A Roma le Asl dividono la città in maniera arbitraria. Non sai mai in quale capiterai dopo un trasloco o finché non ne hai davvero bisogno. Una volta avevano lettere a distinguerle, oggi numeri. C’è la Asl 1, la 2 e così via fino a 6; sei enti per una provincia che si perde nel tempo e nello spazio. Ovviamente un disegno c’è, immagino ci sia, ma tutto sembra distorto e casuale, come spesso accade con la burocrazia italiana. Non è solo Roma: tutta Italia è divisa in Aziende sanitarie locali, più o meno estese sul territorio. Se nel 1992 erano 659, oggi sono 99 e non saprei dire se questo è un bene o un male. Negli ultimi due anni hanno funzionato da baluardo tra sanità e cittadino, mano visibile di uno stato emergenziale pandemico. Lo stanno facendo anche in questo momento, come possono, in una situazione di caos sanitario e burocratico difficile da dirimere.
Ma non sono certo qui per parlare di sanità, farei solo un gran pasticcio. Sono qui perché le Asl (o come si chiamano dalle vostre parti) stanno svolgendo il ruolo di ultimo baluardo della salute e del calendario della Serie A. Scavalcando la Lega Calcio, negli ultimi due campionati hanno fermato più di una squadra sotto la loro giurisdizione, con modi e motivi rispettabili – siamo pur sempre dentro una pandemia – ma anche difficili da interpretare. In un turbinio di regolamenti, postille e tamponi, alcune squadre sono state fermate, mentre altre lasciate libere di circolare. Le Asl, insomma, come interpreti attivi della Serie A e se sono interpreti attivi non dovremo considerarle come tali? Se il calcio dà tre punti per la vittoria e uno per il pareggio, come dovrebbero essere valutate le Asl? Così, più per tener traccia di quello che è successo negli ultimi due campionati che non per attaccare qualcuno – anzi qui siamo tutti sostenitori della sanità pubblica e del suo essere davanti a tutto – ho provato a mettere in classifica le Asl e vedere come si sono comportate, sportivamente parlando (la famosa Serie Asl).