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Sergio Aguero, la banalità del gol
17 nov 2017
17 nov 2017
"El Kun" è appena diventato il miglior marcatore della storia del Manchester City. Una riflessione sul perché non viene mai citato tra i migliori al mondo.
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A premiare Sergio Agüero per il record di gol segnati da un calciatore con la maglia del Manchester City

, il recordman precedente. Betty Cougill è una signora piuttosto anziana, con uno splendido cardigan di maglia aperto su un elegante vestito blu, che nelle foto della premiazione esprime tutta la sua commozione e da sola rende l’idea della rarità dell’evento. Brooks aveva 32 anni quando ha fissato il proprio record nel 1939 e avrebbe magari continuato a segnare se la Seconda Guerra Mondiale non avesse interrotto i campionati, se, soprattutto, non avesse avuto un incidente mentre stava andando in macchina a una partita della Nazionale inglese contro la Scozia. E invece Brooks si è fratturato il cranio e dato che non avrebbe più potuto colpire la palla di testa ha deciso di smettere.

 

Nei 78 anni successivi nessun altro giocatore è rimasto al City tanto a lungo e ha segnato così tanto da superarlo. Brooks aveva realizzato 177 gol in 13 stagioni, al "Kun" ne sono bastate sette.

 

Adesso, si può discutere di quanto, e come, sia cambiato il calcio nel frattempo, sul valore di record individuali in uno sport così influenzato dal valore della squadra (per dire, c’è un Manchester City prima e uno dopo l’arrivo dell’Abu Dhabi United Group; e il Manchester City di Guardiola è una macchina offensiva ben diversa da quello di Sven-Göran Eriksson, tanto per fare un altro esempio), ma se guardiamo agli ultimi anni forse potremmo ammettere che nelle varie discussioni sui giocatori più forti al mondo almeno una menzioncina a Sergio Agüero avremmo potuto farla.

 


Il video integrale del City dura un quarto d’ora e i gol sono ordinati in base ai minuti di gioco in cui sono stati realizzati. Sotto ne ho scelti alcuni, ma se preferite lasciatevi ipnotizzare dall’arte della finalizzazione del “Kun” e guardatevelo tutto.


 

Ho due teorie sul perché Agüero non è neanche il quinto o sesto nome che ci viene in mente quando parliamo dei migliori calciatori al mondo. La prima è che la sua valuta, il gol, ha vissuto anni di inflazione per via della costanza mostruosa di Cristiano Ronaldo e Messi. Ad esempio tre stagioni fa (quella ’14/‘15), quando il “Kun” ha segnato 26 gol in campionato (32 comprese le coppe), Cristiano ne ha segnati 48 (61 con le coppe) e Messi 43 (58 in totale). Entrambi

quell’anno hanno segnato più di un gol per partita, uno standard che sarebbe irragionevole chiedere a chiunque altro ma che forse, visto il fatto che

lo raggiungevano con grande naturalezza, abbiamo confuso con una nuova normalità. Magari pensavamo davvero che nel 2020 le macchine si sarebbero guidate da sole mentre noi postavamo su Facebook, che avremmo avuto dei chip nel cervello come in Black Mirror e che gli attaccanti migliori avrebbero segnato 50 gol all’anno.

 

Nelle ultime stagioni poi è aumentata anche la competizione interna in Premier League, dove Harry Kane è atterrato con la sua navicella proveniente dal pianeta in cui centravanti alti un metro e novanta si abbassano fino al centrocampo, fanno a spallate in velocità con due o tre avversari e poi calciano all’improvviso, con angoli e parabole improbabili. Un centravanti che non fa mai una cosa normale, con una ricercatezza nelle giocate che sfida continuamente la nostra immaginazione e contrasta con il suo aspetto e la sua intensità.

 

E questo è l’anello di congiunzione con la mia seconda teoria: e cioè che il “Kun” Agüero non è abbastanza sorprendente per i nostri canoni.

 

Eppure a guardare con attenzione tutti i 178 gol segnati da Agüero con la maglia del Manchester City per infrangere il record di Brooks (nel frattempo, con il rigore all’Arsenal è salito a 179) è un’esperienza - senz’altro nauseante - che lascia stupiti per la varietà di soluzioni trovate. Ha segnato davvero in tutti i modi e in questo senso Agüero non è sorprendente come non lo sarebbe il miglior coltellino svizzero al mondo, per gente che si apre le bottiglie con gli accendini, come la maggior parte del pubblico calcistico.

 

Quello che secondo me tiene fuori Agüero dai confronti con i migliori di questi tempi è che, in fondo, è solo un nove col fisico da dieci, un nove che in effetti indossa il numero dieci per confonderci ancora di più le idee. Un centravanti alto un metro e settanta più una pila di spicci che non arriva neanche a cinque euro. Una prima punta tradizionale, con una freddezza e una qualità che gli permettono di scegliere sempre la soluzione più intuitiva, quella più immediata. Agüero è ossessivo ed essenziale e magari quella voce che dentro di noi ci dice che

ce lo fa sembrare persino ripetitivo.

 

Potrebbe sbagliare più spesso se cercasse soluzioni meno efficaci, e magari allora lo apprezzeremmo di più. Lo giudichiamo alla stregua di quei romanzieri che scrivono sempre lo stesso libro (un’accusa rivolta persino a grandissimi autori come Saul Bellow e Philip Roth), sempre con la stessa trama: un calciatore con le proporzioni di un giovane torello e la stessa forza nelle gambe si batte nell’area di rigore avversaria e, alla fine, in un modo o nell’altro, riesce a segnare.

 


Clive Mason/Getty Images


 

Concentratevi per un attimo sulla tecnica di tiro del “Kun” (chiamato così dal nonno perché da piccolo pronunciava solo un suono simile a quello, e successivamente perché qualcuno diceva somigliasse a un personaggio dei cartoni chiamato

). Mettete pausa in un gol a caso e guardate il resto dell’area di rigore. Molto spesso calcia con l’area piena zeppa di gente, con un difensore che lo marca, lo insegue, fa di tutto per metterglisi davanti, con un palo coperto e il portiere posizionato nel punto giusto. Adesso mettete il video in play. Il tiro del “Kun”, anche con molte persone davanti, magari

del suo marcatore, entra in porta con la stessa

dei tiri che effettua a tu per tu con il portiere.

 

Qual è la distanza più breve tra la palla e il fondo della porta?

 

Un tiro di Agüero.

 


Michael Regan/Getty Images


 

Non c’è niente di uguale tra un tiro e l’altro di Agüero se non questa illusione di semplicità. Il suo è un talento che semplifica le cose. Il suo cervello calcola le varie possibilità a disposizione e, in una frazione di una frazione di secondo, sceglie la strada più breve, quella che comporta massimo due o tre gesti tecnici prima della finalizzazione: se possibile, controllo e tiro. E sceglie il percorso della palla tenendo conto del portiere come un giocatore di biliardo sceglie quale sponda usare per arrivare ai birilli, solo molto più velocemente. I portieri si muovono quasi sempre con leggero ritardo rispetto alla direzione e forza della palla, raramente sono del tutto tagliati fuori dalla traiettoria ma ci arrivano con leggero ritardo. Non sono del tutto impotenti, solo inutili. Agüero calcia con una tale naturalezza che sembra farlo a porta vuota.

 

Pensate al gol segnato contro il Napoli, quello con cui ha raggiunto Brooks. Quando Sané parte in contropiede, Agüero è largo. Corre più lentamente del compagno e resta un metro o due dietro di lui, proprio dove arriva la palla dopo il contrasto con Hysaj. Dal momento in cui Agüero controlla non c’era dubbio che la palla sarebbe entrata. Calcia appena dentro l’area, con Reina fuori dall’area piccola per restringergli lo specchio, ma Agüero trova la traccia per segnare senza nessuna difficoltà. Fin troppo facile, per i nostri gusti.

 

Ma il “Kun” non è

anche perché i suoi gol sono tutti

. Non calcia improvvisamente quando non ce l’aspettiamo, non forza il tiro se non vede lo spazio in cui far passare la palla. Preferisce fare un tocco di più e pulire la linea di tiro davanti a sé, preparare la conclusione per bene anziché tentare il colpo geniale. In questo senso Agüero ci avverte quasi quando sta per segnare. Anche le soluzioni tecniche più creative hanno una praticità così evidente che l’incredibile varietà del suo repertorio passa in secondo piano. Questo suo pragmatismo, tra l’altro, è ciò che gli permette di sopravvivere nel caos fisico della Premier League, razionalizzando le situazioni più confuse e arrivando alla conclusione più logica. Poi la differenza la fanno il suo straordinario equilibrio e la capacità di coordinarsi esplosivamente in una frazione di secondo.

 

Quello che rinfacciamo ad Agüero è esattamente l’opposto di quello che rinfacciamo ad attaccanti come Dennis Bergkamp, fortissimo ma a cui, nella narrazione calcistica popolare, mancava “l’istinto da killer”. Agüero ha

istinto da killer. Non è mai elegante, non perde neanche un secondo a riflettere sul da farsi, non fa niente di compiaciuto per sottolineare il suo talento, non ha niente di contemplativo, è

.

 


Laurence Griffiths/Getty Images


 

Persino nei gol in cui parte da più lontano, meno frequenti oggi rispetto ai tempi dell’Atlético anche per ragioni tattiche, Agüero salta un uomo dopo l’altro solo per prendersi lo spazio necessario a calciare nella maniera più pulita possibile in porta. Non dribbla se non per ricavarsi lo spazio per il tiro e già dal primo scatto sembra aver capito come poter arrivare a calciare in porta - così non è, ovviamente, questo lo sappiamo perché spesso viene fermato prima.

 

Ok, ma allora perché non consideriamo Agüero quanto meno come uno dei migliori centravanti degli ultimi anni? Perché nessuno lo ha mai avvicinato ai migliori centravanti di sempre? Non voglio dire che Agüero fa parte dei migliori dieci, o venti, o sessanta attaccanti della storia, ma ho letto

con nomi che hanno meno diritto del suo di comparirci.

 

Forse perché Agüero non ha l’aria di un centravanti classico, non si avvicina all’archetipo dell’armadio su cui lanciare palla lunga in grado di dominare fisicamente i difensori avversari. Questo, anche se i 178 gol di cui parliamo li ha segnati in Inghilterra, il campionato in cui i difensori, in moti casi, vengono selezionati tenendo conto della possibilità che la partita si trasformi in una rissa. Questo, anche se la continuità di Agüero è troppo evidente per non considerarlo come un centravanti di primissima fascia. Nelle cinque sue prime stagioni in Europa (considerando anche la prima di ambientamento, in cui ha segnato solo sette gol) con la maglia dell’Atlético, di gol ne ha segnati 101.

 

Sarebbe così assurdo accostarlo, ad esempio,

, con cui Agüero condivide le proporzioni taurine, oltre che l’istinto per la finalizzazione? Leggete questa descrizione di Gerd Müller fatta da David Winner (in Brilliant Orange), che sembra adatta anche per Agüero: «Gerd Müller era basso, tozzo, aveva un aspetto goffo e non era particolarmente veloce: non incarnò mai l’ideale del grande calciatore, ma aveva un’accelerazione micidiale sulle brevi distanze e un istinto prodigioso per il gol. Le sue gambe corte gli davano un centro gravitazionale insolitamente basso, questo gli permetteva di girarsi di scatto e mantenere un equilibrio perfetto in spazi e a velocità che avrebbero portato altri giocatori a cadere. In più era famoso perché segnava gol che sembravano impossibili».

 

Solo quest’ultima frase non si addice ad Agüero, ma solo perché noi, oggi, abbiamo un’idea di impossibile diversa da quella degli anni sessanta e settanta.

 

Secondo Winner, Müller «veniva definito campione solo con una certa riluttanza, poiché fuori dall’area di rigore era pressoché inutile». Anche Agüero è uno di quei centravanti partecipa poco al gioco. Per scelta e per deformazione professionale, sia chiaro, perché tecnicamente avrebbe tutte le qualità per giocare anche davanti alla difesa. Forse anche a Guardiola, che gli ha preferito Sané, Sterling e Jesus a un certo punto lo scorso anno, questa cosa non piace molto.

 

Nelle ultime settimane si è detto felice proprio del fatto che, se «prima forse Sergio faceva solo gol», adesso invece «Quando John (Stones) o Nicolas (Otamendi) hanno la palla, sappiamo che lui è lì». Con la sua qualità nel primo controllo, Agüero può fare da terminale perfetto per i filtranti che arrivano direttamente dalla difesa, permettendo agli esterni di buttarsi nello spazio alle sue spalle e alle mezzali di salire.

 

Fa parte del suo stesso talento, la capacità di fare pochissimo per ottenere il massimo del risultato. Forse il miglior manifesto delle sue qualità è il gol che è valso la Premier League ’11/’12 al Manchester City, quello segnato al minuto 93:20 della partita con il Queens Park Rangers che è anche, senza dubbio, il gol più importante della carriera di Sergio Agüero, fin qui.

 

https://youtu.be/4XSo5Z0hEAs?t=1153

 

Il “Kun” si abbassa a fare gioco, perché l’area è troppo incasinata anche per lui. Scambia con Balotelli, che cadendo a terra riesce a servirlo in profondità. Ma Agüero ha comunque davanti un difensore. Quanti attaccanti, al suo posto, nella frenesia del momento avrebbero provato a forzare comunque il tiro? Lui invece fa un ultimo tocco prima di calciare. Si lascia il difensore in scivolata un metro indietro, liberandosi la linea di tiro. Poi calcia con la solita, apparente, facilità. Visto così, insieme ad altre 178 finalizzazioni, sembra persino, paradossalmente, banale.

 

 

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