La notizia del ritorno in Italia di Sebastian Giovinco ci ha colti di sorpresa. È arrivata fuori tempo massimo, oltre la chiusura del mercato, superando anche quella breve appendice temporale che pareva disegnata scientemente per far sì che qualche svincolato potesse trovare una nuova casa. È stata la reazione a un evento inatteso – l’infortunio di Gabbiadini – e ci ha fatto ripensare a Giovinco come a una persona alla quale in passato avevamo voluto bene salvo poi perderla di vista. Siamo stati calati di colpo in una di quelle cene primaverili tra vecchi amici che non si vedono da un po’: per ritrovare la confidenza di un tempo serve qualche minuto, poi arriva anche l’amico che sapevi felice all’estero e invece ha deciso di tornare, che ti racconta di quanto è stato bene ma anche di quanto gli sia mancata la pasta.
Dalla stanza accanto sembra sempre tutto più bello.
Rivedere Giovinco nei suoi primi atti italiani da giocatore della Sampdoria è stato strano: si è dichiarato felicissimo di tornare, la mascherina gli copriva il volto eppure si poteva intravedere il sorriso nonostante il tessuto non tessuto con il quale abbiamo imparato a convivere in questi anni. Per una ventina di secondi di dichiarazioni al giornalista di Sky che lo aveva atteso, Giovinco non fa che sistemarsi la mascherina, forse per scomodità, forse per frenesia. Perennemente in movimento, come il ricordo che avevamo di lui in campo. Poi ci si è messa la comunicazione della Sampdoria, che ha voluto presentarlo al pubblico con un video dall’evidente richiamo all’improbabile «La mia Liguria» di Elisabetta Canalis, spottino onnipresente nelle serate sanremesi. L’intento, visto il tag a Turismo Liguria, pare però serio. Tutto molto cringe?
Sembra sia lì lì per sbottare a ridere.
Torna in Italia a 35 anni – a guardarlo non si direbbe, il suo volto pare in tutto e per tutto quello che aveva quando ha deciso di cambiare strada - e abbiamo la netta percezione di aver perso la parte migliore della sua carriera: aveva scelto di andarsene in Canada a 28 anni, stanco di dover sempre dimostrare di essere all’altezza di qualcuno e qualcosa, di un calcio che ai massimi livelli sa toglierti fino all’ultima goccia di energia fisica e mentale. A Toronto era andato a fare il pesce grande nello stagno piccolo, dominando la MLS per poi scivolare verso un destino sempre più marginale, almeno ai nostri occhi, all’Al Hilal. Eppure c’era stato un momento in cui questa perenne ricerca di un posto nel mondo e di una collocazione in campo sembrava finalmente compiuta anche in Italia. Il migliore Giovinco della nostra vita lo abbiamo visto a Parma, in una stagione in cui aveva contribuito a rimettere in carreggiata la carriera da allenatore di Roberto Donadoni, guadagnando la convocazione a Euro 2012 e il riscatto della comproprietà – ah, le comproprietà, che tempi! – da parte della Juventus.
Trovare un ruolo
Nell’estate del 2011, Giovinco si appresta a iniziare la sua seconda stagione con il Parma. La prima non era stata scintillante, ma nemmeno da buttare via: 7 gol in 30 presenze, con tanto di doppietta rifilata a quella Juventus nella quale non si era mai sentito davvero a casa. Un incredibile 1-4 nel giorno dell’Epifania, segnato da una delle follie di Felipe Melo – una scarpata in faccia a Paci – e dall’infortunio di Quagliarella.
Giovinco è in quella fase di carriera in cui sembra destinato a diventare un esterno d’attacco, una parentesi che per un trequartista italiano pare impossibile da dribblare. Nel 4-3-3 di Marino parte a sinistra e da lì arrivano i due gol: un tap-in dopo una parata senza senso di Storari, un sinistro faticoso a punire uno svenimento in area di Sorensen
Il Parma ne riscatta la metà in estate per circa tre milioni mentre a Torino prende forma la prima Juventus di Conte. Per comprendere fino in fondo la percezione che si ha di Giovinco in quei mesi, Emanuele Gamba, sulle pagine di Repubblica, dalla tournée statunitense dei bianconeri scrive di Cristian Pasquato, 22enne aggregato al gruppo bianconero, che è «la versione leggermente più abbondante di Giovinco, che aggiunge peperoncino alle esibizioni bianconere». Chi sembra invece riporre grandi speranze nella Formica Atomica è Cesare Prandelli, c.t. azzurro, che ha iniziato a convocarlo a febbraio e, anche senza dargli troppo spazio, pare davvero tenerlo in considerazione per la spedizione europea prevista l’estate successiva.
L’allenatore del Parma è Franco Colomba, subentrato nella stagione 2010/11 a Marino: aveva raccolto la squadra in lotta per la salvezza e aveva ottenuto 14 punti in 7 partite, battendo Inter e Juventus anche grazie ai gol di Giovinco. Quello contro i nerazzurri è un mancino in corsa ricevendo un pallone rasoterra da sinistra, mentre con la Juve scarica in porta da fuori area con il prediletto piede destro. In entrambi i casi, vediamo la principale qualità di Giovinco: in un calcio che pare essere troppo fisico per lui, sopravvive con l’istinto e la capacità di scegliere il momento migliore per calciare. Anche la sua indubbia velocità sembrava cozzare con quello che gli proponevano le difese avversarie, c’era sempre qualcuno di più grosso in grado di sbarrargli la strada. Giovinco aveva così affinato una serie di soluzioni balistiche usate come arma di sopravvivenza.
Il debutto stagionale è contro la Juventus, dopo i due exploit dell’anno precedente c’è una certa attesa per Seba, ma forse si lascia blandire dalle parole pre-partita di Conte: «È un giocatore che mi piace da sempre e lui lo sa perché ho sempre cercato di averlo con me, ma ci sono leggi di mercato da seguire. È ancora nostro per metà e questo è un bene, ma oggi sarà trattato da avversario». Gioca male, segna su rigore l’inutile 4-1. A differenza di Marino, Colomba lo vuole più vicino alla porta. È un po’ trequartista e un po’ seconda punta, con il Chievo fa due gol da faina d’area di rigore ma poi si fa espellere. Il 10 sulla maglia è comunque un’investitura, alla soglia dei 25 anni deve finalmente diventare grande.
Altra doppietta contro il Genoa, dopo quattro giornate e mezzo il Parma ha segnato solo con il suo fantasista, che per magnanimità dà il via all’azione del momentaneo 3-0 a inizio ripresa, firmato da Morrone. Il primo gol era stato un piccolo gioiello, un controllo orientato alla Di Canio per saltare Bovo e presentarsi davanti al portiere. Giovinco diventa di colpo un nome da prima pagina, dichiara di non avere rimpianti nell’aver voluto testarsi in una realtà diversa da Torino, i giornali si affrettano a constatarne la trasformazione da formica in cicala. Prandelli si sbilancia: «Può essere il giocatore più importante quest’anno nel panorama italiano». Il ct la pensa come Colomba, vuole Giovinco vicino alla porta. Gli dà una maglia da titolare a Pescara in coppia con Cassano, nell’immaginario collettivo si parla già di “Little Italy” ma mentre Fantantonio fa due gol, Giovinco stecca la sua prima da titolare in azzurro dopo cinque spezzoni.
L’incontro con Donadoni
Dopo qualche settimana passata addirittura da capocannoniere del campionato, anche se insieme a Palacio, le prestazioni di Giovinco si normalizzano. Più che altro, perde consistenza sotto porta. Eppure, a confrontare le partite dell’anno precedente, quasi non sembra lo stesso giocatore. È pienamente padrone del contesto in cui si muove, è il centro di gravità della manovra offensiva del Parma. La squadra di Colomba si sgonfia, la cinquina presa dall’Inter di Ranieri all’inizio del 2012 costa la panchina al tecnico. La classifica dice che la salvezza non è in pericolo – 7 punti di vantaggio sul duo Novara-Cesena – e quella del presidente Ghirardi è una mossa di pura ambizione: decide di dare a Roberto Donadoni un’occasione per rilanciarsi.
Era stato un giocatore sublime, Donadoni, stella silenziosa del Milan degli olandesi e anche del dopo Sacchi. Un calciatore in grado di accendere le fantasie dei tifosi e allo stesso tempo di risultare, prima di tutto, una persona seria. «Non so dire quale sia il mio gol più bello perché non me ne viene in mente uno. Non mi ricordo i nomi di tutti quelli con cui ho giocato, né quelli degli arbitri che mi hanno diretto. Al Milan ho vinto molto e ogni volta azzeravo tutto. Non mi piacevano i riflettori allora, non mi piacciono adesso», aveva raccontato a Gianni Mura nell’aprile nel 2008, quando ancora era alla guida della Nazionale azzurra. Riesce a leggere nel potenziale sommerso di quel Parma e nel giorno della presentazione dichiara che l’obiettivo non deve essere la salvezza, ma andare a prendere le (tante) squadre che sono davanti, nei limiti del possibile.
Prende da parte Giovinco, gli mostra il lavoro senza palla degli attaccanti del Barcellona di Guardiola. Vuole che sporchi le giocate degli avversari a inizio azione, che diventi più funzionale anche in fase di non possesso per averlo più pronto e reattivo al momento della stoccata. Lo convince a non sprecare energie a vuoto, a convogliarle nel migliore dei modi: «Seba ha una grande dote, spontanea, di gestire la palla tra i piedi. Deve migliorare e incrementare il resto. Spende energie a vuoto e perde lucidità, mentre è giusto che dia sfogo alle sue capacità tecniche». È forse l’incontro tecnico più importante della carriera di Giovinco, pronto a nutrirsi degli insegnamenti di un tecnico che, nei suoi anni di splendore, grazie a Sacchi aveva saputo mantenere il proprio livello tecnico eccelso aggiungendo al suo gioco anche la capacità di sacrificarsi.
Giovinco segna contro il Siena e contro il Chievo, a metà febbraio c’è la sfida di ritorno con la Juventus. Finisce 0-0 e la partita diventa un caso diplomatico, perché Conte è furioso per l’arbitraggio e accusa proprio Giovinco di essere un simulatore: «In area è svenuto». È uno dei classici post-partita in cui Conte perde la testa: spara contro la classe arbitrale e qualche giorno dopo opta per la rettifica, ma solo nei confronti di Giovinco: «Mi scuso perché trascinato dall’enfasi della partita ho espresso giudizi sbagliati su un giocatore non mio». Seba sta vivendo un grande momento, Prandelli lo rilancia dall’inizio nell’amichevole contro gli Stati Uniti in una formazione simil sperimentale che vede partire dal primo minuto anche Maggio, Ogbonna, Criscito, Nocerino e Matri: l’Italia perde, il ct deve assorbire un po’ di critiche e per Giovinco la strada azzurra sembra mettersi in salita.
Le prestazioni in campionato, però, sono sempre buone. Si sente del tutto calato nel ruolo di seconda punta pura, una dimensione che per lui sembrava fisicamente impossibile soltanto qualche mese prima: «Se è un po' tardi per iniziare a giocare da seconda punta? Sì, forse, si. È un po' tardi, però si vede che questo era il mio destino, il mio percorso, ma sono contento di quello che sto facendo». Poi si ferma, come tutto il calcio italiano. La morte tragica di Piermario Morosini lo tocca da vicino, hanno giocato a lungo fianco a fianco nelle nazionali giovanili. Erano in campo anche nel giorno della delusione più cocente della carriera azzurra di Giovinco: Germania-Italia 1-0, semifinale dell’Europeo Under 21. Gli azzurrini che dominano, Neuer che para anche le mosche, Consigli che si fa beffare da una conclusione di Beck da 30 metri. Durante i funerali, Giovinco è confuso nella folla di diecimila persone giunte a Monterosso per l’ultimo saluto. E quando segna contro il Cagliari, anche con un pizzico di fortuna, si ferma a lanciare baci al cielo, all’amico Piermario: «Sono contento di avere segnato, volevo dedicarlo a lui».
Mancano cinque giornate alla fine del campionato e Donadoni ha mantenuto la promessa: il Parma ha già scollinato quota 40 punti, ne ha sei di vantaggio sul Lecce e si sente tranquillo. Così tranquillo da puntare in alto. Batte il Palermo, poi piega proprio i salentini e Giovinco ritrova il gol con una splendida punizione. Contro l’Inter, Donadoni ha gli uomini contati. Si inventa Fernando Marques, centrocampista, oggetto misterioso spagnolo che aveva perso un anno intero per infortunio, nel teorico ruolo di prima punta, al fianco proprio di Giovinco. I nerazzurri vanno avanti nel primo tempo, la ripresa è tutta della Formica Atomica. Sfrutta la sua rapidità per irridere Lucio, portandogli via il pallone semplicemente affiancandolo a velocità tripla: gli arriva da dietro, il brasiliano quasi non si accorge dello scippo. Poi punta la porta e serve Marques, che segna il suo primo (e unico) gol in A. Il 2-1 lo segna Giovinco in prima persona, mettendo a frutto tutti gli insegnamenti di Donadoni: attacca la profondità sul lancio di Galloppa, controlla e batte Julio Cesar. Biabiany chiude i conti sull’ennesimo assist stagionale di Giovinco. Il quindicesimo gol in campionato è anche il più bello, un’opera d’arte mostrata al pubblico di Siena che fa perdere il classico aplomb anche a uno come Donadoni.
Gol incredibile, telecronaca ancora di più.
Con il Bologna arriva la settima vittoria consecutiva, che non basta per staccare la Roma: il Parma chiude all’ottavo posto. Per Giovinco inizia l’estate più lunga della sua vita, e non solo perché Prandelli alla fine lo porta agli Europei. «Seba è superiore anche a Pastore, che ha segnato e impressionato meno di Giovinco: ditemi il nome di un giocatore che a livello europeo ha fatto 15 gol, lasciando anche ai compagni due rigori», dichiara l’a.d. del Parma Pietro Leonardi. È vero, è un po’ come chiedere all’oste se il vino sia buono o meno, ma in quei mesi non sembra una bestemmia. Ghirardi, patron del Parma, rilancia: «Non vale meno di 40 milioni». Dal ritiro azzurro, Giovinco pone una sola condizione: non vuole essere trattato dalla Juventus, in caso di riscatto, come pedina di scambio. «Io mi sentivo pronto anche 3-4 anni fa. Ci sono stati pregiudizi sul mio fisico, l’avete visto tutti, ma ormai le parole non servono più a nulla. In questi due anni a Parma ho cercato di fare bene e continuerò su questa strada, dei piccoli sassolini me li sono tolti. Premesso che prima c'è da sbrigare una comproprietà che riguarda Juve e Parma, io andrò da chi mi vorrà. Se chiedo garanzie? Il mio ragionamento è lo stesso di 3-4 anni fa: io chiedo di partire tutti alla pari e chi merita, gioca». A sorpresa su Giovinco piomba l’Inter e così Marotta decide di togliere ogni dubbio: 11 milioni al Parma per la metà e la trattativa va in porto mentre Seba è impegnato negli Europei.
Seguiranno due stagioni e mezza con luci e ombre, ancora una volta il peso delle aspettative, di non essere abbastanza. Abbastanza forte, abbastanza solido, abbastanza alto, abbastanza tutto. A 28 anni sceglie di fuggire: un maxi-contratto, l’opportunità di sentirsi finalmente il più forte di tutti. «A Toronto mi sono disintossicato. Non scopro io che il nostro calcio è stressante, in MLS ho trovato l’entusiasmo della gente senza mai avvertire vere pressioni. L’Arabia Saudita è stata una sorpresa, vivono il calcio come da noi in Italia, è il loro sport nazionale». Durante il suo lungo esilio, si guadagna anche una convocazione di Mancini, ma capiscono entrambi che non è il caso di andare avanti più di tanto.
E alla fine, come quegli amici che rivediamo in una cena primaverile, quando meno ce lo aspettiamo, Giovinco è tornato. Già da qualche settimana si era ipotizzato un rientro in Italia, aveva ammiccato proprio al Parma. Poi, fuori tempo massimo, è spuntata la Sampdoria: «Quando ho ricevuto la chiamata, non ci ho pensato un attimo a dire sì. Treni come questi vanno presi al volo». Ritrova Quagliarella e Candreva, vecchi compagni mai persi di vista. Ritrova un calcio dal quale si era allontanato, ora che non ha più nulla da dimostrare. Nessuna spanna da mettere sopra la testa dopo i grandi gol, a ricordare agli altri che le critiche gli scivolavano addosso. Lo guarderemo come si guarda un vecchio amico che è tornato, sperando di tornare a vedere tutto quello che ci faceva divertire.