Per molte squadre è ormai tempo di bilanci, di conti fatti e posizioni consolidate: è anche l’occasione per fare esperimenti in vista della prossima stagione e per tirare le somme su quella appena passata. A Firenze questo processo è sempre più tortuoso che altrove. Nonostante tutti i segnali positivi offerti dal campo, nonostante il contratto biennale con opzione per il terzo, Paulo Sousa è ancora costretto – e lo è da diverse settimane – a rispondere a domande sul proprio futuro. Né il tecnico portoghese né la proprietà della Fiorentina hanno fornito un messaggio preciso sull’argomento, ma è evidente che tutte le parti in causa abbiano interesse a proseguire il rapporto, come ha lasciato intuire Andrea Della Valle: «ad Europa acquisita, parleremo col tecnico, decideremo insieme il futuro e valuteremo che Fiorentina costruire. Mi auguro di ripartire ancora con Paulo Sousa». Il tecnico portoghese però è stato poco convincente nello smentire le voci sui contatti con lo Zenit.
Non è chiaro quanto questa incertezza abbia pesato sul calo di risultati della Fiorentina, ma probabilmente poco, dal momento che la carestia si trascina ormai da gennaio. È chiaro invece che quel requisito “Europa acquisita” sia ormai in cassaforte – a tre giornate dalla fine la Fiorentina ha 6 punti sul Milan e 7 sul Sassuolo – e che dunque il tempo dei bilanci per Sousa sia finalmente arrivato. Non sarà tanto il probabile quinto posto finale a destabilizzare l’ambiente (dopo i tre quarti posti consecutivi ottenuti da Montella), quanto la serie di insuccessi, spesso sorprendenti, infilata durante il girone di ritorno. Per rendere l’idea, a fronte di 28 punti ottenuti nelle prime tredici partite del campionato, da gennaio in poi contro le stesse avversarie la Fiorentina ne ha raccolti solo 18. Contro le ultime sette squadre del campionato la Fiorentina aveva ottenuto 21 punti nel girone di andata e in questo solamente 7 (ma deve ancora giocare contro il Palermo).
Paulo Sousa ha giustificato la flessione sul piano della tenuta mentale («ho i dati che dimostrano che abbiamo corso di più nella seconda metà di stagione, tutti hanno fatto più accelerazioni. Abbiamo più tonicità nel muscolo e meno massa grassa, abbiamo invertito il trend. L’intensità mentale è diversa, non lo stato fisico») e sul piano delle soluzioni tattiche («i nostri avversari ci conoscono sempre meglio, tocca a noi indovinare nuove dinamiche. Evidentemente serve una chiave che ancora non ho trovato»), ma in determinate occasioni ha dovuto ammettere la superiorità atletica degli avversari, come dopo le sconfitte a Empoli e a Udine.
Quando l’allenatore portoghese si troverà a dover decidere su quale aspetto della preparazione lavorare, farebbe bene a evitare di rivedere la partita persa in casa contro la Juventus. Certamente è stato un risultato più pesante in termini di impatto emotivo sull’ambiente, ma la prestazione non ha in nessun modo giustificato il calo di risultati precedente. È stata una partita che ha detto più delle reali potenzialità di questa squadra che dei suoi limiti, ampiamente messi in mostra contro squadre di minor blasone.
Sousa si è affidato al consueto 3-2-4-1, provando a plasmarlo sul 3-5-2 degli avversari. Dei due mediani, Borja Valero occupava una posizione più vicina al triangolo difensivo, mentre Badelj agiva qualche passo più avanti, sempre nella zona di Pogba. Anche il primo pressing era plasmato sul rombo di impostazione della Juventus: Tello saliva in alto ad occupare una zona intermedia tra Rugani ed Evra, mentre a sinistra Marcos Alonso rimaneva basso e nella sua zona si allargava Bernardeschi, che lasciava ad Ilicic il centro del campo. Così la Fiorentina ristabiliva il “4 contro 4” sul rombo difensivo della Juventus (che aveva Lemina come vertice alto) e riusciva agilmente a scalare sulle fasce nel momento in cui il pallone fosse passato a Evra o Lichtsteiner.
Il triangolo offensivo diventa facilmente un rombo (Tello e Rugani sono fuori inquadratura) grazie all’elasticità dei suoi interpreti.
Paulo Sousa insiste sempre sulla necessità di controllare il gioco, di essere propositivi conservando il possesso, di difendere in avanti e recuperare il pallone in zone pericolose del campo. Tutti i suoi principi sono stati applicati con successo, come anche i dati dimostrano. La Fiorentina ha registrato un baricentro medio alto (55.2 metri) rispetto a quello molto basso della Juventus (40.3 metri), e contemporaneamente ha anche recuperato palla in zone avanzate del campo (in media a 40.5 metri dalla propria porta) a differenza della Juventus, che registra un dato molto basso, 28.3 metri. Al termine della partita la Fiorentina ha recuperato 18 palloni nella metà campo avversaria, la Juventus solamente 4. Il possesso palla è stato pienamente in controllo della Fiorentina, che ha concluso con il 62.3% complessivo e un incredibile 74.0% nel secondo tempo, ma non è stato un possesso sterile. La Fiorentina ha nettamente superato la Juventus per occasioni create (opportunità di andare al tiro attraverso un passaggio), costruendone 13 contro le 4 dei bianconeri.
Ricapitolando, la Fiorentina ha conservato agilmente il controllo del pallone contro la miglior difesa del campionato, oltre che una delle migliori d’Europa (tre gol subiti nell’intero girone di ritorno!), è riuscita a ricavarne occasioni da gol e ad affacciarsi in area di rigore avversaria (14 giocate utili in area, contro le 10 della Juventus), è riuscita a tirare in porta, 7 volte per la precisione, e non ha avuto difficoltà nel recuperare la palla anche in zone avanzate del campo. La circolazione della palla ha mostrato una Fiorentina sicura ed estremamente concentrata, con tutti i calciatori attenti a farsi trovare con il corpo nella posizione migliore per la ricezione, e poi a fornire una via di fuga, spesso sul lato debole grazie all’incredibile facilità di corsa di Marcos Alonso. È difficile imputare alla squadra di Sousa qualcosa che vada oltre “aver subito il gol dell’1-2 trenta secondi dopo aver segnato il gol del pareggio”. Probabilmente ha ragione l’allenatore portoghese quando insiste sull’importanza della tenuta mentale.
Si parlava di recuperare palla in zone avanzate del campo. Il gol del pareggio nasce soprattutto da un errore di Bonucci, che rifiuta diverse linee di passaggio pulite, ma anche dall’atteggiamento positivo di Zárate e compagni. Dall’argentino la palla arriverà a Kalinic che troverà un gran gol.
L’unico aspetto del gioco che la Fiorentina ha gestito con qualche inquietudine è risultato essere la posizione di Pogba e Dybala. Il francese, soprattutto nel primo tempo, si è preso anche responsabilità da regista in assenza di Marchisio, abbassandosi al fianco di Lemina e trascinando Badelj fuori dalla sua comfort zone, mentre l’argentino ha giocato una partita brillantissima e probabilmente non valorizzata dai numeri grezzi. Non è chiaro come ma su ogni singolo pallone recuperato dalla Juve in qualunque zona del campo si avventava Dybala, che in mezzo secondo con un’impercettibile torsione del corpo era in grado di puntare la porta della Fiorentina e avviare l’azione offensiva. Pogba e Dybala sono anche i giocatori della Juventus con più dribbling riusciti, 8 per il francese, 7 per l’argentino. Il dribbling è un’arma a cui la Fiorentina ricorre pochissimo (a fine partita, 10 dribbling riusciti per i viola, 21 per i bianconeri) e che in qualche modo è simbolica della capacità dei fenomeni di risolvere partite bloccate come quella di domenica.
Pogba fa collassare gli avversari su di sé, Dybala trova lo spiraglio perfetto, si gira e punta la difesa. L’intesa tra i due si perfeziona partita dopo partita.
Grazie a Dybala la Juventus può cavarsi fuori da qualunque situazione. Qui riceve e nel tempo di due passi si è già messo alle spalle sette giocatori della Fiorentina.
Non è semplice per la Fiorentina raccogliere l’ennesima delusione e convertirla in energia positiva per la prossima stagione. È un trucco che in qualche modo aveva già funzionato per Paulo Sousa, che aveva recuperato giocatori ai margini o storicamente incostanti come Ilicic, Badelj, Marcos Alonso, Kalinic ed era riuscito a trovarci le motivazioni necessarie per quel grande inizio di stagione. Potrebbe funzionare ancora, perché le indicazioni positive sono tante, e sotto diversi aspetti questa Fiorentina ha persino delle somiglianze con la Juventus. Ad esempio nella volontà di tenere sempre il pallone a terra (solamente 11 duelli aerei nei novanta minuti, 7 vinti dalla Fiorentina, 4 dalla Juventus), ma anche nell’idea di orientare il possesso alla ricerca di spazi da attaccare, di cui è manifesto il gol del vantaggio di Mandzukic, preceduto da circa due minuti di passaggi da una parte all’altra del campo.
La partita tra Juventus e Fiorentina ha mostrato due interpreti di altissimo livello, una incredibilmente determinata nel reagire alle circostanze sfavorevoli (le assenze di Chiellini e Marchisio, il gol del pareggio quasi regalato, il rigore subito al novantesimo), l’altra ancora a metà del suo percorso, e quindi ancora troppo fragile. Lo sa perfettamente Paulo Sousa, che ha posto l’accento proprio su questo punto: «la mia intenzione è creare una cultura vincente, con uno stile di gioco propositivo, con possesso palla e migliorando il giocatore dentro un contesto di gioco. Questo lo stiamo facendo e ci rende molto felici». Il portoghese ha poi anche denunciato il principale difetto della sua squadra, la continuità: «sappiamo che durante una stagione è difficile essere sempre così, ma tutti dobbiamo voler arrivare a questo livello di gioco. Questo ti consente di creare una cultura del lavoro che poi può portarti a vincere anche due, tre campionati di fila». La strada è lunga, ma è quella giusta per diventare vincenti: non proprio come la Juventus, ma almeno in grado di raggiungere finalmente il podio della Serie A.