Una volta completato con successo l’atterraggio del suo quinto e ultimo salto, probabilmente, Shaun White già lo sapeva. E prima ancora che la sua corsa si arrestasse si è strappato di dosso la maschera, incanalando in un urlo tutta la rabbia, l’adrenalina e la gioia che gli erano rimaste in corpo.
Un infortunio grave, oltre che esteticamente inquietante, che a caldo lo scombussolò a tal punto da fargli prendere in considerazione ogni possibile ipotesi — anche quella più sconvolgente.
«Non volevo più sentirmi così. È stato orribile, non mi ero mai infortunato in questo modo. Quando cadi di solito ti limiti a qualche graffio, a una storta, non arrivi mai a chiederti che diavolo sia successo mentre ti guardi allo specchio, o se tornerai ad avere l’aspetto di prima», dichiarò a riguardo.
Nell’ordine: la prima run di Scotty James da 92 punti, la prima di Shaun White da 94.25, la seconda di Hirano Ayumu da 95.25, la caduta di White nella sua seconda run, e la run da 97.25 che gli è valsa la vittoria.
Difficile immaginarselo uscire di scena da perdente.
Passata la delusione di Sochi 2014, White ha quindi canalizzato ogni sua energia su PyeongChang 2018: ha chiuso allo slopestyle, ha preso parte a una manciata di gare di Coppa del Mondo, ed è andato a meritarsi la partecipazione Olimpica al Toyota US Gran Prix lo scorso 13 gennaio. Il resto è storia.
«Verrebbe da pensare che quella sconfitta potesse essere la fine di tutto, invece ne è stato l’inizio. Invece di lasciare che mi distruggesse, mi sono chiesto: cosa voglio fare adesso? Ed è così che è iniziato tutto».
Alla conferenza stampa post-gara le domande sulle accuse passate non hanno tardato ad arrivare. E il meccanismo di protezione dell’ufficio stampa si è mosso in maniera quasi istantanea, non senza evitare ulteriori polemiche.