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Sergio Oliveira è quello che serve alla Roma?
12 gen 2022
12 gen 2022
Il centrocampista portoghese è il secondo rinforzo di gennaio per la squadra giallorossa.
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Quante volte avrete visto una faccia come quella di Sergio Oliveira? Con la barba vagamente incolta, i capelli lunghi da surfista raccolti dietro la nuca e gli occhi dolci e maliziosi potrebbe essere il vostro amico belloccio che suonava la chitarra durante le occupazioni del liceo. Scommetto che tutti ne conoscete almeno uno che ha chiuso presto il suo rapporto disilluso con la musica per ripiegare su un lavoro da commesso di un negozio di cravatte in centro. Forse è qualcosa che ha che fare proprio con la faccia perché anche la carriera di Sergio Oliveira è sembrata seguire questa stessa traiettoria da film di formazione di Gabriele Muccino.


 

Scovato dal Porto a nove anni grazie all’intercessione di uno zio tifoso che lo aveva portato a fare un provino al vecchio Campo da Constituiçao (il secondo stadio del Porto, che lo ha utilizzato fino al 1952), Sergio Oliveira doveva essere una delle speranze del calcio portoghese una decina abbondante di anni fa. Membro della Nazionale portoghese fin dall’Under 16, arriverà in finale con le selezioni giovanili ben due volte: prima nel 2011 al Mondiale Under 20, perdendola ai supplementari contro il Brasile di Casemiro, Coutinho, Danilo e Oscar; poi nel 2015 agli Europei Under 21, questa volta perdendo ai rigori contro la Svezia, in una squadra che donerà diversi giocatori all’ossatura della Nazionale maggiore (come Bernardo Silva, Joao Cancelo e Raphael Guerreiro). Fa strano pensare oggi che con questi giocatori Sergio Oliveira ci abbia condiviso solo il calcio giovanile, rimanendo con i piedi incollati sul bordo nel momento del grande salto. Non so ricostruire cosa gli abbia chiuso inizialmente le porte persino del calcio portoghese di primo livello - se la pigrizia o la sfortuna - forse Sergio Oliveira è semplicemente uno di quei giocatori che sboccia tardi, come si dice. Fatto sta che dovrà passare per un percorso accidentato prima di tornare ad essere anche solo considerato dal Porto come un’opzione per la prima squadra: prima diversi prestiti improbabili (nei bassifondi del calcio portoghese, al Beira-Mar e al Penafiel, addirittura in Belgio, al Mechelen), poi la ricostruzione della verginità al Pacos de Ferreira, grazie anche a un giovane allenatore emergente chiamato Paulo Fonseca. «Quando sono andato al Pacos ho pensato: “E adesso come torno al Porto?”. Non ho mollato e sono riuscito a rimettermi in piedi, che non è da tutti. Quella esperienza mi ha aperto gli occhi».


 

Non basterà nemmeno questo, però, perché, tornato al Porto a già 23 anni, Sergio Oliveira non gioca, non sembra ancora pronto ed è costretto a farsi un altro giro in prestito, questa volta in Francia, al Nantes. Per lo meno questa volta conosce l’allenatore che darà finalmente un senso alla sua carriera, Sergio Conceiçao. «La prima volta che ho lavorato con lui mi ha guardato e mi ha detto: “Sei grasso, devi perdere almeno quattro o cinque chili”».


 

Non so se Oliveira riuscirà a dimagrire, ma al Nantes giocherà poco lo stesso per via di un infortunio al ginocchio. Succederà comunque qualcosa: forse grazie a una nuova etica del lavoro, inizia ad adattarsi a un gioco che la raffinatezza del suo destro sembrava non poter sopportare - un gioco fatto di «forte impatto fisico, seconde palle e attenzione sia all’ampiezza che alla profondità». In realtà, più che adattarsi, in quel gioco inizierà a fiorire, come quelle margherite che crescono tra le crepe dei marciapiedi. Da quel momento Sergio Oliveira si affermerà al Porto come questo splendido paradosso: un giocatore senza nessuna qualità atletica evidente, con un rapporto speciale con il pallone, che si esalta in un gioco che gli chiede di lavorare soprattutto senza. A vederlo correre con i passi pesanti di chi è arrivato al campo in ritardo sembra impossibile eppure è una caratteristica che manterrà in tutte queste ultime stagioni da giocatore finalmente affermato nel Porto, persino in quest’ultima dove ha perso il posto da titolare in cui è il migliore della sua squadra sia per contrasti vinti (4.3 per 90 minuti) che per passaggi chiave (2.6).


 


Difficile capire cosa sia cambiato nella carriera di un giocatore che a un certo punto sembrava non potesse più arrivare a questo livello. Forse è davvero solo questione di “maturità”, come ha detto non troppo tempo fa - cioè la consapevolezza, e la serenità che ne deriva, che «non tutti possono essere come Mbappé, che gioca ad altissimi livelli da quando ha 18 anni». «Quello non è normale, la normalità sono i percorsi come il mio, con le difficoltà, i prestiti, e tutto ciò che fa parte dell’evoluzione di un professionista e di un essere umano».


 

Certo quest’anno i minuti sono pochi (nemmeno 900 in tutte le competizioni) e le statistiche per questa ragione meno affidabili, ma Sergio Oliveira non sembra un giocatore in precoce declino e tanto meno uno in rotta con il proprio allenatore per chissà che bega di spogliatoio. A fine novembre, dopo aver ricevuto il premio di miglior giocatore del Porto della scorsa stagione (ovvero il Dragão de Ouro, cioè il drago d’oro), ha ringraziato calorosamente Sergio Conceicao per averlo aiutato ad essere il giocatore che è oggi: «Sono cinque anni che lavoriamo insieme, oggi abbiamo qualche ruga in più» ha detto con il pizzico di malinconia di chi forse già sapeva che stava per cambiare aria. D’altra parte, il Porto sembrava averlo messo sul mercato già quest’estate, quando per un momento è sembrato a un passo dalla Fiorentina. Ricordate? Sergio Oliveira era uno dei due pomi della discordia tra Jorge Mendes e i Viola che portarono all’addio prematuro di Gennaro Gattuso (l’altro era “el tecatito” Corona). Viene da chiedersi allora quale sia la "fregatura", se il Porto ha questa fretta di darlo via.


 

La verità è che per una società come quella portoghese che sopravvive scegliendo con precisione scientifica il momento migliore possibile per vendere, cioè quello in cui il valore percepito è più lontano rispetto alla realtà, un’occasione come quella avuta alla fine della scorsa stagione non sarebbe più ricapitata, e infatti oggi è già in ritardo. Parliamo di un centrocampista di 29 anni (oggi quasi 30), solo occasionalmente schierato sulla trequarti, che in tutte le competizioni segna 20 gol in stagione, come succede agli attaccanti più in forma. Certo, molti gol su rigore - ma, come dolorosamente sanno i tifosi della Roma, segnare un rigore non è semplice, e Sergio Oliveira negli ultimi quattro anni ne ha sbagliato solo uno su quattordici. E non solo. Anche gol girandosi su stesso in area e piazzando il pallone sul palo più lontano come un nove vecchio stampo, piegando le mani dal portiere da trenta metri, mettendo il pallone sotto il sette più lontano da distanze da cui non sembrava possibile. Gol di testa inserendosi in area dalla seconda linea, gol fortunati di rimpallo sulla barriera e gol beffardi, che alla barriera passano attraverso prima di essere depositati in rete dalla carezza gentile del portiere avversario.



Una stagione talmente irripetibile da scomodare il confronto con il più grande centrocampista passato da Porto negli ultimi anni, quel Deco che segnò sei gol nelle prime nove partite giocate della stagione 2001/02. Sergio Oliveira ce ne metterà appena una in più per arrivare alla stessa cifra, ma si toglierà la soddisfazione di finire la stagione con un gol in più (20 contro 19). Insomma, per quanto cinico, il ragionamento del Porto non fa una piega: che possibilità c’erano alla fine della scorsa stagione che Sergio Oliveira potesse ripetere in futuro un’annata simile?


 

Purtroppo per il club lusitano, però, la possibilità di venderlo per un bel gruzzoletto è svanita quest’estate nonostante la (o forse proprio a causa della) mano invisibile di Jorge Mendes. Da quel momento le cose si sono complicate per tutti. Per il Porto, che non è riuscito a ottenere la cifra che voleva. E per Sergio Oliveira, che nel frattempo ha perso il posto da titolare in favore del più giovane Vitinha, un giocatore «diverso», più dinamico, a cui piace «toccare sempre il pallone» (parole dello stesso Oliveira) - ma soprattutto una prossima commodity da valorizzare in vista di una futura cessione a peso d’oro sul mercato europeo.


 

In mezzo a queste complicazioni ha cercato di infilarsi la Roma, alla ricerca di quella personalità e di quella qualità che nessun allenatore sembra in grado di tirare fuori dalla sua rosa. A Sergio Oliveira di certo l’esperienza non manca così come la fortuna di approdare in un campionato che non sarà troppo crudele nell’esporre la sua drammatica lentezza sul lungo (a parte quando si ritroverà ad affrontare freak come Theo Hernandez, che già in Champions League lo ha fatto assomigliare a un uomo che cerca di correre in infradito). Da un punto di vista tecnico quello tra lui e la Roma è un match made in heaven: Mourinho finalmente avrà quel centrocampista a suo agio nel giocare spalle alla porta e con la qualità di trovare da solo linee di passaggio capaci di bucare le linee di pressione avversarie, o almeno di fare lunghi cambi di gioco senza fare troppi errori. Il suo inserimento dovrebbe permettere all’allenatore portoghese di rinunciare a Cristante, che in questi anni davanti alla difesa ha commesso troppi errori sanguinosi per poter continuare a giocare in quella posizione di campo, e di sgravare Veretout da quel gioco spalle alla porta che lo fa assomigliare a un elefante su una pista di ghiaccio, permettendogli di agire in zone più avanzate di campo.


 

Certo, nonostante questo, non mancano le incognite tattiche. Sergio Oliveira sembra più a suo agio in un centrocampo a due, che gli permette di coprire meno campo in orizzontale senza palla e, in fase di possesso, di sganciarsi in verticale. A questo proposito bisogna aggiungere che il centrocampista portoghese non è solo un giocatore lucido sotto pressione in grado di conservare il possesso con qualità, ma ha anche talento nel trovare l’ultimo passaggio dalla trequarti in su (spesso con dei lob alle spalle della difesa avversaria che ai romanisti più nostalgici non potranno non ricordare le leggendarie pallette di Daniele De Rossi). Insomma, limitare Oliveira a un lavoro di gestione della pressione avversaria in mediana potrebbe essere uno spreco e anche un rischio difensivo, soprattutto se venisse affiancato da due mezzali molto verticali e offensive come Mkhitaryan e Pellegrini. Per lui Mourinho tornerà stabilmente al 4-2-3-1 nonostante faccia assomigliare la Roma a una squadra di Zeman? Chissà, magari il talento di Sergio Oliveira nel ricamare intorno alla pressione avversaria in partite di estrema sofferenza potrebbe anche convincerlo a prendersi qualche rischio.



Allargando lo sguardo, rimangono dubbi ancora più pesanti su cosa ci dica questo acquisto sulla Roma, non solo come squadra ma come club. Sergio Oliveira arriva in prestito oneroso (per circa un milione di euro), così come l’altro acquisto di questa sessione, Maitland-Niles, su cui non esiste nemmeno un diritto di riscatto. Sono due acquisti insomma che, a più di un anno dall’arrivo dei Friedkin nella Capitale, non ci dicono quasi niente su quale sia la strategia di lungo periodo della nuova proprietà per creare valore, sportivo e finanziario - sempre che esista davvero. Magari i due nuovi innesti potranno aiutare la squadra di Mourinho nella sua corsa disperata alla qualificazione alle coppe europee adesso. Ma se succedesse, la Roma avrebbe la forza a quel punto di acquistarli in via definitiva? E, se lo facesse, sarebbe una strategia sensata per un club dalle casse non floridissime? Insomma: se Sergio Oliveira dovesse fare bene, la Roma avrà la volontà e l’incoscienza di spendere tra sei mesi oltre 13 milioni di euro per acquistare un giocatore ormai dalla parte sbagliata dei 30 anni?


 

Non è la prima volta che Sergio Oliveira va in prestito in un altro campionato in un momento in cui la sua carriera sembra non avere più nulla da dire. Quasi esattamente tre anni fa il centrocampista portoghese si trasferì in prestito al PAOK dopo una prima parte di stagione tormentata dagli infortuni. Lì ebbe una parte rilevante nel primo double nella storia della squadra greca (campionato e coppa nazionale) prima di tornare di nuovo al Porto, dove sembrava non avesse più un ruolo definito. E invece oggi ricordano tutti quell’esperienza con il sorriso sulle labbra. Sia Sergio Oliveira, che utilizzò quella finestra per rimettersi in piedi e fare le due grandi stagioni successive al Porto. Sia il PAOK, il cui DS di allora che lo ha definito «un animale da competizione» e che ancora oggi ricorda il suo contributo in quella stagione, in cui «ha dimostrato di essere uno dei migliori centrocampisti passati per questo Paese». Probabilmente sono parole che sentiremo uscire dalla bocca di Mourinho già nei prossimi giorni. La speranza della Roma è che oltre alle parole anche la storia si ripeta un’altra volta.


 

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