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"Shogun" Rua e l'alba delle MMA moderne
29 dic 2021
29 dic 2021
L'iconico fighter brasiliano è stato fondamentale per la crescita delle arti marziali miste.
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Nel 2005 la promotion di MMA più importante al mondo non era l’UFC ma la Pride FC. Anzi, lo stesso acronimo MMA era affiancato ad altri termini con cui ci si riferiva ai combattimenti di quel tipo, sul ring o in gabbia, come free fight o no holds barred. C'era però la consapevolezza che si fosse davanti a qualcosa di nuovo, che non si trattava né di un freakshow per intrattenere il pubblico giapponese - interessato ai tratti spettacolari tanto quanto a quelli sportivi - né di un incontro di vale tudo brasiliano o di qualche sport da combattimento orientale ed europeo più tradizionali. Non c’era dubbio, cioè, che si stesse assistendo alla codificazione di un nuovo sport, i cui tratti caratteristici, i limiti e le possibilità, dovevano ancora essere definiti.

In questo contesto, il 28 agosto di quell'anno assunse un significato particolare, la data della consacrazione di un giovane brasiliano, il vincitore del torneo dei pesi medi Pride. In questa promotion capitava a volte che i tornei di categoria (anche se ci si poteva imbattere anche in incontri openweight, cioè senza limiti di peso, nei quali un peso leggero poteva addirittura incontrare un massimo) si svolgessero tutti in una notte, mettendo alla prova tecnica, resistenza e tempra degli uomini più forti al mondo (o almeno è così che venivano venduti).

Tra questi c'era anche Mauricio "Shogun" Rua, un giovane di ventiquattro anni con un passato da modello e la capacità di seccare i propri avversari in un lampo all’interno dei più famosi ring giapponesi. Il Giappone doveva pareggiare la qualità dei free fight americani e brasiliani e, quanto a spettacolo all’interno dei propri show e presentazione degli atleti, non era secondo a nessuno. Peraltro gli assegni asiatici erano ben più corposi di quelli sudamericani e statunitensi. Il Pride viene ricordato come un vero bagno di sangue economico (con coinvolgimento della Yakuza addirittura), ma anche come la Golden Age delle MMA, il momento forse d’esplosione più convincente prima dell’era moderna. Rua, essendo parte del Team Chute Boxe, con forti contatti in Giappone, seguì il fratello Murilo ed entrò nel roster di Pride.

«Lavoravo in Brasile come modello, avevo fatto dei book fotografici, delle foto e delle sfilate di moda. Mi sono goduto l’esperienza, ma se devo essere sincero, mi sento un fighter da quando avevo 16 anni». Così Rua si sarebbe presentato anni dopo, quando avrebbe firmato con UFC, chiarendo da subito che tutto ciò che non riguardava combattere era solo contorno nella sua vita.

Rua si era fatto un nome prima nei circuiti regionali, mettendo in mostra il proprio striking applicato alle MMA, condito con una forza e una precisione che quasi nessuno aveva all’epoca. In questo modo, era approdato nella divisione “minore” di Pride, detta Bushido: anche lì si sarebbe fatto rispettare grazie ai suoi pugni e avrebbe ottenuto un biglietto di presentazione davvero ricco, che lo avrebbe condotto poco dopo fra i più grandi palchi giapponesi con un record di 8 vittorie ed una sola sconfitta. Più precisamente in un torneo che aveva tra i suoi protagonisti fighter noti quali Wanderlei Silva (già campione dei pesi medi Pride), Kazushi Sakuraba, Igor Vovchanchyn, Alistair Overeem, Dan Henderson e "Rampage" Jackson, tra gli altri. Tra questi, Rua veniva quindi visto come un potenziale outsider degno di nota, ma mai come il favorito.

C’è da dire che il regolamento era molto diverso rispetto ad oggi: da terra, ad esempio, non era consentito colpire coi gomiti, ma era possibile invece colpire con il ginocchio un avversario con quattro appoggi, e quindi in posizione di nord-sud a terra, oltre che con i cosiddetti soccer e stomp kick, dei calci portati con collo del piede o con la tibia direttamente sul volto dell’avversario. Esteticamente, era una versione arcaica e decisamente più violenta dello sport che vediamo oggi e non era raro vedere fighter portati a un passo dallo sfinimento dalla durata dei round. Allora, infatti, il round d’apertura, in base agli accordi, durava 15 o 10 minuti, e solo i successivi avevano una durata fissa di 5 minuti. Una scelta che prevedeva in genere un match finito già nell’opening round per finalizzazione e che quindi favoriva lo spettacolo, penalizzando alle volte un game plan strutturato, in favore dell’estemporaneità.

Il contesto si prestava poi in maniera perfetta alla presentazione dei fascinosi gaijin (che tradotto dal giapponese significa stranieri) che tentavano di piantare la bandiera in Giappone. Amante dei freakshow, ma forse ancor di più dello spirito di sacrificio sportivo all’interno del ring, il pubblico asiatico, ma più in particolare quello giapponese, adorava i Pesi Massimi che si facevano strada dalla fredda steppa russa come Fedor Emelianenko o dalla vicina Ucraina come Igor Vovchanchyn, vere icone e già fighter completi all’epoca, ma si lasciava coinvolgere anche dai combattenti di peso minore che sfidavano i colossi, apprezzandoli se possibile ancora di più.

Essendo una delle più antiche culle delle arti marziali, il Giappone era praticamente obbligato ad offrire spettacoli degni e proprio Pride raggiunse sicuramente il picco della qualità: Emelianenko, campione del mondo di Sambo e ricordato a lungo come il più forte artista marziale misto in circolazione, fu una manna per gli organizzatori: glaciale, silenzioso e letale, era la personificazione marziale del Terminator di Schwarzenegger. Senza aprir bocca faceva a brandelli i suoi avversari ed era amato dal pubblico. Quando batté Mark Coleman, l’americano gli fece conoscere le figlie, portate sul ring in lacrime. Fedor sorrise spontaneamente, un’immagine che rimarrà impressa nelle menti di chi lo seguiva, visto che prima di allora, probabilmente mai lo si era visto sorridere sul ring.

Arrivato in Pride dopo la gavetta in Rings con un record di 10-1 (sconfitta subita a causa di un taglio contro Tsuyoshi Kohsaka, Fedor avrebbe potuto continuare, ma l’arbitro non lo permise. Vendicò comunque in seguito la sconfitta), dominò per sette anni di fila e vinse in tutte le sue apparizioni al Pride, fatto salvo un No Contest contro Minotauro Nogueira.

Diversa la situazione di Vovchanchyn: considerato l’uomo più forte al mondo fino al 2000, venne ridimensionato da Mark Coleman, ma rimase un punto di riferimento ed un fighter vincente fino agli ultimi due match in carriera, persi rispettivamente contro Alistair Overeem e Kazuhiro Nakamura.

L’iconico Rickson Gracie ad esempio, a Pride 4, nell’ottobre del 1998, fu accolto come un figlio dalla folla giapponese, orfana del proprio idolo Nobuhiko Takada, battuto per la seconda volta dal brasiliano. Gracie tenne un discorso pregno di valori marziali classici e stima per il suo avversario ed il pubblico giapponese si innamorò perdutamente dello straniero, riservandogli un’ovazione commovente: “Io riporto indietro in Giappone lo spirito del Samurai". Lo riportava, si noti questo punto, perché era stato invece portato dal Giappone in Brasile da Mitsuyo Maeda, detto Conde Koma, allievo diretto di Jigoro Kano ed iniziatore in terra Brasiliana di un judo modificato, che avrebbe posto le basi del brazilian jiu-jitsu insegnato ai Gracie. Non esattamente un discorso alla Conor McGregor, insomma.

Mitsuyo Maeda, conosciuto anche col nome brasiliano di Otàvio dopo la naturalizzazione.

Pride FC convogliava una serie di emozioni potenti: il pubblico di casa era amante viscerale dei propri rappresentanti, ma era anche affascinato dallo straniero che rispettava e cercava di comprendere i modi locali, gli usi, e che era affamato della voglia di accettazione da parte del pubblico, prima ancora che del riconoscimento personale. I già citati fighter europei ed americani quali Alistair Overeem, Bas Rutten, Don Frye, Dan Henderson, trovarono una culla ideale per crescere atleticamente e personalmente all’interno del ring.

Il pubblico asiatico poi aveva un rapporto speciale coi campioni brasiliani, più vicini sia geograficamente che culturalmente (visto che molti giapponesi si trasferirono in Brasile nel secondo dopoguerra e iniziarono una nuova vita) di quanto si potesse pensare: Rickson Gracie, Minotauro Nogueira, Murilo Bustamante erano combattenti, ma soprattutto personaggi molto apprezzati. Wanderlei Silva, in particolare, sconfisse numerose volte l’idolo di casa indiscusso Kazushi Sakuraba, ma non venne mai fischiato o denigrato in alcun modo: al contrario, venne accolto con tutti gli onori. Alla stessa maniera Silva ricambiava l’affetto dei suoi fan asiatici; un affetto sincero, cavalcato poi da UFC per rilanciare un evento in Giappone nel marzo 2013, quando in un match ancora una volta iconico proprio tra Silva e Brian Stann infiammò la Saitama Super Arena in quello che fu l’ultimo grande successo, il canto del cigno del campione brasiliano.

Proprio Wanderlei Silva doveva essere uno dei grandi ispiratori di Rua. Wanderlei era campione in carica dei Pesi Medi, aveva già vinto il torneo nel 2003 e frantumò molti record, fra i quali quello del maggior numero di vittorie, 22, imponendo anche la più lunga striscia consecutiva di successi, 20, oltre al numero totale di finalizzazioni (16), di KO (15) ed al maggior numero di difese titolate (4). Un mito in carne ed ossa, insomma. Chi lo ricorda in UFC avrà in mente la sua versione meno aggressiva e più stanca, ma chi lo visse a suo tempo al Pride, non potrà mai scacciare dalla mente le immagini del dominatore incontrastato degli allora Pesi Medi (in realtà quella divisione corrispondeva all’odierna dei Massimi-leggeri) che non aveva paura di affrontare avversari ben più grossi di lui, trovando fortune alterne (fra questi, si ricordano Mirko CroCop, Mark Hunt e Ricardo Arona, combattenti di stazza ben superiore).

Il pubblico rispondeva sempre presente e numeroso alla chiamata dei promoter e Pride: Final Conflict 2005 non aveva fatto eccezione. E nonostante la gestione di Pride venga ricordata economicamente come un bagno di sangue, gli eventi della promotion giapponese sono considerati, a ragione, dei classici imprescindibili, delle pietre miliari dello sport senza la cui conoscenza un vero fan di MMA non potrebbe ritenersi tale. Il torneo dei Pesi Medi del 2005 (allora detto proprio middleweight, ma le divisioni di peso erano diverse e i medi di allora erano gli odierni massimi-leggeri, in una divisione al limite dei 93 kg) si svolse nell’arco di tre eventi tenuti tra aprile e agosto; le semifinali e la finale ebbero luogo nella stessa sera.

Nelle semifinali si affrontavano il colossale Ricardo Arona, detto "The Brazilian Tiger", con un vantaggio in termini di peso non indifferente sul "Cachorro Louco", il cane pazzo che da poco aveva adottato il soprannome americanizzato di "The Axe Murderer", l’omicida dell’ascia, ovvero Wanderlei Silva, già campione dei Pesi Medi Pride. Tra i rispettivi team - il Team Chute Boxe, e quello di Arona, il Brazilian Top Team (nato dalle fatiche di Murilo Bustamante e Mario Sperry, ex allievi di Carlson Gracie, delusi dall’attaccamento del maestro a Vitor Belfort, ma questa è un’altra storia) c'era una rivalità storica. Alla fine, comunque, spuntarla fu Ricardo Arona dopo 15 minuti totali di battaglia, con verdetto di decisione unanime. Nell’altra semifinale, la rivelazione Mauricio Rua (fratello dell’allora più noto Murilo detto "Ninja") affrontava invece Alistair Overeem, il "Demolition Man". Nonostante questo fosse nella sua versione più mobile, longilinea e predisposta alla sottomissione, Rua regalava il primo upset al pubblico mettendo l’olandese fuori combattimento dopo poco più di sei minuti e mezzo con un TKO fatto di pugni in ground and pound.

La finale sarebbe stata quindi tra due underdog. Da una parte Arona, che aveva battuto il grande favorito della vigilia. Dall'altra "Shogun", che tra l'altro era a sua volta un rappresentante del Team Chute Boxe, sebbene probabilmente nemmeno i vertici dello stesso team capissero che fosse già un simile fuoriclasse. Oltre alla rivalità già detta, Rua aveva inoltre un altro motivo per avercela quasi personalmente con Arona, che poco tempo prima aveva ottenuto una vittoria convincente contro suo fratello Murilo - il maggiore dei due fratelli, idolo di Mauricio nonché il motivo principale per il quale iniziò a combattere. Rua avrebbe infatti poi rivelato a UFC: “Mio fratello Murilo è il mio idolo. Sono un combattente grazie a lui. Mi ha motivato molto, lui ed i miei maestri Rudimar Fedrigo e Rafael Cordeiro. Sono loro che mi hanno reso un professionista”.

Dotato di uno striking mutuato dalla muay thai (ma anche amante del jiu-jitsu) e adattato perfettamente alle MMA, Rua tra i suoi colpi migliori aveva anche i calci e i contrattacchi con le braccia: low kick, stomp e soccer kick erano il suo pane e burro. Con l’aiuto delle corde era capace di terminare un match à la Wanderlei Silva (non per nulla i due erano compagni di team), di lanciarsi in attacchi in superman punch a terra (come contro "Minotouro" Nogueira), di controllare il clinch e ottenere posizioni favorevoli a terra. Il primo "Shogun", aiutato dal regolamento Pride, era davvero uno dei fighter più forti ed imprevedibili che si fossero mai visti.

Se ci fosse una sola immagine iconica per descrivere Rua sarebbe senz’altro questa: superman punch verso il tappeto su Minotouro Nogueira, a Pride Critical Countdown 2005.

Arona, al contrario di "Shogun" (i cui fratelli, a testimonianza della passione dei genitori per il Giappone, venivano chiamati “Ninja” e “Shaolin”) non aveva invece bisogno di presentazioni: striker e power-wrestler straordinario, la sua dote maggiore era forse nel submission grappling, grazie al quale negli anni era riuscito ad accumulare 13 vittorie senza subire sconfitte. Aveva inoltre conquistato ben tre ori in altrettante esperienze all’Abu Dhabi Combat Club, e due ori e due argenti ai Mondiali di jiu-jitsu fra i -88 kg e gli assoluti, da cintura blu a nera. Arona era un vero e proprio fenomeno: aveva battuto Wanderlei e aveva conciato per le feste Kazushi Sakuraba, ridotto a una maschera di sangue in quella che sarebbe stata ricordata come immagine iconica dello sport.

Kazushi Sakuraba dopo la cura Arona. Non adatto ai deboli di cuore.

Non c'era nulla di strano nel fatto che Arona fosse considerato il favorito nella finale, insomma. Alla luce delle aspettative che c'erano intorno a quell'incontro appare ancora più incomprensibile il declino che ebbe la sua carriera dopo. Arona si ritirerà formalmente nel 2009. Nel 2014 ebbe l'occasione di tornare all'interno dell'ottagono: gli venne offerto un contratto da Bellator ma lui declinò dichiarando di voler tornare prima al 100%. Dopo non se ne sentì più parlare e intorno al suo nome non sono rimaste che illazioni sulla sua salute mentale. Nel 2005, davanti ai quasi 48mila spettatori della Saitama Super Arena, Arona è però ancora il fenomeno da battere. Il fighter brasiliano aveva affrontato Silva per 15 minuti, a Rua erano bastati meno di sette minuti per liberarsi di Overeem, ma la condizione fisica dei due sembrava molto simile. Al centro del ring (in Pride non si utilizzava gabbia) il match aveva inizio da parte di entrambi in maniera guardinga ed attenta. Una calma solo apparente, durata pochi secondi.

Il primo a prendere l’iniziativa fu Rua, con un tentativo di butterfly kick, ma Arona accorciò con tempi e spazi corretti per entrare immediatamente in clinch proiettandolo subito al tappeto. D'altra parte, Arona in top position non era certo una passeggiata di salute per nessun fighter. Ma Rua, a dispetto della giovane età, mostrava grande maturità, tradita alle volte dall’irruenza del giovane fuoriclasse. Stavolta però senza troppi problemi aveva portato indietro il corpo, fatto scivolare la gamba destra oltre il mento dell’avversario e messo le basi per una omoplata.

Il movimento repentino di Rua per l’omoplata.

Arona, anche se con estrema difficoltà per via della stazza, era riuscito a liberarsi, ma per farlo aveva concesso il proprio viso mentre indietreggiava al ginocchio di Rua, vedendosi costretto a tornare schiena a terra. A guardare bene il passato di "Shogun" non c'è molto da stupirsi: il fighter brasiliano aveva dato prova della propria solidità anche con il veterano "Minotouro" Nogueira, contro il quale aveva imbastito una battaglia equilibrata senza esclusione di colpi che l’aveva visto uscire vincitore. In questo caso, Rua, senza perdere tempo, aveva dato prova di alcune delle sue armi più letali: gli stomp kick. Nonostante questo, Arona era riuscito ad afferrargli la gamba ed alleggerire la violenza del colpo.

I famigerati stomp kick di Rua in epoca Pride.

Dopo una fase concitata in scramble, nella quale nessuno dei due era riuscito ad avere la meglio, Arona aveva pensato bene di metterla sui binari del grappling e con un overhook ed un underhook aveva portato Shogun alle corde. Nella fase di lotta, per quanto riguarda le braccia, avere un overhook ed un underhook comporta la possibilità di ottenere la posizione migliore al 50%, il resto è dato da posizione di gambe e testa, e dalla distribuzione del peso, oltre che dall’abilità di controllo.

Alla fine Rua aveva trovato l’angolo giusto e senza piegare le gambe, con uno squilibrio d’anca, aveva portato ancora a terra Arona; passato in mezza monta prima ed in side position poi, aveva cominciato un lavoro di sfinimento a suon di gomitate al corpo. La fase finale, molto concitata, è andata in una maniera che oggi non si potrebbe mai rivedere: dopo essersi rialzato, Shogun ha tentato di calciare al volto Arona, ma scivolato troppo avanti, si è trovato con la sua testa fra le gambe in spaccata verticale; due colpi a martello in ground and pound e Arona stava sonnecchiando inerme sotto di lui. Vittoria per TKO in meno di tre minuti.

L’impresa era compiuta: Rua era campione del Pride GP 2005. Poco dopo, Wanderlei Silva gli sollevava il braccio, trionfante fra il bagno di coriandoli tipico del festeggiamento orientale al termine degli incontri e Rua veniva incoronato.

Due colpi a martello sono bastati per addormentare Arona.

La carriera di Rua, dopo una sconfitta per infortunio contro Mark Coleman (vendicata con gli interessi poi a UFC 93) e ben quattro vittorie di fila fino alla chiusura di Pride (fra le quali un’altra contro la sua vittima preferita, Alistair Overeem), continuò tra alti e bassi, ma fra gli alti riuscì addirittura a conquistare il titolo dei massimi-leggeri UFC ai danni forse del miglior Lyoto Machida, dopo aver perso un primo match contro il "Drago brasiliano". Perse poi il titolo guadagnato faticosamente contro il più giovane campione UFC, Jon Jones, senza essere riuscito a difenderlo. È presente nella Hall of Fame UFC nella sezione combattimenti per il suo primo match contro Dan Henderson, premiato anche incontro dell’anno 2011 sia dalla stessa UFC che agli World MMA Awards.

Ad oggi, è giusto ricordare che, insieme a Wanderlei Silva, "Shogun" Rua è probabilmente il fighter che ha più sofferto il cambio di regolamento ed in generale uno dei combattenti più spettacolari mai visti all’interno del ring. Chi è un fan delle MMA deve necessariamente conoscere la storia di Mauricio Rua. La battaglia che lo consacrò, rendendolo uno dei volti più riconoscibili, è un must imprescindibile per ogni osservatore di questo sport.

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