
Pubblichiamo un estratto della puntata di oggi di Ermes, la nostra newsletter quotidiana sulle Olimpiadi di Parigi curata da Riccardo Rimondi. Se ancora non siete iscritti, potete farlo inserendo la vostra email nel form qui sotto.
Quest’anno l’Italia della scherma ha affiancato, alle sconfitte, molte proteste. Lo zenit si è raggiunto con la finale di fioretto persa da Filippo Macchi con una decisione discutibile dei giudici, quando all’ira dello staff tecnico si sono aggiunti gli anatemi del presidente del CONI, Giovanni Malagò, contrariato per la presenza di due giudici asiatici nella finale che vedeva impegnato uno schermidore di Hong Kong.
Una volta andò peggio. Oggi che è in programma il fioretto a squadre femminile, vale la pena ricordare cosa successe in quello maschile un secolo fa.
Era il 1924 e le Olimpiadi si tenevano a Parigi. Si cercava il corpo di Giacomo Matteotti e il fascismo stava prendendo il sopravvento nella società. La Francia era il primo approdo degli oppositori politici in uscita dall’Italia. Insomma, la tensione era alta. Nel pugilato, dopo un verdetto contestato, gli italiani presenti lanciarono proiettili contro il giudice britannico e tentarono di aggredirlo.
In pedana successe di tutto. Nel fioretto a squadre l’Italia era impegnata contro la Francia, quando il livornese Aldo Boni imprecò in italiano contro il giudice ungherese Gyogyi Kovacs per una stoccata a sfavore. Quello chiese la traduzione a un altro livornese, Italo Santelli, che allenava gli ungheresi. Scoprendo cosa gli aveva detto Boni, lo sanzionò. La squadra italiana uscì dalla sala cantando "Giovinezza" (l'inno del partito nazionale fascista).
Poi arrivò il turno della sciabola individuale, dove c’erano quattro italiani nello stesso girone: si misero d’accordo per favorire il più forte, Oreste Puliti (a sua volta livornese), lasciandogli vincere agilmente gli scontri diretti. Kovacs, lo stesso giudice del fioretto, protestò e la giuria gli diede ragione. Puliti si scagliò contro l’ungherese: «Vieni fuori, così risolviamo la questione a bastonate come facciamo noi fascisti», disse. Santelli tradusse, Kovacs riferì alla giuria, Puliti fu squalificato. Due giorni dopo l’italiano schiaffeggiò Kovacs e i due si affrontarono a duello a Nagykanisza, fra Ungheria e Austria: dopo oltre trenta assalti in più di un’ora, finì con entrambi feriti.
Nel frattempo la stampa aveva attaccato pesantemente Santelli, apostrofandolo come "traditore". Lui sfidò a duello il vicedirettore della Gazzetta dello Sport, Adolfo Cotronei, quello che l’aveva attaccato più violentemente, poi si fece sostituire per l’incontro dal figlio Giorgio che quattro anni prima aveva vinto le Olimpiadi ad Anversa. Il giornalista ne uscì malconcio, gli vennero applicati dodici punti di sutura.
In quegli anni nella scherma c’erano molti elementi di tensione, tra geopolitica, nazionalismi e rivalità tra le scuole storiche. Al confronto tra Italia e Francia si era aggiunta l’Ungheria, il tutto in un ambiente elitario immerso in un’epoca in cui non solo gli aristocratici ma la classe dirigente in senso ampio era solita risolvere i problemi sfidandosi a duello.
Nel 2007 il The International Journal of the History of the Sport pubblicò questo articolo, che ripercorre la vicenda e il modo in cui la affrontarono i giornali dell’epoca.