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Roberto Scarcella
Sheriff Tiraspol, in Champions League dal nulla
26 ago 2021
26 ago 2021
La squadra moldava ha una storia incredibile.
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Roberto Scarcella
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Lo Sheriff Tiraspol Fc sarà la novità della fase a gironi della Champions League, ma anche il paradosso, visto che rappresenterà in Europa la Moldavia, uno Stato di cui non si sente parte. Lo Sheriff gioca in uno stadio che si chiama Sheriff, all’interno di un complesso sportivo che si chiama Sheriff. A costruirlo è stata una ditta edile dal nome a questo punto prevedibile: Sheriff. Sheriff è anche il nome di una catena di supermercati, di un’azienda di telefonia fissa e mobile, di una tv, di tre depositi di petrolio e undici stazioni di servizio, di un megaparcheggio e di un hotel. La Sheriff possiede anche un altro hotel a 5 stelle, che però si chiama Russia, con dentro un casinò che si chiama Sheriff.


 

Camminare per Tiraspol e non vedere da qualche parte la scritta Sheriff è quasi impossibile; stessa cosa per il logo, una stella da sceriffo dal design tutt’altro che elaborato che - a chi ha l’età giusta - può ricordare l’epoca dei Commodore64, quando si vagava, armati di joystick, per il vecchio e spoglio West a 8-bit.


 

Se vai su Google Maps, ti posizioni su Tiraspol e digiti Sheriff, compaiono talmente tanti puntini rossi da ingoiare la città, eppure fino al 1993 la Sheriff nemmeno esisteva. La fondarono, nel caos che fece seguito al collasso dell’Unione Sovietica, due ex agenti del KGB (i servizi segreti dell’URSS), Viktor Gušan e Il'ja Kazmaly. Per non farsi mancare niente i dirigenti della Sheriff, nel 2000, hanno fondato anche un partito che è già stato accusato di qualsiasi cosa, dai brogli elettorali al riciclaggio di denaro sporco. Non si chiama però Sheriff, ma Obnovlenie, che vuole dire “rinnovamento”: la prima volta, nel piccolo - e non riconosciuto - Parlamento locale, sono entrati con 7 deputati, vent’anni dopo, nel dicembre scorso, ne hanno piazzati 29 su 33 eletti.


 


Una foto del Parlamento di Tiraspol, con una statua di Lenin davanti (Foto Loop Images/Universal Images Group via Getty Images).


 

Cormac McCarthy, che di sceriffi se ne intende, in “Non è un Paese per vecchi” scriveva: “Nella costituzione dello Stato non sono indicati i requisiti per fare lo sceriffo. Neanche uno. E non esiste una legislazione della contea. Immaginatevi un mestiere dove uno ha pressappoco la stessa autorità di Dio e non deve possedere requisiti particolari e ha il compito di far rispettare leggi inesistenti, e ditemi se non vi sembra strano”. Parlava del Texas, eppure funziona benissimo anche per Tiraspol e dintorni.


 

Sheriff è anche la trasposizione nel mondo reale di molta letteratura distopica in cui una sola azienda prende il controllo di ogni attività o quasi, vendendoti tutto, dalle mutande alle vacanze, compresa l’anima. Succede anche in WALL-E, il cartone animato della Pixar con protagonista un robot dal cuore tenero in cui gli umani, ingrassati oltremisura e regrediti dal progresso a uno stato semi-infantile, vivono ormai immersi nei prodotti di una sola società, la Buy ‘n’ Large. Una cosa simile è successa davvero negli Stati Uniti, dove alcuni dipendenti della catena Walmart venivano pagati con buoni spendibili solo nei negozi Walmart.


 

Non si chiamano Sheriff, ma ne fanno parte, anche una casa editrice, una distilleria, due panifici industriali, una compagnia elettrica, una stamperia, un centro medico, un’azienda tessile, un’agenzia di pubblicità, un fornitore di servizi bancari, una ditta di succhi di frutta, una sorgente d’acqua e il più grande concessionario di automobili del Paese. Solo che il Paese non esiste, o meglio, la sua esistenza non viene riconosciuta da nessun altro stato se non da altri tre Stati separatisti che a loro volta non sono riconosciuti da (quasi) nessuno: l’Abkhazia, l’Ossezia del Sud e dalla Repubblica dell'Artsakh.


 

Il nome ufficiale della Transinistria, cioè Pridnestrovie (letteralmente “presso il fiume Dnestr”), sembra uno di quelli inventati per ambientare una buona storia dal sapore di Europa dell’est, come l’Absurdistan del romanzo di Gary Shteyngart, la Molvania, parodia delle guide di viaggio che spopolò all’inizio degli anni Duemila (“Molvania: una terra mai raggiunta dai dentisti, culla del pertosse, un luogo in cui gli scenari naturali, le grandiose architetture neoclassiche e un amore secolare per la cultura più raffinata, bisogna riconoscerlo, scarseggiano…”). O la Krakozhia di “The Terminal”, il film di Steven Spielberg in cui uno spaesato Tom Hanks si ritrova a vivere all’aeroporto JFK di New York perché a casa è scoppiata la guerra civile e il suo passaporto nel frattempo è diventato carta straccia.


 

Il passaporto degli abitanti della Repubblica moldava di Pridnestrovie, più nota a Occidente come Transnistria, oggi vale quanto quello della Krakozhia nel film. Poco di più vale il loro denaro, il rublo transnistriano, che si può spendere e cambiare solo lì (quasi 20 rubli per un euro), con un’ulteriore particolarità, le nuove banconote sono più simili alle fiche dei casinò: il rublo è rotondo, i tre rubli quadrati, i 5 rubli pentagonali. Pagare con quella che - a guardare distrattamente la cartina della Repubblica di Moldavia - dovrebbe essere la moneta locale, il leu moldavo, non è possibile.


 

I giocatori dello Sheriff, però, non si fanno pagare in rubli transnistriani. Arrivano da mezzo mondo: brasiliani con nomi esotici, sloveni, slovacchi, maliani, peruviani, bosniaci, greci. C’è anche qualcuno arriva dal terzo mondo calcistico (Lussemburgo) o politico, a volte entrambi: Malawi, Guinea, Trinidad. Una multinazionale sportiva dentro a un corpo monopolista o con la speranza - tutt’altro che velata - di diventarlo. Non è una novità il come - basti pensare al Milan di Berlusconi e a tutto quel che gli girava intorno (Mediaset, Mondadori, Il Giornale, la Standa, Edilnord, Mediolanum…) - lo è il dove, in un pezzo cristallizzato di Unione Sovietica ritrovatosi in Moldavia senza mai accettarlo, fino ad arrivare alla guerra.


 

Il giorno dell’indipendenza della Transnistria è il 2 settembre 1990. Meno di due anni dopo, nel marzo del ’92 scoppiò una guerra: da una parte i moldavi, dall’altra i soldati di Tiraspol, aiutati - non a caso - dai russi, che all’epoca componevano la maggior parte della popolazione in quell’area (ora sono il 30%), tra loro anche la famiglia di Nicolai Lilin, lo scrittore del bestseller di qualche tempo fa, Educazione siberiana. Il cessate il fuoco è del 21 luglio del 1992, da quel momento nasce un triplo confine: di qua la Moldavia, di là la Transnistria, in mezzo una terra di nessuno controllata dai soldati europei dell’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa).


 

E se in Moldavia oggi si può vedere l’arretratezza di un Paese che fatica a far ingranare l’economia, in Transnistria fai direttamente un salto indietro nel tempo: tutto è rimasto com’era per il semplice fatto che nessuno (a parte la Sheriff) aveva i soldi per cambiare qualcosa. Sono rimasti così i palazzoni governativi sovietici e le casette delle famiglie post-sovietiche, le statue di Lenin, i monumenti a generali e carri armati di altre epoche. Stessa cosa per la bandiera, che è ancora quella della Repubblica Socialista Sovietica di Moldavia: falce e martello, la stella bordata d’oro e una banda verde orizzontale in mezzo al rosso URSS. E, tanto per far arrabbiare un altro po’ i moldavi, recentemente è stata aggiunta un’altra bandiera ufficiale simile a quella russa, sebbene con proporzioni leggermente diverse tra i colori.


 

Pure le vie sono rimaste ferme al passato: c’è via Lenin, il parco Kirov, via Marx, via Engels. Altrove si sono affrettati a cambiare nomi e targhe di un passato scomodo e ingombrante, solo che a Tiraspol non sembra passato affatto. I più vecchi hanno ancora nostalgia dell’URSS, i più giovani, con stipendi mensili da cento euro o poco più, hanno altro a cui pensare, andarsene, ad esempio. Ma ai dirigenti della Sheriff interessa poco, perché loro hanno un'intera galassia industriale da portare avanti. Un mostro tentacolare che al suo interno ha anche il calcio.


 

Quando nel 1992 la UEFA ribattezzò Champions League la vecchia Coppa dei Campioni, la Transnistria era ancora in mezzo alla sua guerra d’indipendenza e non esistevano né la Sheriff, né lo Sheriff Fc, cioè, l'avrete capito, la squadra dello Sheriff. Il campionato moldavo era alla sua prima edizione, vinta dallo Zimbru Chisinau, storica formazione locale, l’unica dell’ex Repubblica socialista moldava ad aver giocato nella Vysšaja liga, la Serie A sovietica. Dietro allo Zimbru arrivò una squadra di Tiraspol poi scomparsa, il Tiligul.


 


L'ingresso dello "Sheriff" Sports Complex, lo stadio dello Sheriff (foto di Matthias Schumann/Getty Images). 


 

Lo Sheriff prima dello Sheriff si chiamava invece Tiras Tiraspol: fondato nell’estate del 1996 ed iscritto alla Divizia B (la terza serie moldava), si fece prima sponsorizzare e poi ingoiare dalla Sheriff, che gli cambiò nome. In due anni la squadra era già competitiva ai massimi livelli, arrivando quarta e vincendo la Coppa nazionale nel modo migliore, nello Stadio della Repubblica di Chisinau, la capitale moldava indigesta agli indipendentisti, contro una squadra di Chisinau (il Constructorul), pareggiando nel recupero il gol di svantaggio e poi segnando il definitivo 2-1 nei tempi supplementari.


 

Nel 2001 arriva il primo di dieci titoli consecutivi. In tutto, ad oggi, sono 19, con dieci coppe nazionali, sette Supercoppe e quattro partecipazioni ai gironi di Europa League. La squadra - i cui colori sociali sono il giallo e il nero, con la stella da sceriffo bene in vista - non ha mai raggiunto la fase ad eliminazione diretta, ma si è tolta qualche soddisfazione, giocando (e perdendo di misura) con il Tottenham, pareggiando con la Steaua Bucarest, l’AZ Alkmaar e l’Fc Copenaghen e sconfiggendo squadre con un blasone nettamente superiore, come la Dinamo Kiev, il Twente e la Lokomotiv Mosca.


 

Lo Sheriff ha portato anche a casa per due volte un trofeo che ormai (dal 2012) non esiste più, la Coppa dei Campioni della CSI, torneo che riuniva le vincitrici dei campionati delle ex repubbliche sovietiche. Preso inizialmente molto sul serio da tutti, negli anni Novanta fu di proprietà esclusiva delle grandi squadre russe e ucraine (le prime dieci edizioni sono state vinte solamente da Spartak Mosca e Dinamo Kiev), che col tempo iniziarono a snobbare la competizione. Lì s’infilò lo Sheriff, campione nel 2003 contro lo Skonto Riga e poi nel 2009 contro i kazaki dell’Aktobe.


 

Quasi imbattibili in patria, temibili nell’Est Europa, allo Sheriff non restava che puntare al bersaglio grosso, la qualificazione in Champions, negata due volte agli spareggi, nel 2010 e nel 2011, dall’Olympiakos e dal Basilea. Nella corsa a uno dei 32 posti del più importante torneo continentale, le hanno provate tutte, compreso un allenatore italiano, l’ex giocatore di Cesena, Atalanta e Napoli, Roberto Bordin, oggi CT della nazionale moldava. Sotto la sua guida lo Sheriff vince due campionati e una coppa nazionale, ma l’Europa che conta resta lontana. La svolta arriva con l’ingaggio - un anno fa - di un ucraino, Yury Vernydub, che porta lo Sheriff a vincere il campionato con 99 punti, sedici di vantaggio sulla seconda. E fin qui niente di strano. Lo Sheriff è abituato, in patria, a lasciare gli avversari a distanze siderali. Anche quando il 13 luglio scorso, nei primi due turni preliminari della Champions League, la squadra si sbarazza facilmente degli albanesi del Teuta e degli armeni dell’Alashkert è sembrato semplicemente di assistere alla solita storia: si strapazzano i più deboli, poi al primo scoglio più duro, se va bene al secondo, ci si ferma.


 

Il vento è iniziato a cambiare al turno successivo, quando incontra la Stella Rossa. Lo Sheriff regge l’urto, pareggiando 1-1 al Marakàna di Belgrado. In gol va il suo giocatore più rappresentativo, Frank Castañeda, un colombiano che si era fatto notare nell’Orsomarso, un club delle serie inferiori fondato da un emigrato italiano il cui padre era originario di Orsomarso, comune in provincia di Cosenza. Castañeda lo scorso anno aveva segnato 33 gol in 43 partite. Il suo primo della nuova stagione si rivelerà fondamentale quando - al ritorno - un altro colombiano, il gigantesco Danilo Arboleda, mette dentro di testa l’unica rete dell’incontro su un pallone telecomandato partito proprio dai piedi di Castañeda. La folta colonia sudamericana comprende anche il neoacquisto Bruno, l’ex Lille e Botafogo Fernando, il cavallo di ritorno Henrique Luvannor, brasiliano ormai naturalizzato moldavo e Cristiano da Silva, una carriera che comprende squadre che sembrano uscite dalla penna di Gabriel García Márquez: Vitória das Tabocas, Bonsucceso, Clube de Regatas, Criciuma, Volta Redonda.


 





 

Superata la Stella Rossa, l’ultimo ostacolo sembra davvero troppo alto per lo Sheriff: è la Dinamo Zagabria, habitué della Champions, per tre volte nella fase a gruppi nelle ultime cinque edizioni. Nella gara d’andata i gol dello Sheriff non sono più sudamericani. Anzi, Luvannor dopo sei minuti se ne divora uno che sembrava già fatto, colpendo il palo. Ne arriveranno ben tre (a zero): uno è un tiro al volo di Dimitris Kolovos, meteora del calcio greco caduta a Tiraspol che Claudio Ranieri convocò nella sua sciagurata esperienza da CT; gli altri due li segna la nuova stella della squadra, il maliano Adama Traoré, che prima (servito da un filtrante perfetto di Cristiano da Silva) fulmina con un diagonale il portiere, poi partendo da più lontano semina tutti e gli mette il pallone in mezzo alle gambe. Traoré, che ha già giocato 35 partite con la sua Nazionale (segnando sei gol), si era fatto notare tra i congolesi del Tout Puissant Mazembe (altro nome, l’Onnipotente Mazembe, che starebbe bene in una biblioteca da realismo magico), la prima squadra né europea né sudamericana a giocare una finale del Mondiale per Club (persa contro l’Inter nel 2010).


 

Con un vantaggio del genere, la gara di ritorno a Zagabria poteva essere pura formalità o dramma, in caso di rimonta della Dinamo. Lo Sheriff, invece, ha fatto quel che doveva, portando a casa lo 0-0 e il suo nome - che già tappezza tutta Tiraspol e mezza Transnistria - dentro il tabellone principale della Champions League.


 

Tra colpi bassi, debiti di gioco, bluff, pistoleri veri e presunti, cercatori d’oro, riserve indiane come l’Atalanta e superleghe minacciate e mai partite, l’entrata in scena dello Sheriff, con la stella a cinque punte sul petto, la sua storia ambigua e il doppio scalpo di Stella Rossa e Dinamo Zagabria, sarà stato anche un colpo di scena, eppure s’incastra perfettamente con l’aria da saloon e resa dei conti in stile western che si respira quest'anno in Champions League.


 

 

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