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Gabriele Anello
Sergio Volpi, regista puro
11 nov 2016
11 nov 2016
Uno degli ultimi numeri 4 del calcio italiano.
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Gabriele Anello
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In un’epoca di moduli fluidi e giocatori universali, la maggior parte dei giocatori è costretta a reinventare il proprio ruolo nel corso della carriera. “Nascere tondi e morire quadrati” non è solo possibile, ma diventa quasi un’esigenza per sopravvivere in un calcio che cambia alla velocità della luce: adapt or die, diceva Brad Pitt/Billy Beane in

. Uno dei ruoli ad aver subito l’evoluzione più traumatica, e che quindi è particolarmente esemplare, è quello del regista.

 

A cambiare le carte in tavola è stato soprattutto Andrea Pirlo, che dopo 22 anni da trequartista è stato inserito, prima da Mazzone e poi da Ancelotti, in cabina di regia, affermandosi come forse il massimo interprete del ruolo, senz’altro come il più originale. Ma ci sono tanti esempi italiani di “10” riconvertiti alla posizione da regista: Davide Di Gennaro, Maresca e Verratti, per citare i principali. Spesso giocatori con una forte sproporzione fra tecnica e dinamismo, inutili quindi in una zona di campo in cui c’è sempre più bisogno di incursori ma buoni qualche metro indietro, dove possono aiutare la difesa nella prima costruzione.

 

Negli anni ’90 esistevano ancora i playmaker nati tali, che si differenziavano dal trequartista per un una visione del calcio magari meno geniale ma più geometrica. Nel nostro immaginario, uno degli interpreti puri del ruolo, nato e morto organizzando la manovra delle proprie squadre, è stato Sergio Volpi. Un giocatore che viene ricordato forse più per la vicenda della sua figurina nell’album dei Calciatori ’97-’98, ma che avrebbe meritato più attenzione, sia per il suo spessore calcistico che per un modo speciale, nella sua classicità, di interpretare il ruolo.

 

Quando sono riuscito ad avere un recapito a cui contattarlo per parlare della sua carriera, mi avevano avvertito: persona di poche parole, non ti concederà troppo. Al telefono Volpi lascia la stessa impressione che dava in campo: poche frivolezze e tanto realismo.

 



Sergio Volpi è nato in provincia di Brescia (Orzinuovi, lo stesso paese di Cesare Prandelli) e ha poi militato nelle giovanili bresciane, con cui ha esordito da professionista. Negli anni ’90 non esistevano i numeri fissi e una sola cifra identificava anche ciò che eri. In Europa il ‘4’ definisce il posto nel mondo del regista come in Sudamerica lo definisce il ‘5’.

 

Alle “Rondinelle” c’è un incrocio che idealmente si ripeterà nella carriera di Volpi: per un anno, il suo compagno di giovanili al Brescia è Andrea Pirlo, di cinque anni più giovane. È strano pensare come due dei rari interpreti di un ruolo così complesso, uno adattato e l’altro nato per organizzare il gioco davanti la difesa, si siano incrociati al Rigamonti, in una zona teoricamente così periferica del calcio europeo. In anni dove a Brescia sono passati anche Roberto Baggio e Pep Guardiola. Quando gli ho chiesto dei tanti registi adattati d’oggi, e di cosa abbia portato il suo ruolo a evolversi così rispetto ai suoi inizi, Volpi è stato schietto: «Non è cambiato solo il ruolo del regista, è cambiato anche il calcio in generale: questo sport è diventato molto più fisico e quindi magari si lavora meno sulla tecnica».

 


Geometrie, tiri dalla distanza, un ottimo piede sui piazzati e sventagliate di 40 metri senza guardare. Oltre che una leadership silenziosa sulla squadra.


 

Tornato da un anno di prestito alla Carrarese, a Brescia non sembra esserci spazio per Volpi. Gioca un anno in B, ma un’altra piazza prestigiosa della cadetteria lo reclama: con il Bari, Volpi raggiunge la Serie A e inizia un giro di squadre lungo tutta la penisola. Il suo primo anno nella massima serie è discreto (32 presenze, 4 reti) e gli permette di farsi notare da quello che sarà l’allenatore della sua vita: Walter Alfredo Novellino. Il Venezia è appena risalito in A dopo 32 anni e la gestione Zamparini ha bisogno di un condottiero in panchina e di un generale in campo. Con

, si forma uno dei sodalizi meno celebrati del calcio italiano.

 

Volpi e Novellino si ritroveranno in altre tre piazze durante le rispettive carriere: «C’è stato un rapporto che va al di là del campo: l’ho conosciuto a Venezia. I primi mesi con lui sono stati difficili, ma poi ci siamo trovati e da lì è nato tutto. Ovunque lui andasse, mi chiedeva se avessi la voglia di seguirlo in quell’avventura, perché mi riteneva un giocatore fondamentale per le sue squadre». Nelle otto stagioni in cui Sergio Volpi è stato allenato da Novellino non è mai sceso sotto le 29 presenze stagionali. Per Novellino Volpi occupa uno dei riferimenti eterni nel suo calcio. Quando spiega la sua idea di gioco Novellino fa un trattato storico degli anni ’90 italiani: «Il 4-4-2. Davanti una punta di peso e una più di qualità (Recoba-Maniero al Venezia, Flachi-Bazzani, Bonazzoli-Quagliarella alla Samp tanto per fare un esempio). In mezzo al campo un regista dai piedi buoni. Dietro difesa alta e in linea». Volpi è il tipo di regista bravo a dare i tempi di gioco, e ad avere un gioco che alterna con intelligenza soluzioni corte e lunghe.

 

È il Venezia di Recoba in prestito per sei mesi, di Maniero, di Iachini (erede naturale di Novellino). Del Penzo che vede la sua squadra ultima a dicembre e vicina all’Europa a maggio ’99, dopo aver battuto Inter, Roma e Fiorentina. Ma sulla Laguna le cose non sono le stesse nell’annata successiva: Novellino se n’è andato e al suo posto c’è Spalletti, ma il tecnico di Certaldo non è ancora quello di Udine e Roma, tanto da venir alternato a Materazzi e Oddo. E il Venezia – senza Recoba, tornato all’Inter – retrocede con largo anticipo.

 

Ma se proprio B dev’essere, tanto vale sentire Novellino: così Volpi passa al Piacenza, appena sceso in cadetteria. Il purgatorio dura appena un anno e gli emiliani risalgono immediatamente in A. Non è più il Piacenza Tutto Italiano (ci sono anche Amauri e Matuzalem), ma con Volpi in campo e Dario Hubner davanti, i biancorossi centrano la salvezza all’ultima giornata, in uno spareggio da dentro o fuori contro l’Hellas Verona di Malesani. Tutti ricordano il 5 maggio 2002 nella lotta Scudetto o i due gol di “Tatanka” (che sarà

con David Trezeguet), ma la rete d’apertura di un glorioso 3-0, su calcio piazzato, è di Sergio Volpi.

 



Visto che la sua carriera racconta di tante squadre e di un buon ricordo lasciato più o meno ovunque, ho chiesto a Volpi se ci fosse stato un ambiente – Brescia a parte – che gli ha lasciato qualcosa più di altri: «Ho ottimi ricordi a Piacenza, anche se devo dire che in tutte le città in cui sono stato mi sono trovato bene. Se dovessi sceglierne uno, sicuramente Genova, dove ho giocato sei anni».

 

Quello che in apparenza sembra l’ennesimo trasferimento per un’altra impresa insieme al suo allenatore, in realtà diventa un passaggio fondamentale della carriera di Volpi. La Samp è in B e nel 2001-02 ha sfiorato persino lo spettro della C e del fallimento. Sotto i Garrone e con Marotta come dirigente, Novellino pretende l’arrivo del centrocampista a Genova: entrambi sanno come si governano le acque difficili della B.

 

I tre anni di A hanno fatto molto bene a Volpi, ormai giocatore di categoria superiore. Non è un caso che nell’anno in B con la Samp registri il maggior numero di reti in una stagione (8): i blucerchiati centrano la risalita in A dopo quattro anni con tre gare d’anticipo. Il 4-4-2 di Novellino e la regia di Volpi sono stati ancora decisivi. Qualcuno si aspetterebbe che Volpi possa di nuovo lasciare dopo un biennio, come già successo a Bari, Venezia e Piacenza. Ma Genova sembra avere un’attrattiva diversa sul centrocampista: al ritorno in A, la Samp arriva ottava a un passo dall’Europa. E soprattutto Volpi diventa un idolo assoluto della Gradinata Sud, con la fascia di capitano al braccio, raggiungendo l’apice delle sue prestazioni.

 

Nonostante sia stato a lungo un possibile candidato all’azzurro, in realtà Sergio Volpi ha giocato appena due partite con l’Italia: due amichevoli a distanza di sei mesi. La prima a Palermo contro la Repubblica Ceca sotto Trapattoni; la seconda a Reykjavik contro l’Islanda, nella prima di Lippi da ct azzurro.
Un trattamento che condivide con un altro interprete puro del ruolo contemporaneo a Volpi: Eugenio Corini, che in quegli anni, e poco dopo,

tra Verona e Palermo. Entrambi hanno giocato pochissimo in azzurro. Anzi, Corini ha avuto un lungo rapporto con l’U-21, ma non ha mai esordito con la Nazionale maggiore (seppur sia stato convocato). Ed è un po’ strano, pensando che l’Italia ha vinto un Mondiale senza una vera riserva di Pirlo in Germania (all’epoca De Rossi era ancora un giovane incontrista dal grande futuro).

 

Al riguardo, però, Volpi non ha nessun rimpianto. Anzi, mi racconta che «già essere arrivato in Nazionale è tanto: quando davanti a te hai un giocatore della classe di Pirlo, che ritengo il più forte nel suo ruolo, non puoi aver rimpianti. C’era solo da guardarlo e cercare di imparare qualcosa».

 



La Samp sfiora la Champions, torna in Europa e vive un paio di stagioni anonime. Quando Novellino lascia Genova dopo cinque stagioni, il successore scelto dai Garrone è Walter Mazzarri, reduce da una stagione straordinaria a Reggio Calabria, dove ha centrato la salvezza nonostante 11 punti di penalizzazione.

 

Purtroppo per Volpi, il rapporto con Mazzarri non decollerà mai. Nonostante 38 presenze stagionali, in realtà la questione è di tipo tecnico. Come per i numeri 9 classici (guardate il caso Montella di quell’annata), il tecnico toscano non ama i registi puri, bensì dei playmaker che siano un po’ più generalisti: magari meno dotati dal punto di vista tecnico, ma fisicamente più presenti.

 

Lo si è visto a Napoli, dove Mazzari ha rimpiazzato Cigarini con Gokhan Inler, diventato un suo fedelissimo. Lo si è visto all’Inter, dove in quel ruolo si sono alternati Cambiasso, Kuzmanovic, Taider, M’Vila e Medel. Lo si è visto anche in queste prime uscite con il Watford, dove nel ruolo di pivot sono stati schierati Capoue e Guédioura (non proprio piedi finissimi).

 

In quel 2007-08, in rampa di lancio c’era Angelo Palombo, a lungo compagno nel 4-4-2 di Novellino. Con il passaggio al 3-5-2 e la scelta di due mezzali come Franceschini e Sammarco, c’è solo un posto come playmaker e Mazzarri preferisce il fosforo del 26enne Palombo alla tecnica e alla visione di gioco di Volpi. Una sorta di “selezione naturale” nel ruolo, piccola spia di quello che sta per succedere a livello europeo.

 

A fine stagione, e dopo sei anni, le strade si separano, con Volpi che saluta la Samp e riceve

all’ultima giornata sotto la Gradinata Sud. Un affetto che dura nel tempo, visto che

, con la maglia del Bologna, la sua nuova squadra, Volpi si prende un altro grande applauso nella gara di Genova.

 



La carriera di Volpi si chiude in tono minore. Dopo aver segnato in silenzio l’ennesimo gol importante della sua carriera, con il quale salva il Bologna all’ultima giornata, lascia la Serie A per riunirsi con Novellino. Stavolta a Reggio Calabria, dove la Reggina è piombata in B dopo sette stagioni nella massima serie.

 

Stavolta l’idillio dura poco: Novellino viene esonerato dopo poche giornate e Volpi decide di lasciare la Calabria per tornare in A con un prestito di sei mesi all’Atalanta. La chiusura è a Piacenza, tornando in un ambiente che gli aveva dato molto a inizio anni 2000:

nei titoli di coda, tra la retrocessione in Lega Pro e la vicenda del calcio-scommesse.

 



 

Nel luglio 2011 Volpi si ritira per intraprendere la carriera da allenatore nelle giovanili (prima a Piacenza, poi a Brescia). Ma l’istantanea finale della carriera di Volpi è un aneddoto che forse molti neanche ricordano.

 

Nel gennaio 2005, all’apice della sue potenzialità, Volpi viene avvicinato nel mercato invernale dal Real Madrid. È una storia che suona un po' grottesca, quindi vale la pena forse contestualizzarla. All’epoca, i “Blancos” hanno assunto Arrigo Sacchi come direttore tecnico, che consiglia Volpi per equilibrare dei Galacticos divertenti, ma senza riferimenti. Con Makélélé al Chelsea dal 2003, serve un metronomo di centrocampo in mezzo alle stelle. Dopo aver cercato Volpi, il Real Madrid “ripiegherà” su

, senza però ricavarne ciò di cui aveva davvero bisogno.

 

Nonostante non sia mai stato troppo esaltato nel corso della carriera, l’interessamento di una squadra del genere dimostra come la carriera di Volpi sia stata qualcosa in più del semplice girovagare in provincia, e che forse la sua dimensione tecnica sia stata in parte sottovalutata. Forse conta il fatto che lo stile di gioco di Volpi, in quegli anni, stava già diventando anacronistico. Pirlo davanti alla difesa del Milan rappresentava un'eccezione e poche squadre rinunciavano a un incontrista per inserire un costruttore di gioco davanti alla difesa.

 

In quei giorni, con la Samp in volo verso la Champions,

Volpi dall’andare a Madrid: «L’offerta è lusinghiera per noi e per il giocatore, ma lui è essenziale per la Samp e non è quindi cedibile». Lo stesso capitano blucerchiato

all’oscuro di tutto, ma felice di un’attenzione da un club così importante. Sarebbe possibile oggi che per la Sampdoria negare il trasferimento di un proprio giocatore al Real Madrid?

 

A distanza di un decennio gli ho chiesto come ha vissuto quel momento, quel possibile salto dalla provincia al più grande club al mondo. Lui forse era un po’ sorpreso che io mi ricordassi di questo fatto, ma non si è discostato dalla sua visione down-to-earth: «Sapevo di qualcosa, ma alla fine non si è fatto niente, probabilmente perché non c’era la possibilità o l’interesse del Real di concludere l’operazione. Ovviamente mi ha fatto molto piacere».

 


Punizione con le "tre dita" da 30 metri con Buffon immobile. Il modo di calciare di Volpi forse era molto più moderno di quanto ricordiamo.


 

È abbastanza impressionante immaginare Sergio Volpi, col numero 4, sul prato del Bernabeu, accanto a Zidane, Figo, Ronaldo e Beckham. Probabilmente il nostro ricordo ne sarebbe stato completamente sconvolto, sottraendolo dalla gloria minore e di nicchia a cui lo riconduciamo oggi, dandogli uno spessore diverso.

 

Sebbene il regista sia cambiato per conformazione e spirito tecnico-tattico (anche se

della vecchia scuola è ancora in giro), la carriera di Sergio Volpi è utile per capire come siamo arrivati ai giorni nostri e all’innovata interpretazione del playmaker. Arthur Bloch diceva che «la nostalgia è rendersi conto che le cose non erano insopportabili come sembravano allora».

 

 

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