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20 mar 2015
20 mar 2015
Prima della sfida tra Real e Barcellona, sei momenti che ci ricordano perché è una partita speciale.
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13 giugno 1943

Allo Estadio de Chamartín, casa del Real Madrid, con più di 22mila posti, si gioca la semifinale di ritorno della Copa del Generalísimo de fútbol contro il CF Barcelona. La semifinale di andata era finita 3-0 per i catalani (in casa a Les Corts) e il ritorno sembrava una formalità. L'immagine vincente di Francisco Franco sarebbe potuta uscirne intaccata, dato che le squadre di Madrid stavano finendo sotto la sua ala protettiva. La pressione mediatica era iniziata quindi a montare: i fischi dello stadio di Barcellona vengono definiti «non patriottici» e sintomatici di una «chiara intenzione di attaccare i rappresentanti della Spagna».

Ad aumentare il clima di tensione sui giocatori, scrive lo scrittore Phil Ball in Morbo. The Story of Spanish Football, ci fu anche la visita del direttore della sicurezza di Stato nello spogliatoio del Barcellona prima del match di ritorno. Cosa fare? La partita racconta la risposta. Il primo tempo termina 8-0, altre 3 reti sul finire del match assieme al gol della bandiera dei catalani, all'89esimo minuto. Il tabellone manuale blu con scritte bianche a fine partita recita 11-1. Il più ampio scarto della storia del Clásico.

Addirittura il presidente del Barcellona Enrique Piñeyro de Queralt, scelto dal regime e stravolgitore dell'anima catalana del club (ha modificato lo stemma, il Consiglio direttivo, le elezioni, ecc.) protestò con la federazione prima di dimettersi.

Va detto che la finale della Copa ha vendicato i catalani, con il Madrid sconfitto 1-0 dai baschi di Bilbao.


23 novembre 2002

Minuto 26:40 del secondo tempo, Luis Figo si avvia sulla bandierina di destra per battere un calcio d'angolo. Dalla curva azulgrana vola di tutto, la sua rincorsa si perde in una linea di poliziotti con casco indosso e mani dietro la schiena, a difesa del campo. Figo calcia a giro, il portiere Bonano para. Più tardi, di nuovo calcio d'angolo, stavolta dalla parte opposta: bottiglie, accendini, lattine, palle da golf. Medina Cantalejo sospende la partita, il numero 10 dei "Blancos" si allontana dal punto di battuta, Puyol corre verso la curva nel tentativo di calmare la folla e ripulire il terreno di gioco. Il Real si rifugia in panchina, mentre i tifosi espongono una bambola gonfiabile con il nome di Figo. Intanto tra i ciuffi d'erba del Camp Nou spunta la testa di un maialino da latte. Por qué?

Nell'estate del 2000 si era consumato un atroce passaggio di mercato per il popolo "barcelonista": quello di Luis Figo al Madrid, per 62 milioni di euro. Con questa mossa azzardata Florentino Perez riuscì a farsi eleggere presidente al posto di Lorenzo Sanz, che poche settimane prima aveva aggiunto una Coppa dei Campioni alla bacheca del club (la seconda della sua gestione, a interrompere un digiuno di 32 anni). La scelta, nata da un momento di "calentón", un colpo da testa calda, nei confronti dei dirigenti catalani, si concretizzò nonostante i tifosi e la recente dichiarazione di fedeltà di Figo (aveva posato con la "camiseta azulgrana" due settimane prima). Pep Guardiola, nella biografia del portoghese, aveva addirittura azzardato un parallelismo con Maradona. Figo aveva detto: «A Barcellona ho passato cinque anni meravigliosi. Ho cambiato per guadagnare di più, in tutti i sensi: prestigio, titoli e denaro. E ci sono riuscito».

Figo, Pallone d'oro del 2000, semifinalista ad Euro 2000, è stato il primo dei "galacticos" di Perez. Il presidente del Barcellona, Joan Gaspart, commentò: «Io non dimenticherò. Il responsabile pagherà. Sceglieremo noi quando e dove». Per i tifosi il primo momento utile fu l'ottobre dello stesso anno. "Judas, Traidor, Mercenario" e il più siginificativo "Los que antes te quisimos, siempre te odiaremos", tanto quanto ti abbiamo amato, sempre ti odieremo. Ivan Campo, 4 anni in maglia "blanca", disse di non aver mai visto nulla di simile. Quel giorno Figo fu addirittura dispensato dal battere i calci d'angolo, prevedendo la reazione del pubblico.

Due anni dopo nessuno ebbe la stessa premura. Nel libro di Sid Lowe Fear and Loathing in La Liga: Barcelona vs Real Madrid il terzino Michel Salgado ricorda: «Di solito offrivo a Luis la possibilità di battere il calcio d'angolo corto, ma non quella volta. Piovevano missili dagli spalti: monete, un coltello, una bottiglia di vetro di whisky. Johnnie Walker, penso. O forse J&B. Meglio metterla via. Angoli corti? No, grazie. E poi l'ho vista». La testa di maiale riuscì a scioccare Salgado e anche David Beckham, abituato ai campi bollenti d'Inghilterra.

Van Gaal e Gaspart provarono vanamente a colpevolizzare l'atteggiamento di Figo, troppo lento nell'approcciarsi alla bandierina. Come lo stesso Salgado commentò, quasi accettando la "normale straordinarietà" dell'evento: «D'altronde questo è il Clásico». Per la cronaca, il match terminò con un soporifero 0-0.


23 aprile 2002

Il Real si presenta al confronto europeo, davanti ai 98mila del Camp Nou, con due sole novità rispetto alla stagione precedente. In difesa, al fianco del capitano Fernando Hierro, c'è un certo Francisco Pavón, proveniente proprio dalla squadra B dei "blancos", costato 0. In avanti, a fare l'estremo più alto del rombo di centrocampo, c'è il sublime numero 5, Zinedine "Zizou" Zidane. 150 miliardi di lire versati nelle casse della Juventus.

La doppia trade rientra in una nuova filosofia che dovrebbe fare da pilastro portante dell'era dei galattici: gli "Zidanes y Pavones". In parole povere: associare ogni anno ad un grande acquisto miliardario il completamento della rosa con giocatori della Cantera. I risultati in Liga non erano dei migliori, ma quella stagione anche il Barcellona non navigava in acque tranquille, nonostante gli acquisti di Saviola, Geovanni e Rochemback. L'andata di semifinale di Champions League fa da crocevia per l'annata di entrambi i club.

Il primo tempo è duro e poco spettacolare. Il Barcellona sembra però giocare meglio. All'inizio del secondo Kluivert e compagni accennano un forcing offensivo e così facendo scoprono il fianco alle ripartenze del Madrid. In una di queste, al minuto 55, Raúl viene incontro al centrocampo, ricevendo palla sulla trequarti. La difesa lo segue, conscia del pericolo, il numero 7 stoppa palla e con un colpo filtrante premia l'inserimento sulla sinistra di Zidane. Dieci metri di corsa, forse troppi per un giocatore non proprio rapidissimo, ad inseguirlo però c'è il centrocampista olandese Cocu, anche lui non esattamente un fulmine. Zizou sa che verrà raggiunto, controlla la sfera una volta con l'esterno destro, ruota il corpo in modo da poterla colpire ancora con il suo piede forte. Zidane inventa un pallonetto su cui Bonano arriva con la punta delle dita, senza impedire alla palla di entrare in rete.

Il Clásico è in frantumi; schemi e alchimie tattiche devono obbligatoriamente saltare. Il Barcellona si butta in avanti consapevole del peso specifico di una sconfitta in casa. Saviola viene fermato da César Sánchez, mentre Geovanni solo dalla traversa. I "Merengues" hanno spazio per ripartire, ma Solari e Guti non hanno la stessa lucidità che prima ha mostrato il franco-algerino. Il colpo di grazia arriva dal giocatore meno atteso.

In Spagna è "El Cartero", il postino, per la sua semplicità di gioco (ricevo e consegno dove serve), per Del Bosque è il giocatore che tiene unita la squadra e una delle chiavi principali del successo madridista. È anche il secondo inglese della storia del Real Madrid. Steve McManaman è arrivato nel 1999 dal Liverpool, il Real Madrid non viveva un bel momento e l'inglese fu accolto dalle parole di Raúl: «Se pensa di essere venuto in uno dei top club del mondo, allora ha fatto un grande errore». Ma si sbagliava Raúl.

McManaman entra per sostituire Guti a dieci minuti dalla fine di quel Clásico. L'idea è di coprirsi maggiormente per portare a casa il prezioso risultato. Al secondo minuto di recupero però Flávio Conceição gestisce palla al centro, si gira e appoggia proprio per McManaman. Stop, portiere in uscita, pallonetto sul palo opposto. Il trentenne esulta, abbraccia tutti. Il postino stavolta ha recapitato il pallone in fondo alla rete. Il match termina 2-0, il ritorno 1-1. Proprio come in campionato. La finale alla BayArena è degli "Zidanes y Pavones", insieme poi anche la coppa.


26 giugno 1983

La storia d'amore tra la Liga e Diego Armando Maradona in maglia azulgrana è particolare. Il più forte giocatore di tutti i tempi in Spagna ha vinto relativamente poco, con molti problemi in campo, come l'infortunio per mano di Goikoetxea, la rissa seguente con l'Athletic, e una vita privata indisciplinata. Il Barcellona è la sua prima squadra europea, acquistato per circa 12 miliardi di lire, con già un Mondiale giocato alle spalle (quello del 1982).

Il presidente Núñez già lo conosce; nel 1977 un amico catalano di Nicolau Casaus, poi vicepresidente proprio nell'era Núñez, lo avverte di un "assoluto genio" in Sud America. Ha 16 anni e gioca nell'Argentinos Juniors. Come si legge nel libro di Jimmy Burns, Barça. A People's passion, anche Josep Maria Minguella, ex interprete del grande allenatore Vic Buckingham, proporrà in seguito l'acquisto del giovane Diego al Barça. Ma costava un milione di dollari, troppi per un ragazzo, l'acquisto fu così rimandato di qualche anno, con delle cifre che nel frattempo erano lievitate, però.

All'inizio Maradona sta fuori qualche mese mentre la squadra in campionato va così così, arriva quarta a fine stagione. I numeri di Diego sono comunque interessanti: 35 presenze e 22 gol in quella prima stagione. Un gol su tutti gli altri, il più bello e importante della sua esperienza "barcelonista".

Si stava giocando la finale d'andata di Copa de la Liga, competizione creata quell'anno per concedere un nuovo posto Uefa a una squadra spagnola e per guadagnare qualcosa in più di diritti televisivi (dopo 4 anni sparirà). Se la coppa non è attraente, il match tra Madrid e Barcellona, sì. Il Clásico di andata si gioca al Bernabéu, la partita è tesa nel primo tempo, nel secondo diventa spettacolare, terminando 2-2. Maradona segna il gol che dà inizio alle danze.

Lobo Carrasco riceve palla appena superata la linea di centrocampo, anticipa il difensore e di sinistro serve tutto solo Maradona. Tre tocchi fino all'area di rigore, finta di corpo, poi per la quarta volta accarezza il pallone con il sinistro per dribblare il portiere Agustín Rodriguez. Ora la deve solo appoggiare di destro, la porta è spalancata. Invece no, addomestica di nuovo il pallone con il sinistro, ha un'ulteriore esitazione. Il madridista Juan José, quando realizza che il 10 non sta tirando, accelera la corsa e si prepara alla scivolata. Quando si lancia Maradona lo evita elegantemente e, a quel punto, appoggia in rete. Aveva previsto tutto.

Il pubblico dei "merengues" si divide: un oggetto arriva in campo, ma la maggior parte si alza e applaude. È la prima volta in un Clásico che i palati fini di Madrid riconoscono la forza del nemico. Anche alcuni suoi compagni si fermano in adorazione: Carrasco cade in ginocchio: «Noi tutti ci ritenevamo dei privilegiati nell'essere testimoni del suo genio».


10 marzo 2007

Lionel Messi ha 19 anni, è tornato da appena 4 partite dopo essersi fratturato il metatarso. Non segna dalla sesta giornata di campionato, qualcuno, nonostante l'età, pensa che dopo l'infortunio non sia più lo stesso. Quel giorno si gioca la ventiseiesima giornata della Liga, al Camp Nou, contro il Real Madrid. Al quinto minuto del primo tempo il Barça va sotto per via del gol di Ruud van Nistelrooy. Sei minuti più tardi, però, Samuel Eto'o apre un pallone che sorprende la difesa del Real, la sfera arriva velocissima sul piede destro di Messi, che la stoppa e di sinistro la posa a giro sul secondo palo di Casillas.

Due minuti dopo c'è un rigore per il Real, lo batte van Nistelrooy, che non sbaglia. Il Madrid torna in vantaggio 2 a 1. Poi, sempre nel primo tempo, Ronaldinho si introduce in area scambiando velocemente con Eto'o, il suo tiro viene respinto da Casillas e rimbalza a pochi passi da Messi, quanti bastano per coordinare il sinistro e scagliare con violenza il pallone sulla traversa interna e poi in rete.

Al settantottesimo minuto, il Real Madrid si porta di nuovo in vantaggio, con una rete di Sergio Ramos, e stavolta sembra la fine. Il Barça si porta sulla trequarti, tenendo palla in attesa di un movimento, uno spazio. A un certo punto Ronaldinho dalla sinistra si accentra velocemente tenendo a distanza Ramos, verticalizza sui piedi di Messi, che con il solo controllo del pallone spiazza mezza difesa dei "blancos". Helguera tenta una spaccata in extremis per cercare di arginare l'argentino, che con naturalezza tocca appena il pallone liberandosi la diagonale di tiro. Arriva Ramos in scivolata, ma troppo tardi. Il pallone è ancora una volta alla spalle di Casillas. Messi è per la prima volta in vita sua l'idolo del Camp Nou, sotto la curva bacia la maglia, è il gesto simbolico che sancisce l'inizio di una grande storia di calcio.


20 Aprile 2011

Al Mestalla di Valencia c'era il clima ideale per giocare e la stella annunciata era Cristiano Ronaldo. Il Real ha già affrontato il Barça quattro giorni prima per la trentaduesima giornata della Liga, l'incontro era finito 1-1 con due goal su rigore. Neanche a dirlo, uno segnato da Messi, l'altro da Cristiano Ronaldo.

Nel tunnel che porta al campo il portoghese è defilato rispetto alla squadra in fila indiana, di lato, con il petto in fuori e lo sguardo concentrato, attende che la sua squadra passi distruibuendo pacche sulle spalle, poi al passaggio dell'ultima "camiseta blanca", si accoda chiudendo la fila. Passa solo un minuto e Mascherano è già costretto a rincorrere il numero 7 sulla corsia di sinistra, riuscendo a fermarlo solo con il fallo. Dieci minuti dopo, dentro l'area spiove un pallone di Özil, Cristiano Ronaldo lo allarga leggermente per liberare il tiro, sulla respinta di Mascherano il pallone torna a Cristiano Ronaldo come un boomerang, a quel punto Iniesta corre in pressing sul portoghese che fa fluire la palla da un piede all'altro nascondendogliela.

Il primo vero pericolo però, Cristiano lo crea sul finire del primo tempo. Lanciato da Özil comincia una fulminante corsa di 30 metri palla al piede, Busquets non puo fare niente tranne guardarlo arrivare al tiro, che José Manuel Pinto respinge. A metà del secondo tempo, CR7 trova terreno fertile nella fascia destra, difesa dal brasiliano Adriano. Non è un momento memorabile della partita ma l'eleganza stilistica nel guadagnarsi un fallo sulla metà campo racconta meglio di cento parole l'estetismo esasperato di Ronaldo.

Arriviamo così al minuto novantasette con il risultato ancora fermo sullo 0 a 0. È il momento della partita in cui si deve rischiare, il momento in cui salgono in cattedra i campioni. Xabi Alonso vede una linea di passaggio impensabile per chiunque, non per lui. Veloce, rapido, dritto come un coltello, il pallone squarcia il Barcellona, Ronaldo esaspera la corsa e Adriano cede di schianto a ridosso della sua area di rigore, il portoghese cerca il secondo palo e non lo trova per qualche centimetro.

Cinque minuti dopo il Madrid preme sulla fascia sinistra, Di María chiede il triangolo a Marcelo e una volta sul fondo crossa al centro. Ronaldo sovrasta il povero Adriano, la cui unica colpa è trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato. Cristiano colpisce in sospensione, mandando la palla sul secondo palo con forza e precisione. È il suo primo goal su azione in un Clásico, ed è il goal che consegna la Copa ai "blancos" dopo la cocente delusione della "Manita" (e sette giorni dopo il Madrid perderà ancora in semifinale di Champions League).

A fine partita Ronaldo ringrazia il suo allenatore: «Mourinho ha avuto un impatto molto positivo, ci ha aiutato molto e ci ha dato energia positiva, che mostriamo in campo»; poi gli viene fatto notare che il Barcellona ha fatto meglio sul piano del gioco e lui risponde con il solito fanatsimo: «Il Barcellona ha giocato una buona partita, ma questo è il modo in cui va. Quello che segna, vince».


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