The J. League 100-year plan è un documento redatto nel 1992, con il quale la Japan Professional Football League delinea la strategia per diffondere il calcio in Giappone. Sembra una follia creare un business plan lungo un secolo, ma nel Sol Levante non è una novità: il creatore della Panasonic, Konosuke Matsushita, pensò a un strategic plan di 250 anni. Nel 1918!
Gli obiettivi erano chiari:
a) avere una lega competitiva e sostenibile dal punto di vista finanziario;
b) avere almeno un centinaio di club con lo status da professionista;
c) vincere il Mondiale entro il 2092.
Già oggi alcuni di quegli obiettivi sembrano realistici.
La J. League è un campionato competitivo ed equilibrato. I club con licenza professionistica sono ben 55, tanto che è nata la J3 League (la terza divisione). E il Giappone ha centrato due volte gli ottavi di finale di un Mondiale (nel 2002 e nel 2010).
Mitsuru Murai, presidente della J. League, ha fatto capire come i tempi siano cambiati: «Il calcio è uno sport popolare tra i giovani: per il terzo anno di fila, diventare un giocatore della J. League è il sogno più grande per molti ragazzi». In questo contesto si inserisce l’arrivo della J. League nei videogiochi FIFA dal prossimo anno grazie alla nuova sponsorizzazione della Electronic Arts.
Mentre il mondo punta gli occhi sulla Cina e sul suo mercato incentrato all’importazione di talenti da tutto il mondo per cifre fuori mercato, dall’altra parte del mare, la J. League mantiene un approccio improntato ai vivai e allo sviluppo del talento autoctono.
Il campionato riapre oggi e ho scelto sette giocatori da tenere d’occhio: cinque di loro sono pronti al salto verso il palcoscenico europeo, mentre gli altri due sono hanno forse più l’età per ambire a un grande trasferimento, ma rappresentano comunque un modo interessante di interpretare il calcio in Giappone. «Dieci persone, dieci colori» («Jūnin toiro») recita un detto nipponico, a ricordarci che il mondo è bello perché è vario, presenta sfumature diverse, ognuno ha il suo modo di essere. Un concetto valido anche per il calcio.
1. Takuma Asano – 1994, attaccante – Sanfrecce Hiroshima
Una stagione normale dura quasi nove mesi, quella del Sanfrecce Hiroshima è stata infinita: dal 7 marzo al 29 dicembre 2015, dalla prima giornata di J. League alla semifinale di Coppa dell’Imperatore persa contro il Gamba Osaka. Asano ha resistito e giocato quasi tutte le partite e il pre-olimpico alla stessa velocità.
Fino a poco tempo fa sembrava troppo acerbo: nel biennio 2013-14 aveva messo insieme 24 presenze e segnato un solo gol. Nel 2015 si è invece trasformato in uno dei giocatori più importanti della squadra.
Nel 3-4-2-1 di Moriyasu, Asano si è alternato a Hisato Sato – undici anni a Hiroshima, capitano, nonché record-man per gol segnati in J. League. Ha esordito in nazionale e ha segnato il gol decisivo per la conquista del titolo.
In patria è considerato un super-sub: le sue otto reti in campionato sono arrivate TUTTE entrando dalla panchina. In questo dato, apparentemente paradossale, è stato aiutato dalle sue caratteristiche: velocità (lo chiamano Jaguar), un buon attacco della profondità e capacità di giocare da prima e seconda punta. Nel 2015 ha realizzato 18 gol in 48 partite ed è stato nominato rookie dell’anno.
Sarebbe bello vederlo in Olanda o in Germania. Non per forza in Bundesliga, ma anche in Zweite, dove diversi giapponesi hanno familiarizzato con il calcio europeo, come Yuya Osako (ora al Colonia, ma passato dal Monaco 1860) o Hiroki Yamada (tutt’ora al Karlsruher).
2. Ryota Oshima – 1993, centrocampista centrale – Kawasaki Frontale
Se Asano può esser considerato in qualche modo una “scommessa”, con Ryota Oshima passiamo a una categoria di giovani dal futuro quasi certo.
Boooom!
Ryota Oshima gioca nel Kawasaki Frontale dal 2011 e a 23 anni ha già un centinaio di presenze da pro alle spalle. Avrebbe dovuto frequentare l’università, ma il mondo del calcio lo reclamava.
A Kawasaki lo paragonano a un altro grande del recente calcio nipponico, quel Kengo Nakamura (da non confondere da Shunsuke, ex Reggina) che nella sua vita calcistica avrebbe potuto raccogliere di più. Molti si spingono oltre: Oshima è Kengo II, praticamente la sua reincarnazione.
Le qualità di Oshima sono strettamente legate alla sua struttura fisica brevilinea, bravo nel dribbling e con un’ottima visione di gioco. Nel 2014 era in testa alla speciale graduatoria delle chances create: un trend che dimostra una sua spiccata sensibilità all’assistenza.
Tre sono i difetti che deve ancora aggiustare e sono tipicamente nipponici. Il primo è l’altruismo e la poca disponibilità ad abbandonare la posizione di centrale di centrocampo; che lo fanno segnare poco (il massimo stagionale è di tre reti nel 2012). Il secondo ha a che fare con la sua struttura fisica: per quanto questa rappresenti per certi versi il suo punto di forza a volte sembra troppo leggero e avrebbe bisogno di irrobustirsi. Il terzo è che dovrebbe essere più continuo, meno compiaciuto di quello che sa fare con il pallone tra i piedi.
Per la nuova stagione ha deciso di prendersi la maglia numero 10, ma non è detto che rimanga a lungo nella prefettura di Kanagawa. Sarebbe bello se qualche squadra di seconda fascia dei principali campionati europei ci provasse. Magari prima delle Olimpiadi di Rio 2016.
3. Caio – 1994, esterno d’attacco – Kashima Antlers
C’è uno strano legame tra Brasile e Giappone. Non solo calcistico: sono molti i nipponici che si sono trasferiti in Brasile nel corso dei secoli. I primi giapponesi arrivarono in Brasile nel 1908 sulla nave Kasato Maru, grazie a un accordo siglato tra i due paesi, con il paese sudamericano in cerca di lavoratori per l’industria del caffè.
Al tempo stesso, alcuni giapponesi soffrivano le trasformazioni del paese nel periodo Meiji. L’impatto è stato talmente forte che oggi nello stato di San Paolo c’è un museo dedicato alla storia dei giapponesi in Brasile. Alcuni di loro pensavano a un periodo temporaneo in Brasile, ma oggi un milione e mezzo di loro sono ancora nel paese.
Tra coloro che hanno fatto invece il viaggio inverso, c’è Caio Lucas Fernandes, che nel 2011 – mentre era diviso tra il vivaio dell’América e quello ben più prestigioso del San Paolo – si è visto offrire una borsa di studio dalla Chiba Kokusai High School.
A Chiba Caio si trova bene. Le sue prestazioni attirano l’attenzione dei Kashima Antlers, che lo tesserano nel gennaio 2014: «Quando mi hanno cercato, mi sono detto che dovevo solo confermare quanto avevo già fatto vedere».
Nel 2014 Caio viene eletto rookie dell’anno in J. League. Il brasiliano spesso parte dal lato sinistro del campo per potersi accentrare e sfruttare il suo destro (sia di precisione che di potenza), capace di questi gol. In campo aperto è devastante, ma il controllo palla e una buona tecnica gli permettono di rendersi pericoloso anche di fronte a difese molto chiuse.
Tatticamente è in grado di adattarsi al 4-2-3-1, anche se rende meglio da ala pura. A volte gioca troppo a testa bassa, come aveva detto Toninho Cerezo, l’allenatore che l’ha svezzato. Difetto che si sta risolvendo: in due anni a Ibaraki ha accumulato 21 gol e 13 assist.
Caio potrebbe venire naturalizzato. Nel 4-3-3 del Giappone, si troverebbe benissimo e lui ne sarebbe felice: «Questo paese mi ha aiutato dal punto di vista professionale: devo molto al Giappone».
I motivi per cui lo vogliono in nazionale.
Caio sembra più che pronto per l’Europa. Forse dei giocatori che presento in questo pezzo è l’unico che potrebbe adattarsi bene in Serie A, dove troverebbe quasi ovunque i due moduli in cui rende meglio, il 4-2-3-1 e il 4-3-3.
4. Gaku Shibasaki – 1992, mezzala/regista – Kashima Antlers
Qui si va sul mainstream. Non parliamo soltanto di un 23enne di belle speranze, ma di un ragazzo che nel 2015 si è definitivamente imposto e che probabilmente ha solo bisogno della chance giusta in Europa. Lo dimostrano anche le statistiche: il 2015 è stato il suo miglior anno in termini di gol (7) e assist (13).
Di Shiba ha dato la perfetta descrizione Mitsuo Ogasawara, passato a Messina, ma oggi capitano dei Kashima Antlers: «Per la routine e l’applicazione in campo, è un vecchio. Non ha vent’anni, è un veterano». In club dalla forte tradizione calcistica come gli Antlers, Shibasaki affronterà il 2016 con la fascia di capitano al braccio e il numero 10 sulle spalle, lasciato libero da Masashi Motoyama, idolo della tifoseria che ha lasciato il club dopo 17 anni.
Le doti di Shibasaki si concentrano in tre settori: grande dinamismo, un buon piede per tirare dalla distanza o impostare il gioco, ma soprattutto molta duttilità in campo. Può giocare come 10 o regista, ma il meglio lo dà da mezzala, svincolato da compiti difensivi e libero di costruire.
In nazionale Zaccheroni non l’aveva ritenuto pronto, poi è stato Aguirre a farlo esordire dopo il Mondiale brasiliano. In patria le aspettative sul ragazzo sono enormi, tanto che è considerato il successore di Yasuhito Endo, record-man di presenze in nazionale. Shibasaki si è preso la sua maglia numero 7 e Yatto gli ha indicato la strada: «Gaku è il giocatore che mi assomiglia di più».
C’è comunque una piccola differenza: Endo è un demiurgo, un architetto. La sua classe poggia su un’intelligenza calcistica fuori dal comune, capace di sopperire alle poche doti atletiche. Ma è un giocatore per certi versi individualista: anche nella ricerca dell’assist spicca la tendenza a voler essere decisivo in prima persona. Shibasaki è invece un giocatore dalla natura più associativa, più attento nel coinvolgere i compagni e a dare ritmo alla manovra.
Qualcuno che si è imposto nonostante il peso di quest’eredità calcistica merita una chance di prima fascia: forse il campionato che più si addice alle sue caratteristiche è la Liga spagnola, soprattutto in squadre di media fascia che giocano un calcio di possesso, come Málaga o Villarreal.
5. Takashi Usami – 1992, seconda punta – Gamba Osaka
Usami è al Gamba da quando aveva 13 anni. A 17 anni ha fatto il suo debutto da professionista, riuscendo a segnare all’esordio. Due anni più tardi era già su un aereo per la Baviera, ingaggiato dal Bayern Monaco. L’avventura con il Bayern non è andata bene, ma ha trovato comunque il modo di segnare in DFB-Pokal e incassare l’elogio di Frank Ribéry: «È molto dotato, ma qui non basta il talento per fare il titolare».
Usami ha voluto comunque riprovarci in Bundesliga, stavolta con l’Hoffenheim: anche lì c’è qualche incomprensione e la discontinuità non lo premia. Quando Markus Babbel viene cacciato, la sua avventura in Germania è finita. Tuttavia, qualche statistica dimostra come le colpe non fossero tutte attribuibili a Usami.
Con questo gol. O quest’altro, seppur in allenamento.
Naturale la decisione di tornare al Gamba, che aveva lasciato sempre in prestito. Nel frattempo, il club di Osaka è retrocesso e Usami si trova catapultato dalla tribuna delle gare di Bundesliga alla J2 League.
In due anni e mezzo, Usami ha segnato 69 reti in 110 partite. Il Gamba è tornato in J. League, l’ha vinta da neo-promossa e poi ha sfiorato la finale di Champions League nel 2015. Ha persino trovato la consacrazione in nazionale, dove ha già segnato due gol.
Quando Usami parte in accelerazione, è difficile stargli dietro. Per altro, in questi due anni e mezzo ha imparato a giocare anche dentro l’area di rigore e da prima punta in casi d’emergenza. A calciare meglio con il sinistro, a gestire la coordinazione nei movimenti, accompagnato da buoni fondamentali.
Sul fatto che Usami sia pronto per una seconda chance europea non ci sono dubbi. Si pensava che a gennaio potesse salutare Osaka e invece è rimasto. Ma a giugno forse non sarà ancora in Giappone: Valencia, Porto, OM e PSV sono pronti a prenderlo.
Bonus: due giocatori più “anziani” che dovreste comunque tenere d’occhio nella nuova J. League
Yōsuke Kashiwagi – 1987, centrocampista – Urawa Red Diamonds
Bello da vedere, creativo, ma spesso non decisivo. Se c’è uno tra i giocatori qui consigliati che rappresenta lo stile del calcio giapponese, nel bene e nel male, è sicuramente Yosuke Kashiwagi.
Fin dai tempi del vivaio del Sanfrecce Hiroshima, Kashiwagi ha mostrato il suo talento in tutte le sue sfaccettature. Cresciuto come trequartista dietro la punta, si è poi evoluto anche in una mezzala di possesso, capace di condurre il pallone anche per diversi metri e bravo a consolidare il possesso della sua squadra.
Primo di tanti giocatori a passare da Hiroshima a Saitama nel 2010, Kashiwagi non ha ancora vinto niente di significativo a livello di club. Solo un titolo di seconda divisione con il Sanfrecce. Non è bastata neanche la riunione agli Urawa con Mihailo Petrović, il tecnico che lo aveva svezzato a Hiroshima, trovandogli la giusta posizione in campo.
Gli Urawa giocano con un 3-4-2-1 o 3-5-1-1 molto “mazzarriano” e Kashiwagi rappresenta il suo centro creativo. Se dieci giocatori hanno una posizione prefissata, lui è l’unico che può muoversi nelle maglie della propria squadra per impostare l’azione come preferisce. Kashiwagi è un centrocampista capace sia di suggerire l’azione che di andare al tiro con il piede mancino.
Nel 4-2-3-1 del Giappone di Zaccheroni, non c’era spazio per lui nel duo di mediani, né come trequartista. Quelle poche volte che è stato provato, ha deluso. Con il nuovo corso Halilhodzic e il passaggio al 4-3-3, ora Kashiwagi è stato ri-convocato e ha collezionato tre presenze sul finire del 2015.
Toshihiro Aoyama – 1986, regista di centrocampo – Sanfrecce Hiroshima
Nominato MVP dell’ultima J. League a trent’anni, Aoyama sembra migliorare con il passare del tempo.
Non che la personalità gli si sia mai mancata. Alla viglia della semifinale dell’ultimo Mondiale per club, ha parlato così dell’eventuale pressione derivante dai 10mila tifosi del River presenti a Osaka: «Sono meno di quelli degli Urawa Reds e li abbiamo battuti: non sarà un problema».
A differenza però degli altri giocatori di qeusto pezzo, Aoyama non è nato con le stimmate del predestinato. Ha dovuto lavorare duro per arrivare dov’è ora: in nazionale ha esordito solo a 27 anni, dopo una vita spesa ai Sanfrecce. E solo nel finale del corso Zaccheroni ha cominciato ad avere spazio, andando anche ai Mondiali 2014.
Oggi è il capitano della squadra di Hiroshima, capace di vincere tre volte il titolo negli ultimi quattro anni. Regista puro, Aoyama ha una visione del gioco fuori dal comune. I suoi lanci riescono spesso a pescare i compagni in posizioni impensabili e sono fondamentali nell’economia del 3-5-1-1 (alcune volte 3-6-1) di Hajime Moriyasu.
Un modulo del genere fornisce diverse linee di passaggio, ma ci vuole un certo intuito per scegliere sempre la migliore. Quando poi punta la porta, il suo destro può esser pericoloso in modi diversi. Che sia di piatto o di collo, dai 25 metri in su è pericoloso: con gol stilisticamente difficili oppure che sfidano le leggi della fisica.
O con quelli folli.
All’alba dei trent’anni è difficile che qualcuno in Europa gli possa offrire una chance. Ed è altrettanto complicato che Aoyama – molto legato a Hiroshima – lasci i Sanfrecce. Ma non sarebbe bello vedere queste geometrie in Europa?