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Allenatori che hanno un gemello come vice
18 nov 2021
18 nov 2021
Cinque casi stupefacenti.
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La Carica dei 101 si apre con una scena che è forse la più grande intuizione di tutto il film. Il dalmata maschio, Pongo, è affacciato alla finestra e, preso dalla noia, pensa che dovrebbe trovare una compagna al suo padrone, il musicista Rudy Radcliffe. Intento in questa sua nuova missione, inizia a squadrare le donne che passano sotto casa, tutte casualmente con un cane al guinzaglio. La prima ha i capelli rossi e lisci, è leggermente ingobbita e ha una cartella sotto il braccio. Il cane che la precede ha il muso aquilino come il suo naso, il pelo rossiccio che dalla testa gli cade sopra al dorso e delle zampe lunghe e fine proprio come i suoi piedi. A guardarle affianco potrebbero essere tranquillamente la stessa persona, se solo non fossero animali diversi. La scena si ripete in sequenza: una donna più in carne dall’aria un po’ snob preceduta da un carlino grigio come il suo tailleur, una signora di classe con un soprabito orlato di pelliccia che sembra ricalcare la rasatura del suo barboncino, una bambina con un cappello da marinaretta vestita di giallo seguita da un cucciolo di labrador dello stesso colore.


 

Non pensavo a questa scena dalla prima e unica volta che ho visto la Carica dei 101, circa vent’anni fa, quando il mio giovane cervello l’aveva incamerata con stupore senza farsi troppe domande. Poi qualche settimana fa c’è stata Roma-Milan. E poco dopo l’incredibile gol d’apertura di Zlatan Ibrahimovic su punizione qualcosa me l’ha fatta tornare alla mente. La regia si è prima concentrata sulla solita esultanza a braccia aperte dell’attaccante svedese. Poi però ha staccato sulla panchina del Milan, dove era in corso un’altra scena. Questa:



Pioli sembra stia provando un discorso allo specchio, ma lo specchio non reagisce ai suoi movimenti. Perché in realtà di fronte all’allenatore del Milan non c’è uno specchio ma il suo vice, Giacomo Murelli, che è vestito esattamente come lui. A questo punto l’incipit della Carica dei 101 è riapparso nella mia mente, ma in maniera diversa. Uno dietro l’altro mi sono ripassati davanti agli occhi Mazzarri che viene imitato dal suo vice mentre dà indicazioni, Mourinho e Joao Sacramento che corrono a protestare con lo stesso passo verso il quarto uomo, Rolando Maran accanto al suo vice Christian Maraner.


 


 

Capisco che il paragone possa risultare indigesto di primo acchito. Insomma, se il rapporto di simbiosi tra cani e padroni ci rende logico, naturale che finiscano per assomigliarsi, com’è possibile che lo stesso possa avvenire anche tra allenatori e vice? Come potrete intuire, il loro rapporto è molto diverso da quello che intercorre tra un cane e un padrone. C’è la subordinazione, ok, ma non c’è la simbiosi e soprattutto la dipendenza. Soprattutto, a volte non c’è nemmeno la collaborazione e figuriamoci l’amore. Anzi, non è affatto raro che tra allenatore e vice si instauri un rapporto (vero o immaginato) di complementarietà o addirittura competizione.


 

Uno dei casi più celebri è quello che legava Alex Ferguson a Carlos Queiroz, con il primo che si occupava del rapporto con lo spogliatoio e delle scelte di mercato, e il secondo invece degli aspetti tattici e del lavoro sul campo. Un’ambivalenza che ha forgiato una delle squadre più forti della storia del calcio ma che ha anche sollevato una domanda imbarazzante: di chi erano davvero i meriti dei successi del Manchester United, di Ferguson o di Queiroz? Questo interrogativo non è certo nuovo nella storia del calcio e anche dopo Ferguson si è riflesso su diversi altri allenatori, su cui soprattutto in tempi felici si è allungata minacciosa l’ombra del loro vice. Quando Allegri le partite di corto muso ancora le vinceva si diceva (forse anche per screditarlo) che il vero fenomeno in panchina fosse in realtà il suo vice, Marco Landucci. Non mancano le storie in cui sono gli stessi secondi allenatori ad alimentare questa narrazione. Zeljko Buvac, secondo di Klopp dai tempi del Mainz fino all’aprile del 2018, l’anno scorso ad esempio ha di fatto suggerito che l’allenatore tedesco non fosse altro che un burattino nelle sue mani, utile solo per parlare davanti alle telecamere. «Facevo io il lavoro da allenatore ad eccezione delle interviste. Mi sentivo come se fossi stato io il vero allenatore per tutti questi 17 anni [di collaborazione, nda]».


 



Per l’inizio della stagione del Carnevale in Germania l’allenatore del Colonia, Steffen Baumgart, si è vestito da unicorno. Il suo secondo allenatore e tutto il resto dello staff tecnico, invece, si è vestito da Steffen Baumgart.


 

Il rapporto tra l’allenatore e il suo vice, quindi, è più conflittuale di quello che lega un padrone al suo cane. Purtroppo i cani non parlano, ma se potessero parlare sarebbe difficile sentirgli fare una dichiarazione come quella di Buvac su Klopp (se il vostro cane pensa di aver fatto lui il lavoro dell’essere umano per tutto il tempo in cui è stato con voi forse c’è qualcosa che dovreste rivedere nella vostra vita). L’eventualità che un cane assomigli al suo padrone ci fa sorridere - la si può razionalizzare tirando in ballo il rapporto simbiotico tra i due o una scelta inconscia del padrone o ancora la nostra percezione soggettiva che ce li fa apparire simili - quella che un allenatore assomigli al suo vice, invece, ci apre porte sull’abisso. Un allenatore finisce per assomigliare al suo vice lavorandoci insieme giorno dopo giorno? È lui a scegliere qualcuno che gli assomiglia da mettersi accanto? E se sì, perché? Oppure è proprio come per i cani, che sono i secondi allenatori a scegliersi i propri padroni? Le possibilità sono infinite. Ho deciso di approfondire il rapporto tra cinque allenatori e cinque vice allenatori incredibilmente simili nel calcio contemporaneo per provare a venirne a capo.


 

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