
Che fine ha fatto lo sciopero dei calciatori? Nel mezzo del valzer degli allenatori magari ve l’eravate dimenticato ma se ne parlava nemmeno otto mesi fa e anche io qui su Ultimo Uomo avevo scritto di questa possibilità, che per qualche giorno aveva diviso giornalisti e pubblico. Era l’ottobre del 2024, la FIFA non aveva ancora trovato un emittente che trasmettesse le partite del Mondiale per club, e la minaccia dei sindacati europei e internazionali sembrava allungare un’ombra sulla nascita di questa nuova competizione, accusata di ingolfare un calendario già reso impossibile dal predominio delle televisioni. La prospettiva di uno sciopero che riguardasse alcuni tornei internazionali, mi aveva detto il presidente dell’AIC, Umberto Calcagno, era reale: «Sono convinto che i calciatori farebbero fronte comune».
Oggi quei giorni sembrano lontani un secolo: a meno di nuove notizie, non prevedibili e comunque improbabili, il Mondiale per club comincerà senza intoppi tra meno di due settimane, DAZN trasmetterà gratuitamente tutte le sue partite (e quelle più importanti saranno addirittura in chiaro su Mediaset) e Gianni Infantino sta facendo l’impossibile per portarci persino Cristiano Ronaldo, dopo il suo probabile addio all’Al-Nassr («Cristiano potrebbe giocare per una delle squadre qualificate, ci sono delle trattative con vari club», ha detto). Nel frattempo, la possibilità di uno sciopero dei calciatori di fronte a un calendario sempre più stressante è semplicemente evaporato dal dibattito pubblico. O almeno così sembra.
È il momento in cui i cinici possono dire con un sorriso soddisfatto: che vi avevamo detto? I calciatori rimangono calciatori e basta che una palla rotoli affinché il pubblico ricominci a guardare.
Al di là di come la pensiate, di sicuro questa è la scommessa della FIFA, che ha risolto questa condizione primaria e imprescindibile - cioè che ci sia una palla che rotoli e un pubblico che la possa guardare - in maniera non del tutto chiara. L’annuncio della partnership globale con DAZN per la trasmissione gratuita delle partite del Mondiale per Club è arrivato infatti il 4 dicembre del 2024, esattamente una settimana prima del “congresso online” con cui (con metodi opachi e non del tutto democratici) ha consegnato i Mondiali del 2034 all’Arabia Saudita - un tempismo a cui nessuno avrebbe fatto caso se poco più di due mesi dopo il fondo sovrano saudita non avesse comprato una quota di minoranza di DAZN.
Che le due cose siano connesse si tratta di una congettura, ci tengo a specificarlo, ma certo i dubbi hanno su che poggiarsi - le stime fatte da alcune fonti autorevoli sulle cifre di queste operazioni, per esempio. Secondo il Financial Times, che cita una fonte vicina all’accordo, il fondo sovrano saudita ha acquistato una quota inferiore al 5% per una cifra intorno ai due miliardi di dollari, con la metà direttamente investita nella società, cioè DAZN, che a sua volta, secondo The Athletic (che fa parte del gruppo del New York Times), ha speso proprio un miliardo di dollari per accaparrarsi questi diritti TV. Un miliardo di dollari è anche il montepremi complessivo promesso dalla FIFA alle 32 squadre partecipanti al Mondiale per club. Una triplice coincidenza di numeri che di certo solleva qualche interrogativo.
Potrebbe essere un caso, ovviamente, e non lo dico in maniera retorica, ma, anche supponendo che lo sia, non è facile spiegarsi ciò che è successo. Si chiede per esempio proprio The Athletic: i diritti TV di partite trasmesse gratuitamente di una competizione nuova di zecca (di cui quindi non è ancora chiaro il successo di pubblico) possono davvero valere un miliardo di dollari? Anche questa non è una domanda retorica ma se volete qualche risposta in più vi rimando all’ultima puntata di Trame, il nostro podcast di sport e geopolitica, in cui ho provato ad approfondire questa storia. Lo trovate proprio qui sotto.
Anche i nostri podcast aperti a tutti sono possibili solo grazie all'aiuto dei nostri abbonati. Se ti piacciono pensaci: per abbonarsi, come dice il saggio, basta un click.
Al di là di come sia andata, comunque, questo tema sembra sparito dal dibattito proprio perché la FIFA è riuscita a far rotolare questo benedetto pallone. L’organizzazione guidata da Gianni Infantino ha insomma vinto la partita del breve periodo, mentre le organizzazioni che mesi fa le si opponevano hanno continuato a giocare fiduciose quella del medio e del lungo periodo, pagando lo scotto di vedersi mettere in ombra ora che il Mondiale per club sta per cominciare. Mi riferisco ai principali sindacati europei dei calciatori, a FIFPRO (l’organizzazione che riunisce i sindacati dei calciatori a livello globale) e a European Leagues, l’associazione che riunisce i principali campionati di calcio europei, che nell’ambito di questa lotta lo scorso anno hanno avviato due procedimenti legali contro la FIFA.
«Sul Mondiale per Club il nostro è solamente pragmatismo», mi ha detto Stefano Sartori, responsabile delle relazioni sindacali dell’AIC e membro FIFPRO, che ho contattato per la realizzazione di questo articolo. «Nessuno può ipotizzare che non possa iniziare questa competizione, ormai è fatta. Detto questo, bisogna considerare però che questo ricorso contro la FIFA è stato presentato da una coalizione che vede non solo i rappresentanti dei calciatori ma anche quelli delle società e quindi le leghe. Credo sia la prima volta».
Sartori si è detto «abbastanza fiducioso» sulla riuscita di questa strategia legale, che si fonda sostanzialmente su due casi. «Il primo lo abbiamo fatto a inizio 2024 ed è un ricorso al tribunale commerciale di Bruxelles, perché lì ha sede l'Unione Europea. È un ricorso che si basa su due articoli del trattato sull'Unione Europea: il 101 che vieta gli accordi tra imprese che limitano la concorrenza; e il 102 che vieta i comportamenti abusivi delle imprese o società che detengono una posizione dominante».
«Il secondo è stato fatto a ottobre con European Leagues, la divisione europea di FIFPRO e la Liga, che hanno ricorso alla Corte di giustizia europea accusando la FIFA di star abusando della propria posizione nel regolamentare il calendario internazionale [delle partite, nda]».
«In poche parole, quello che FIFPRO imputa alla FIFA è di regolamentare il calendario internazionale senza condividere nulla: quello che si chiede è una gestione più trasparente, inclusiva della redazione del calendario internazionale. Chiaramente la goccia che ha fatto traboccare il vaso in questo senso è stata il Mondiale per club: non perché i calciatori non vogliano giocarci, ma perché ha intasato ulteriormente il calendario internazionale. Per ora la FIFA ha contro-dedotto, noi stiamo inviando un'ulteriore memoria, l'Unione Europea non si è ancora espressa. Adesso abbiamo uno scenario abbastanza chiaro davanti».
La fiducia di FIFPRO e degli altri sindacati deriva soprattutto dalla vittoria ottenuta l’anno scorso in un altro contenzioso, che riguardava temi diversi ma che poggia su principi giuridici simili. È il caso che ha riguardato Lassana Diarra, che qui non posso spiegare senza far deragliare questo pezzo ma che potete approfondire attraverso questo articolo realizzato da Calcio e Finanza. Qui vi basterà sapere che la vittoria legale dei sindacati in questo caso teoricamente dovrebbe dare molto più potere ai calciatori nello svincolarsi dai propri contratti con le società, che invece non potranno più chiedere risarcimenti irragionevoli alle loro successive squadre.
Ma perché teoricamente? Be’ perché, come mi ha detto Sartori, «la FIFA è un'associazione super poderosa» e potrebbe avere anche il coraggio di andare avanti sulla sua strada senza guardare in faccia a nessuno, come d’altra parte sta facendo per l’organizzazione del Mondiale per Club. «La FIFA si sta difendendo ma non ci sta convincendo molto. Nella sua difesa ha sostenuto di aver coinvolto la FIFPRO ma non è assolutamente vero. Aveva dichiarato di volerci coinvolgere, ma poi il Mondiale per club è stato presentato alla stampa senza che noi ne sapessimo nulla. Per cui siamo abbastanza fiduciosi - anzi, più che abbastanza. Sulle tempistiche, però, è difficile dire qualcosa».
Non sappiamo quanto sia lunga, insomma, ma è alla fine di questa strada che potrebbe apparire davvero lo sciopero dei calciatori. «Se la FIFA continuasse imperterrita, non è da escludere nulla», mi dice Sartori «È possibile anche che la Commissione Europea dica: ok, invitiamo le parti a trovare un compromesso. Il problema è che con la FIFA non è semplice. Ci sono altri casi, come quello Diarra che sta mettendo in discussione il sistema di trasferimenti internazionali e che potrebbe avere più o meno gli stessi effetti della Bosman, eppure, nonostante una sentenza favorevole al calciatore, per ora la FIFA non è che abbia fatto granché. È evidente quindi che se la FIFA non dovesse sedersi ad un tavolo per concordare [con noi, nda] il calendario internazionale allora dovremmo prendere atto che non rimane molto altro da fare. Parlare di sciopero a livello globale è molto difficile - è difficile farlo a livello domestico, figuriamoci a livello globale. Ma se la FIFA continuasse a decidere da sola qualsiasi scenario si può aprire».
Ora, non voglio convincere nessuno, ma chi vuole leggere questa battaglia sindacale esclusivamente come una lotta di potere non ne caverà chissà che. Certo, anche io sono curioso di sapere come andrà a finire tra le due parti, se alla fine davvero i calciatori intraprenderanno questo passo epocale. Ma per saperlo non possiamo far altro che aspettare. Nel frattempo, però, questo conflitto già oggi solleva delle questioni fondanti, le cui risposte plasmeranno davvero - come a volte retoricamente si dice - il futuro di questo sport.
Per esempio: è ancora possibile aumentare il valore commerciale del calcio semplicemente aumentando il numero delle partite? E poi: è auspicabile? E se sì, per chi? Se Sartori parla del Mondiale per Club come «goccia che ha fatto traboccare il vaso» è perché la FIFA aveva già tirato dritto sull’allargamento del Mondiale per Nazionali, da 32 a 48 squadre a partire dal 2026 (e in futuro chissà magari arriverà anche a 64), con conseguente moltiplicazione delle partite e quindi del carico di lavoro per i calciatori. «La FIFA sta prendendo una strada che sembra quasi una corsa senza sosta ad aumentare le competizioni e i format», mi dice Sartori nella nostra intervista «L'unica soluzione è che le competizioni innanzitutto non aumentino, anche perché adesso lo stanno facendo per una questione di business, non c'è nessun'altra giustificazione valida».
I calciatori, mi dice sempre Sartori, vorrebbero avere voce sull’aumento delle partite da giocare in stagione ma anche sulla collocazione delle competizioni. Quella attuale del Mondiale per Club, alla fine di una stagione già estenuante e a brevissima distanza dall’ultima finestra per le Nazionali, viene per esempio definita «nefasta». Il problema è che quella posizione è proprio ciò che rende potenzialmente interessante da un punto di vista commerciale il Mondiale per Club per le televisioni, in un anno in cui non ci sono competizioni per Nazionali (ad esclusione degli Europei femminili, che cominceranno proprio mentre il Mondiale per Club entrerà nel vivo), e in un momento in cui di solito la stagione calcistica muore ed entrano in gioco altri sport (come il ciclismo e soprattutto il tennis). È possibile allora pensare a un’altra collocazione? C’è davvero spazio per un compromesso?
A complicare ulteriormente le cose c’è anche la UEFA, che è l’alleata silenziosa degli oppositori della FIFA e l’ambiguo convitato di pietra di questo conflitto. Anche qui bisogna andare oltre il gioco delle parti per capirci qualcosa: dopo il caso Superlega (in quel caso appoggiata silenziosamente dalla FIFA), la UEFA si è ritagliata uno strano ruolo a difesa dei campionati nazionali (rappresentati come già detto dalla European Leagues), ma in realtà anch’essa, come la controparte guidata da Gianni Infantino, ha negli ultimi anni aumentato il numero delle squadre partecipanti agli Europei e alle coppe, e quindi il numero di partite e il carico di lavoro per i calciatori.
È un argomento di cui si discute molto, quello del numero oltre il quale diventano troppe partite, e che fa alzare qualche sopracciglio. Nonostante i numerosi studi citati da FIFPRO secondo cui il carico di lavoro stia ormai mettendo a repentaglio la salute dei calciatori d’élite, per esempio, Luis Suarez - che parteciperà al Mondiale per Club con l’Inter Miami - ha recentemente dichiarato che «i calciatori non dovrebbero inventarsi delle scuse riguardo al numero delle partite, al calendario troppo fitto o a cose del genere: lavorare è un nostro dovere». Allo stesso modo, uno studio realizzato recentemente da Simon Kuper e John Burn-Murdoch per il Financial Times ha messo in discussione l’idea secondo cui sia il numero di minuti giocati sia davvero aumentato negli ultimi anni, attribuendo la crescita degli infortuni all’intensità e alla velocità del calcio contemporaneo.
Chiaramente non sono argomenti che si possono risolvere con un paio di righe, ma aggiungo qui qualche osservazione che può valere come spunto di riflessione. Non è detto che intensità e minutaggio siano necessariamente in opposizione, e al contrario forse bisognerebbe prendere in considerazione tutti i rischi che comporta un calendario troppo fitto nel 2025, a partire dalla compressione dei periodi di sonno e riposo, soprattutto per i calciatori che devono affrontare lunghi viaggi intercontinentali. Non bisogna dimenticare, poi, che l’aumento del numero di cambi ha spalmato il minutaggio della rosa all’interno delle grandi squadre che giocano le coppe e che, per la stagione dei club, gli effetti più importanti sui calendari si vedranno proprio a partire da questa stagione, che ha visto l’espansione delle coppe europee (e anche per quello per Nazionali, nonostante si sia già iniziato a vedere qualcosa con l’espansione degli Europei e l’introduzione della Nations League, il grosso arriverà con l’introduzione del nuovo format dei Mondiali).
Insomma il peggio per i calciatori deve ancora venire, ma il conflitto tra competizioni domestiche e internazionali che l’espansione del calendario comporta è visibile già oggi, che vogliamo ammetterlo o meno. All’inizio di questa stagione, per dire, in molti avevano previsto che l’assenza di impegni infrasettimanali avrebbe fatto la differenza per la stagione del Napoli, ma certo ha fatto un altro effetto vedere l’Inter completamente sfibrata perdere la finale di Champions League per 5-0 contro una squadra giovane e brillante, dopo una stagione estenuante in cui aveva già perso lo Scudetto, la Supercoppa e la Coppa Italia. Sarebbe arrivata lo stesso così svuotata senza il nuovo format della Champions League? Senza la final four di Supercoppa? Marotta, per giustificare il secondo posto in campionato, ha ricordato le 19 partite in più giocate dall’Inter in questa stagione («equivale a un intero girone del campionato di Serie A») e ci vuole una certa violenza per considerarle solo un alibi.
La questione non si riduce al campo ma ha implicazioni più grandi. Le squadre sono ormai costrette a fare delle scelte e sembra sempre più vicino il momento in cui lo stesso dovranno fare anche le televisioni, che poi sono la mano nemmeno così invisibile di tutta questa storia. L’investimento di DAZN nel Mondiale per Club, al di là della sua origine, arriva nella stessa stagione in cui l’emittente streaming ha deciso di pagare 100 milioni di euro pur di svincolarsi dall’accordo che aveva con il campionato francese per la trasmissione delle sue partite, gettandolo in uno scenario di grande incertezza.
È una coincidenza, certo, ma una coincidenza significativa in uno scenario di risorse finite e ottimizzazione dei costi in cui tutti i campionati europei (compresa la Premier League) ormai sembrano aver scollinato il momento in cui il valore commerciale dei propri diritti TV sembrava poter crescere indefinitamente. I motivi, anche in questo caso, sono tanti e complessi - come ha ricordato Prima Online in un pezzo che ha definito l’uscita di scena di DAZN dalla Ligue 1 “un segnale per tutte le leghe” - ma tra questi c’è anche il fatto che “la concorrenza delle grandi competizioni europee e mondiali – la Champions League e ora, a giugno, il Mondiale per Club – in questi ultimi mesi ha evidentemente ridefinito il valore del campionati locali e probabilmente messo in crisi l’intero assetto del sistema”. Da questo punto di vista, forse è più chiara la presenza di European Leagues a fianco dei calciatori nelle loro battaglie.
«Quello che noi chiediamo è di partecipare al processo decisionale, prendendo atto che dai calciatori vengono determinate istanze, la prima delle quali è quella di non infortunarsi per un eccesso di partite di alto livello», mi ha detto Stefano Sartori, proponendo per esempio un limite massimo al numero di partite che un calciatore può giocare in una stagione. «Inter-Barcellona non è come un'altra partita ordinaria di campionato [da un punto di vista dell’impegno per i calciatori, nda]: e queste due partite vanno armonizzate nel calendario. Poi ci tengo a ribadirlo: per noi tutte le competizioni hanno lo stesso valore e tutti i calciatori sono meritevoli di tutela. Il calendario va armonizzato proprio perché l'incremento di competizioni internazionali sta danneggiando i campionati domestici».
Stefano Sartori ha utilizzato spesso questo verbo, “armonizzare”, come se conservasse ancora la speranza di trovare un incastro di questo domino che permetta di evitare il conflitto. Mi chiedo però se sia davvero così. È ancora possibile armonizzare tutte queste istanze? L’impressione è che un possibile sciopero dei calciatori si trovi al centro di un punto di rottura molto più grande di quello che pensavamo.