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Dario Pergolizzi
Quanto pesano le scelte di Guardiola
17 ago 2020
17 ago 2020
Contro il Lione è arrivata un'altra eliminazione europea dolorosa.
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Dario Pergolizzi
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Neanche quest’anno il Manchester City di Guardiola è riuscito a superare i quarti di finale di Champions. Dopo la spettacolare eliminazione per mano del Monaco di Jardim agli ottavi di finale nella stagione 2016-17, quella subita dal Liverpool di Klopp ai quarti nella stagione 2017-18 e infine quella ancora più beffarda contro il Tottenham di Pochettino sempre ai quarti nella stagione 2018-19, sabato l'allenatore catalano ha dovuto affrontare la quarta eliminazione consecutiva contro il Lione. Nonostante le doverose premesse sull’eccezionalità del torneo in questa strana stagione, rimane comunque l’impressione che la sconfitta contro la squadra di Rudi Garcia, tra queste, sia forse l’eliminazione più deludente, sia per come è arrivata, sia per il dislivello tecnico tra le due squadre.


 

Il City di quest’anno, nonostante i tanti punti persi in campionato, era infatti tra le favorite alla vittoria finale del trofeo, ancor più dopo le eccellenti eliminazioni delle altre pretendenti, tra cui il Real, proprio per mano della squadra di Guardiola, e il Barcellona, malamente distrutto dal Bayern Monaco.


 

È difficile trovare un filo rosso tra tutte queste eliminazioni, un'unica ragione che spieghi i fallimenti di Guardiola in Europa negli ultimi anni. In Inghilterra una delle accuse principali che si fa al tecnico catalano è quella di “overthinking big games”, cioè di pensare troppo le partite decisive - di sovraccaricare di informazioni o snaturare la squadra, cambiandola troppo. In realtà, questa è un'accusa che viene mossa a Guardiola praticamente da sempre ma che riacquisisce forza ogni qualvolta l'allenatore catalano va incontro a una sconfitta importante. In questo senso, è utile ricordare che questo stesso approccio ha fatto in realtà la fortuna di Guardiola in moltissimi casi - arrivando a intuizioni “di rottura”, per esempio quella di Messi come falso 9 in quel famoso Clasico di undici anni fa, o a soluzioni vincenti, come la posizione di De Bruyne nella partita d'andata contro il Real Madrid quest’anno.


 

Ovviamente ci sono anche esempi meno riusciti, come quando con il Bayern Monaco provò a difendere a uomo a tutto campo contro il Barcellona dell'MSN venendo travolto, o come la partita di andata contro il Tottenham ai quarti dello scorso anno. Quello del piano gara iniziale è solo un dato da cui partire per l'analisi della partita e per ogni caso specifico, nel valutare un'eliminazione, bisogna prendere anche altri elementi, come il piano psicologico, quello atletico o della lettura della gara in corso attraverso i cambi. Quel che è certo, però, è che la decisione di cambiare modulo a inizio partita contro il Lione è ciò che verrà ricordato quando in futuro si parlerà di questa eliminazione.


 

Il 3-5-2 del City non ha funzionato


Già prima del fischio di inizio, infatti, aveva stupito un po’ tutti la scelta di Guardiola di adottare un 3-5-2 quasi speculare contro un avversario non solo tecnicamente inferiore ma anche modesto in termini di intensità del pressing. Fernandinho, impiegato diverse volte sulla linea dei difensori anche in coppia, per l’occasione è stato posizionato sul lato destro di Eric Garcìa, centrale classe 2001, con Laporte a sinistra. Cancelo a sinistra e Walker a destra erano gli esterni, mentre in mezzo De Bruyne partiva dalla posizione di mezzala destra, con Rodri davanti alla difesa e Gundogan a fare invece la mezzala sinistra. Sterling e Gabriel Jesus componevano la coppia d'attacco che doveva sorprendere il trio difensivo di Garcia, che al contrario di Guardiola si è affidato allo stesso identico undici di Torino.


 


 

Inizialmente l’idea del City è sembrata essere quella di sfruttare gli spazi alle spalle della linea difensiva del Lione, che già contro la Juventus aveva dimostrato di non coprire sempre alla perfezione. Era forse questo il motivo che ha portato Guardiola ad abbassare Fernandinho sulla linea difensiva, in modo da liberare Walker da compiti difensivi e permettergli di attaccare lo spazio alle spalle di Cornet con le sue grandi qualità atletiche. In questo contesto, però, De Bruyne doveva "compensare" l'assenza di Fernandinho agendo prevalentemente sulla linea dei centrocampisti per aiutare l’uscita del pallone e tentando di innescare le corse in profondità dei compagni.


 

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Le chiare intenzioni verticali del City a inizio partita.


 

Nei primi minuti il City è riuscito a portare la palla nei pressi dell’area del Lione con una certa facilità sfruttando questo pattern di gioco e non è andato troppo lontano dal creare qualche occasione convincente. Con il passare dei minuti, però, sono emerse tutte le criticità sia della struttura sia degli uomini scelti da Guardiola, che hanno iniziato a spostare l'equilibrio della bilancia dalla parte della squadra francese.


 

Innanzitutto, la scelta di abbassare De Bruyne in fase di prima costruzione ha inevitabilmente allontanato il belga dalla zona di rifinitura privando il City, che doveva già rinunciare ai due Silva, Mahrez e Foden, di un ulteriore fulcro creativo. La coppia Sterling-Jesus, potenzialmente temibile in ogni momento nell'attaccare la profondità, non è riuscita a gestire nessuna delle verticalizzazioni ricevute spalle alla porta, e in generale la ripartizione dei movimenti incontro/attacchi alla profondità (un compito essenziale per una coppia di attaccanti così vicini) non ha affatto funzionato come avrebbe dovuto. Anche Walker, che sarebbe dovuto essere l'arma in più in attacco, non è riuscito a dare alcun un valore aggiunto con la palla tra i piedi partendo così alto.


 

Queste difficoltà hanno tolto varietà di soluzioni alla circolazione del City, rendendo più facili le letture difensive dei francesi, già per altro agevolate dalla perfetta simmetria dei due sistemi in campo che rendeva più semplice le uscite in pressione e le marcature in base alla zona di competenza. Gli abbinamenti Denayer-Sterling, Marcelo-Jesus, Marçal-De Bruyne, Caqueret-Gundogan sono quelli che hanno dato i migliori risultati per Garcia, sia per il contenimento che per la creazione di ripartenze.


 

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Nella prima immagine, Caqueret anticipa Gundogan su una verticalizzazione di Cancelo. Nella seconda, una ripartenza nata da un anticipo di Marcelo su Jesus, con la palla che arriva ad Aouar.


 

Il Lione spezza i ritmi e Guardiola sposta De Bruyne


Da questo contesto di difficoltà per il City è venuto fuori un possesso palla inaspettato per il Lione, che ha spezzato i ritmi e sporcato la qualità delle azioni offensive della squadra di Guardiola, abituata a dominare il possesso. È stato di sicuro l'aspetto più sorprendente della partita, vista la sicurezza con cui la squadra francese è solita aspettare bassa gli avversari per poi attaccare la profondità in verticale. Eppure la qualità del suo centrocampo nel far salire il pallone alla fine è stata decisiva.


 

In occasione del gol di Cornet, ad esempio, la squadra di Garcia ha mostrato una buona flessibilità su un rinvio dal fondo giocato corto, con Marçal defilato sulla sinistra per consentire a Cornet di portarsi all'altezza della linea difensiva avversaria. Aouar gli ha fornito un appoggio corto attirando la pressione mentre Toko-Ekambi, con un contromovimento alle spalle di Garcia, ha spezzato la linea difensiva di Guardiola, che si è fatta trovare impreparata sul lancio lungo da sinistra. Anche il City, però, ci ha messo del suo. Non solo per la facilità con cui una rotazione abbastanza elementare abbia scardinato il primo pressing, ma anche per la scarsa reattività a contrastare il portatore - permettendogli di avanzare, leggere il movimento dell’attaccante e verticalizzare - per l’errore di lettura della palla scoperta e del movimento di Toko-Ekambi da parte di Laporte, e infine per la passività sulla seconda palla trasformata in gol da Cornet.


 

Certo, è tutta la stagione che il rendimento difensivo del City non è stato all'altezza dei due anni precedenti con Guardiola, principalmente a causa degli adattamenti conseguenti all’infortunio di Laporte, ma ciò che si è visto in campo sabato va forse oltre e devono far riflettere l'allenatore catalano.


 

Dopo il gol del vantaggio di Cornet, comunque, la squadra di Guardiola è diventata ancor più frenetica nella gestione del pallone, mostrando poca lucidità. Il City ha cercato di attaccare in maniera più convenzionale rispetto alle tipiche idee del suo allenatore provando la via della verticalità. Si sono visti tanti rimpalli, verticalizzazioni, appoggi approssimativi, conduzioni rischiose.


 

Guardiola ha capito di dover cambiare qualcosa intorno alla fine del primo tempo, quando ha alzato De Bruyne trasformando il modulo del City a qualcosa di simile a un 3-4-3.


 

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La nuova posizione di Gundogan attira Caqueret, che prima doveva seguirlo indietreggiando, mentre quella di De Bruyne crea una potenziale superiorità insieme a Cancelo contro Dubois.


 

Probabilmente Guardiola voleva da una parte rinforzare la catena di sinistra - che nella prima parte aveva dato qualche buono spunto, soprattutto grazie all’asse Cancelo-Sterling - spostando il leader tecnico della squadra nello spazio tra Dubois e Denayer e utilizzando la punta per attaccare lo spazio alle spalle di quest’ultimo. E dall'altra migliorare l'uscita palla in costruzione, avvicinando Gundogan, fino a quel momento poco incisivo da interno, a Rodri, visibilmente in difficoltà nel riconoscimento degli spazi e delle linee di passaggio.


 

Il passaggio al 4-2-3-1


Nonostante il miglioramento nell’occupazione degli spazi, il City ha continuato a faticare nella creazione di occasioni fino alla fine del primo tempo. Per questo motivo Guardiola ha scelto di inserire Mahrez al posto di Fernandinho e cambiare disposizione, adottando una sorta di 4-2-3-1 asimmetrico: Walker, terzino destro, rimaneva leggermente più bloccato alla linea difensiva, mentre Cancelo sfruttava la posizione solitamente stretta di Sterling per avanzare.


 


 

Mantenendo una costruzione con tre difensori e due mediani, il City è riuscito ad occupare meglio il campo e a sfruttare più agilmente le rotazioni. Walker, partendo da lontano, poteva aggiustare la sua corsa in base alle scelte di Mahrez, De Bruyne poteva muoversi tra le linee e portare palla, mentre Gabriel Jesus, data la posizione molto stretta di Sterling, si è a volte alternato con lui. Questo nuovo atteggiamento ha portato, oltre al gol di De Bruyne, anche diverse occasioni interessanti prima e dopo.


 

Tra i vari rimpianti del City c’è sicuramente quello di non aver concretizzato la mole di chance avute tra il 56esimo (cioè quando è entrato Mahrez in campo e Guardiola ha deciso di cambiare sistema) e il 79esimo, quando un passaggio rischioso di Laporte è stato intercettato da Caqueret portando al gol di Dembelé.


 

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I gravi errori di interpretazione difensiva su entrambi i gol. Nel primo, Laporte non capisce che Toko-Ekambi non poteva essere in fuorigioco e non si abbassa preventivamente alle spalle di Garcia; nel secondo, Garcia, dopo essere uscito aggressivamente sulla punta, decide di rimanere alto per sfruttarne il fuorigioco, ma Rodri si appiattisce e non esce su Aouar.


 

È bastata questa singola azione per riattivare l'aggressività del Lione e a spegnere le ambizioni del City. L’ultima contromossa di Guardiola è quella di abbassare De Bruyne al posto di Rodri, sostituito da David Silva all’85esimo minuto, ed è proprio da un lancio del belga che nasce la seconda palla che porterà all'errore incredibile di Sterling a porta vuota e, sugli sviluppi rocamboleschi del successivo rinvio dal fondo, all’assurdo 3-1 di Dembelé, con Ederson ancora una volta colpevole. 


 

Subito dopo la partita, inevitabilmente, si è parlato molto della scelta di Guardiola di partire con il 3-5-2. L'allenatore catalano nell’intervista post-partita ha motivato la sua scelta con la necessità di “coprire le nostre debolezze e limitare i loro punti di forza”, facendo riferimento all’abilità del Lione nell’attacco per vie centrali. Un'idea teoricamente sensata ma che sul campo non ha portato di fatto a nessun vantaggio tattico, e rinnegata dallo stesso Guardiola dopo nemmeno 40 minuti di gioco. Più che quella scelta, però, a pesare sono stati soprattutto gli errori della linea difensiva da una parte e degli attaccanti sottoporta dall'altra. Errori che fanno assumere a quei primi venti minuti con il 3-5-2 tutto un altro significato nell’economia della partita.


 

La Champions League continua ad essere particolarmente crudele negli episodi per il Manchester City ed è chiaro che in un anno in cui la qualificazione è giocata su soli 90 minuti il peso dei singoli eventi sia ancora più grande. Al di là delle scelte di Guardiola sul sistema da adottare e sul piano gara iniziale, a pesare è stata l'interpretazione impacciata da parte della squadra dei principi che dovrebbero caratterizzare il suo gioco. Più che la scelta del sistema e degli uomini, sul risultato finale hanno pesato alcune incertezze nell’interpretazione delle posizioni, nel riconoscimento degli spazi da sfruttare, e più in generale la mancanza di naturalezza nel fare ciò il City è quasi sempre riuscito a fare ad alti livelli. Ma il calcio è anche questo e un quarto d'ora di sbandamento può pesare 3 gol persino contro un Lione aggressivo, concentrato e organizzato, ma anche con pochissime idee offensive.


 

Forse ha pesato anche una certa fragilità mentale da parte dei giocatori più importanti del City, che sono sembrati andare in crisi di fronte alla consapevolezza che ogni episodio può essere decisivo ai fini del risultato. Ma alla fine anche questo, si può dire, è responsabilità dell'allenatore. Alla fine quello che più interessa al grande pubblico è discutere del valore di Guardiola più che di ciò che effettivamente è successo in campo, e quei primi 20 minuti peseranno sempre di più di qualsiasi altra cosa.


 

Oltre alle scelte dell'allenatore catalano rimangono sul tavolo le fragilità della rosa del Manchester City, soprattutto nel reparto difensivo e nel centrocampo (che sarà ulteriormente indebolito dall'addio di David Silva), e ovviamente il passaggio in semifinale del Lione di Garcia. Che, al netto delle sue carenze tattiche, quando c'è da motivare una squadra su un obiettivo da raggiungere nell'immediato è secondo a pochissimi allenatori. 


 

 

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