Il Pilatus è la cima più alta del massiccio che domina Lucerna, nord della Svizzera. Per raggiungere i 2.132 metri della vetta si deve salire a bordo di un piccolo treno rosso. Si chiama Pilatusbahn, ferrovia del Pilatus. A renderlo celebre non è tanto la sua meta, quanto piuttosto la sua spavalderia. Le salite che affronta sono muri. In alcuni tratti le pendenze toccano il 48%. Nessun altro treno al mondo osa tanto. Pensare a chi l’ha progettato fa sorgere il classico dubbio: sarà stata più follia o più coraggio?
Troppo facile vederci l’iconografia degli ultimi 15 anni del Sassuolo: un’ascesa ripida e incosciente, che tuttavia non è riuscita a stupire più di tanto. Che l’impresa del Leicester abbia ridimensionato tutte le altre imprese compiute nel 2015-2016? O forse non siamo più capaci di usare lo stupore. Come con l’alieno che piomba in mezzo ad un incrocio cittadino: il primo giorno tutti a fotografarlo e guardarlo, il secondo già a dirgli di spostarsi che intralcia il traffico. Adesso lo straordinario viaggio del Sassuolo è arrivato al debutto europeo proprio lì, all’ombra del Pilatus e del suo treno rosso.
Al grande pubblico è giunta solo l’ultima parte del racconto: del Sassuolo ci siamo accorti quando sono arrivati in serie A, i più attenti di noi quando stupivano in serie B. Ma la loro storia è rappresentata ancora dai due reduci dell’ultima C2: Francesco Magnanelli, il capitano con la fascia, e Alberto Pomini, il capitano senza. Centrocampista il primo, portiere il secondo.
Pomini è arrivato al Sassuolo l’estate del 2004, un anno prima di Magnanelli. Veniva da una stagione a San Marino e una a Bellaria. È la memoria storica neroverde e una colonna dello spogliatoio, così, prima che partisse per il ritiro di Malles, l’ho invitato a cena per chiedergli di spiegarmi come diavolo ci siano riusciti.
Alberto tu hai capito come hai fatto in sole 11 stagioni a passare dalla C2 all’Europa?
Quindi quando sei arrivato, nel 2004, hai capito che eri salito sul treno giusto?
Iniziare quanto?
Non un grande impatto, intendi?
Da quella profezia sono trascorse 12 stagioni. La 13esima sta per iniziare, con la squadra impegnata nei preliminari di Europa League. E soprattutto, il Sassuolo ha davvero battuto l’Inter a S.Siro. 0-1 lo scorso 10 gennaio, con un rigore di Berardi.
Se sei in C2 e in 10 anni vuoi arrivare a battere l’Inter, la prima cosa che viene in mente è che non puoi permetterti troppe battute d’arresto.
Risultati arrivati anche grazie ai nomi importanti in panchina, no?
Dovessi dire una cosa in particolare delle tante che hanno lasciato?
Non c’è mai stato un momento in cui avete detto “forse a S.Siro non ci arriviamo”?
In tutte le storie a lieto fine c’è il momento della svolta. Quello in cui l’incantesimo potrebbe rompersi ma non lo fa.
Quindi anche le due salvezze in B e in A potevano essere la fine.
A proposito di allenatori, è con Gregucci che sei diventato importante?
Nelle prime due stagioni cos’era successo?
Poca fiducia, insomma.
Poi finalmente Gregucci, dicevamo.
Quindi la certezza l’hai avuta solo a 28 anni?
Non si capisce se puoi crescere e aspirare ad una categoria più su?
Con queste premesse arrivare in A a 32 anni dev’essere stato come il traguardo di un tappone di montagna.
Pomini festeggia la promozione in A.
Ti sei mai chiesto perché a qualche bambino, come sei stato te, all’emozione del fare gol preferisca quella di impedirlo?
A me sembra un ruolo così differente che bisogna averlo dentro.
E l’incoscienza e la follia di cui si parla sempre riguardo ai portieri?
Nel senso che la mente viene prima della tecnica.
Restando sul discorso tecnico, cosa pensi del guardiolismo di questi anni? Sembra che la metamorfosi kafkiana del portiere sia ormai definitiva e adesso è un quasi-libero.
Harlem Shake d’altri tempi. Pomini lavora a sinistra, vicino alla spalliera. Poi lo si perde un po’ di vista.
Ti senti uno dei leader della squadra? Di avere una certa influenza dentro lo spogliatoio?
Farà piacere anche ad un allenatore avere senatori che conoscono l’ambiente da tanto tempo.
In piazza Risorgimento, alla base di un condominio basso e largo, c’è il bar Luana. Di fronte al bar, lo stadio Enzo Ricci in cui il Sassuolo (che non ci gioca più dall’ultimo anno di C1, quello della promozione con Allegri) continua ad allenarsi. È vero che ci vai ancora in bicicletta e saluti gli anziani che giocano a carte al bar Luana?
Sei quasi più sassolese che veronese ormai. Hai anche l’accento.
Addirittura?
Dev’essere bella una tale simbiosi tra luogo e squadra.
Pomini risponde all’appello della sezione AVIS di Sassuolo. È il testimonial per promuovere la donazione del sangue.
Ti fermerai lì quando smetterai?
Non sei mai andato a Formentera?
Quando smetterai sarà anche il momento dei bilanci. Qualche rimpianto?
Sento che sta arrivando un però.
Quel Sassuolo-Inter?
Alla sua seconda in A.
La finale di Coppa Italia, col Milan sconfitto dalla Juve, vi ha aperto le porte dell’Europa. Quando avete cominciato a crederci?
Oltre alla prontezza, servono anche i punti.
Forse nemmeno così al di là delle aspettative. Voglio dire che il vostro livello tecnico, di gioco e di risultati si è notevolmente alzato.
Qualche nome di quelli che hanno aiutato ad alzare l’asticella ti viene in mente?
E la stella Berardi?
In che senso?
Il fatto che non siate più una sorpresa lo dimostra anche il caso Vrsaljko: siete ad un solo grado di separazione dai vice-campioni d’Europa.
Negli ultimi anni la programmazione Sassuolo ha portato da voi anche gente come Zaza e Pavoletti, che quest’estate sono al centro di molti discorsi.
Il trailer ufficiale della prima stagione anche europea del Sassuolo.
Adesso con l’Europa cosa cambia?
Però ora dovrete giocare per andare sempre un turno avanti, un po’ diverso dal giocare per salvarsi a cui siete più abituati, no?
Allora in bocca al lupo.