o sui 400, molti vivono il mezzo giro come una distanza spuria di livello minore. In alcuni periodi storici succede, anche se la storia insegna che basta qualche anno di risultati mediocri perché molti tornino a provare quella distanza, tentati dalla possibilità di un risultato di prestigio. L’anno scorso, con il tempo di Desalu si entrava agevolmente in semifinale. Poi c’è Davide Manenti: il suo personale di 20’’44 non lascia molto spazio alle speranze, ma lui quest’anno ha ottenuto i cinque migliori crono della sua carriera nei 200, segno di grande regolarità. Tra le donne correrà questa distanza Gloria Hooper, una delle poche atlete tornate col sorriso dai fallimentari Mondiali di Pechino dell’anno scorso. Si è fermata in semifinale, ma con il nuovo primato personale migliorato dopo tre anni di difficoltà. Quest’anno lo ha ritoccato arrivando a 22’’89, non abbastanza per coltivare sogni di gloria ma un segnale incoraggiante per il futuro.

Per Rio sono partiti anche altri azzurri. Giordano Benedetti correrà gli 800 metri: i suoi tempi per ora non sono quelli di qualche anno fa, ma l’obiettivo resta il passaggio del turno. Subito dopo di lui sarà il turno di Veronica Inglese, al via nella finale dei 10.000. Nei 3.000 siepi gli azzurri saranno due: il veterano Yuri Floriani, 35 anni, e Abdoullah Bamoussa, ripescato dalla Iaaf per raggiungere il numero minimo di partecipanti. Il martellista trentottenne Marco Lingua è riuscito a strappare la convocazione in extremis. Da quest’anno gareggia per una società, la Asd Marco Lingua 4ever, di cui è l’unico tesserato. Maria Benedicta Chigbolu affiancherà Libania Grenot nei 400, poi entrambe prenderanno parte alla 4x400, l’unica staffetta in cui l’Italia è riuscita a strappare la qualificazione. Il nucleo di atlete è composto, oltre a loro due, dall’ostacolista Ayomide Folorunso e da Chiara Bazzoni, Marta Milani, Maria Enrica Spacca ed Elena Maria Bonfanti, una dilettante che si allena nel tempo lasciatole libero dal suo lavoro di dottoressa. Completano la squadra l’astista Sonia Malavasi e la triplista Dariyah Derkach.

Tokyo 2020

Mancano a queste Olimpiadi due nomi che, a Tokyo 2020, saranno chiamati a prendere in mano buona parte delle sorti della spedizione. Si tratta di due giovanissimi, lo sprinter Filippo Tortu e la mezzofondista Marta Zenoni. Si parla di loro già da qualche anno, ma la consacrazione è arrivata nelle ultime due stagioni. Filippo Tortu, 18 anni, è juniores al primo anno ma, nel corso della primavera e dell’estate, ha migliorato più volte il record italiano di categoria nei 100 metri. È arrivato fino a 10’’19, un tempo ottenuto ad Amsterdam agli Europei assoluti. Poche settimane dopo è arrivato secondo ai Mondiali juniores. Ha ancora margini miglioramento, soprattutto nella fase di partenza. Ma se già l’anno scorso si era imposto all’attenzione di tutti, migliorando i record italiani dei 100 e dei 200, l’ulteriore crescita di quest’anno lascia ben sperare per un talento che, in futuro, potrebbe portare l’Italia a un livello irraggiungibile da decenni per i colori azzurri. Tortu ha mancato di un soffio il biglietto per Rio. Il suo personale nei 100, 10’’19, è tre centesimi peggiore del minimo olimpico richiesto dalla Iaaf. Poteva entrare con la staffetta 4x100, ma gli azzurri non sono riusciti a qualificarsi e, quindi, il suo sogno olimpico per ora è rimandato. Un po’ di amarezza resta perché, se ce l’avesse fatta, avrebbe potuto farsi le ossa su un grande palcoscenico in un momento in cui ancora non ha la pressione delle aspettative su di sé.

Un anno più giovane è Marta Zenoni, che è infortunata ma a Rio non ci sarebbe comunque stata. Ha 17 anni, da tre stagioni polverizza record su record. Nel 2014, ancora quindicenne, era riuscita a fare il primato italiano sui 1.000 metri: non solo under 16, ma anche under 18. L’anno scorso, al primo anno da allieva, ha migliorato il primato nazionale degli 800 di categoria, ha vinto i campionati italiani assoluti ed è arrivata terza ai Mondiali under 18, con qualche ingenuità in finale dopo aver dominato batterie e semifinali. Quest’anno, tra indoor e pista, ha tirato giù diversi limiti nei 1.000 e nei 1.500, non solo under 18 ma, in alcuni casi, pure under 20. Negli 800, quella che finora è stata la gara in cui ha fatto più impressione, è scesa fino a 2’01’’91, migliorandosi di un secondo e mezzo in un anno. È abbondantemente la under 18 più veloce del mondo sui due giri di pista. Si è fermata a meno di un secondo dal minimo per Rio, che avrebbe avuto del clamoroso per una ragazza di 17 anni. Guarderà le Olimpiadi da casa, ma intanto segnerà sul calendario gli appuntamenti dei prossimi anni. Ha ancora qualche anno di categorie giovanili, ma l’impressione è che presto potrà già fare sul serio.

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