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Sané, di padre in figlio
15 feb 2016
15 feb 2016
Leroy Sané non è solo uno dei migliori prospetti del calcio tedesco, ma anche un personaggio con una storia incredibile.
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Il processo di maturazione della figura di un calciatore è un percorso a tappe: nella carriera di Leroy Sané il primo importante check point è arrivato nella gara casalinga dello Schalke 04 contro il Wolfsburg del 6 Febbraio. Il mercato si era chiuso quasi una settimana prima e la giovane punta, nonostante mille congetture su un trasferimento immediato o a termine verso i lidi più ambiziosi e prestigiosi d’Europa, era finito per rimanere in Vestfalia.

Nei giorni immediatamente precedenti il match, nelle stanze dei bottoni della società di Gelsenkirchen dovevano aver convenuto che tanto valeva, allora, cominciare a capitalizzarne l’immagine: in esatta antitesi al modello auspicato da Borja Valero, in un certo senso a mistificarlo. Mettersi a vendere sciarpe con il suo volto, tazze da caffè griffate e persino parrucche. Prima che fosse troppo tardi, almeno.

https://twitter.com/diegoerrichetti/status/695957953703186432

Leroy è uno dei prospetti tecnicamente più interessanti d’Europa: sembra far parte di una categoria diversa di calciatori, superiore.

Leroy ha l’appeal del supereroe della Marvel.

Il gol contro il Darmstadt è l’ultimo segnato finora da Sané in Bundesliga. Corre a una velocità che sembra raddoppiata rispetto a quella degli avversari, si infila nello spazio prima che gli altri se ne accorgano, controlla con il tacco sinistro, si porta avanti la palla, e poi trafigge il portiere con un tunnel irriverente fino all’umiliazione.

È per questo che tutti sembrano volerlo, da Madrid a Barcellona passando per l’Inghilterra, dove Klopp e Guardiola lo arruolerebbero volentieri nei rispettivi commando rivoluzionari intenzionati a sovvertire l’ordine costituito della prossima Premier League.

Ma c’è anche un altro aspetto per il quale è interessante parlare di Sané: oltre al tipo di giocatore che è, Leroy si distingue per quello che rappresenta.

Ha una storia familiare (e sportiva) di successo, con una trama così articolata e drammatica da sembrare un romanzo; e poi è il prodotto meticcio della stratificazione sociale della Germania moderna.

In più ha anche l’appeal della popstar, una riconoscibilità immediata e facilmente brandizzabile: non credo siano molti i ventenni che possono permettersi di posare sul mug nel quale prendiamo il primo caffè della giornata senza sembrare ridicoli.

La naturalezza con la quale a qualcuno è venuto in mente di vendere - e probabilmente a qualcun altro di comprare - una parrucca che ricordi la sua capigliatura è assai eloquente della sua potenzialità iconica.

L’inesperienza, la giovinezza e i leciti dubbi sulle mille derive che la sua carriera potrebbe prendere di qui a cinque anni, di fronte a una tale miscela di fattori, svaniscono come la neve in primavera a Gelsenkirchen.

Epifanie

Specie se messe a confronto con la più verosimile quotazione che gli attribuisce Transfermarkt, pari a 8 milioni di euro, le cifre accostate al suo nome dai rumor di mercato sono folli: 55 milioni di euro, il più alto valore mai riconosciuto a un calciatore tedesco.

Assurde anche per un giocatore che ha già una quarantina di presenze tra Bundesliga, Champions League e Europa League pur essendo appena ventenne.

Certo, stiamo parlando di un ragazzo che già a livello giovanile ha offerto prestazioni ben oltre la media: 12 gol e 11 assist nell’ultima stagione di A-Jugend Bundesliga West, il campionato tedesco U19, che ha giocato da titolare; gol all’esordio con l’U19 e 4 reti in 4 partite con l’U21 della Mannschaft; e poi 4 reti e altrettanti assist in 12 presenze nella Uefa Youth League, competizione nella quale è stato inserito nel Top XI e ha portato il suo Schalke fino alla semifinale, sconfitto solo dal Barça di Munir e Adama Traoré.

La terza rete da professionista, la prima davvero leroysanésque.

A fare la differenza, nella carriera di Sané, finora sono state le epifanie.

Una di queste, forse la più importante, è l’ingresso sul prato del Bernabeu il 10 Marzo 2015.

Vine muto.

Forse finirà per sminuire un po’ la lungimiranza di Di Matteo, ma è bene ricordare come la sostituzione di Choupo-Moting con il giovanissimo Leroy sia stata dettata, quella sera, da una semplice-fino-alla-banalità quanto impietosa carenza di sostituti. All’andata il Real aveva vinto per 2-0 in trasferta: sul risultato di 1-1, le chance dello Schalke di strappare una qualificazione al Bernabeu erano già a quel tipo di livello lumicino da giustificare l’azzardo di affidarsi a un giovanissimo senza alcuna esperienza internazionale. Invece Leroy segna un gol memorabile e per poco i renani non riescono a compiere l’impresa della remuntada.

Non è successo, ma il razzo interstellare a cavalcioni del quale Leroy Sané attraversa il firmamento calcistico europeo è decollato in quel momento.

Il passaporto per il Mondo Dei Sogni

In un’intervista per 11 Freunde Souleyman Samy Sané, ex calciatore e papà di Leroy, ha detto «Il suo mito non sono di certo io, non ha neppure una mia maglia: ognuno si sceglie i miti che vuole, lui ha Cristiano Ronaldo e Messi perché sono giocatori capaci di darti il passaporto per il mondo dei sogni». Se esistesse davvero una cittadinanza calcistica per il Mondo Dei Sogni, Leroy avrebbe diritto almeno a una Green Card.

Leroy in pieno egotrip: salta il portiere, mostra l'inganno di interessarsi a quello che succede al centro dell'area, poi fa come si faceva in piazza le sere d'agosto: dribbla tutti e la mette dentro.

È un aspetto che contribuisce a ingigantirne l’iconicità il fatto che Sané sia il giocatore che dribbla di più in Bundesliga, anche più di Coman; il numero di dribbling per match è più alto di quelli di Martial e Sterling messi insieme (secondo i dati Squawka). C’è qualcosa di più appassionante, o di più appetibile per l’immedesimazione, di un calciatore che sublima la propria supremazia sui rimanenti ventuno in campo per mezzo del dribbling? Quando frena in corsa e cambia direzione, quando si invola con la palla incollata al piede, Leroy incute sgomento: racchiude in sé l’essenza del gioco del calcio che impariamo a distillare da bambini, quando mescoliamo la tecnica all’emotività.

Una serie di sinonimi che potremmo trovare alla voce Leroy Sanésul thesaurus del Merriam-Webster: veloce, agile, leggero, rapido, potente, esplosivo, resistente. Qua, per attraversare tutto il campo, impiega 9 secondi.

Parlo di Sané come portatore di valori calcistici primitivi, ingenui, perché dimostra di trovarsi a suo agio anche nel livello minimo di sofisticazione del gioco. Non è uno di quei giocatori che hanno bisogno di compagni capaci di vaticinarne le visioni affinché una giocata non sembri un delirio di Jodorowski ma qualcosa di esteticamente compiuto. Leroy non è Özil, per capirci.

Leroy può fare anche tutto da solo. E spesso lo fa.

Egotrip #2: contro lo Stoccarda guadagna quattro metri al difensore, se ne fa beffe e poi insacca. L'impressione è che si sarebbe potuto addirittura lanciare da solo.

Quando sul finire di novembre lo Schalke ha affrontato il Bayern Monaco, a fine partita Guardiola ha dichiarato «Leroy è un talento enorme: non posso che congratularmi con la Germania per avercelo, un talento come lui». Pep non usa mai le parole a caso: avrebbe potuto dire Schalke, al posto di Germania, e non credo che l’abbia evitato solo perché sicuro di un pronto trasferimento altrove.

Leroy Sané è un quadro giovanile del Caravaggio: i collezionisti più esigenti se lo potranno contendere su basi milionarie, l’aspetto fondamentale è che venga esposto. Non ha troppa importanza dove.

In quella partita Sané aveva servito a Max Meyer l’assist per la rete del momentaneo pareggio.

Ho deciso di restringere l’azione all’assist perché tutto quello che segue - il controllo, il taglio a convergere verso il centro dell’area e il tiro a incrociare del compagno - è così parte di un altro universo semantico che sembra quasi incompatibile con la serie di gesti tecnici e movimenti pazzeschi che Leroy Sané mette in mostra sul cerchio di centrocampo, a partire dal controllo di tacco con successivo sombrero a Coman.

I concetti di corredo genetico e legacy

Leroy ha esordito con la nazionale maggiore tedesca il 13 Novembre scorso, nell’amichevole di Saint-Denis contro la Francia offuscata dagli attacchi terroristici di Parigi.

Lo Stade de France si trova a poco più di trenta chilometri dalla cittadina di Viry-Chȃtillon in cui, quindici anni prima che Leroy nascesse, il padre Souleyman aveva iniziato la sua carriera professionistica.

Souleyman si era trasferito in Francia dal Senegal quando aveva quattro anni insieme ai genitori, impiegati all’ambasciata senegalese nell’Esagono. Nel 1982 aveva ricevuto la chiamata per il servizio militare: dato il suo status di promessa sportiva avrebbe potuto effettuare la leva obbligatoria nei pressi di Parigi, a patto che avesse consegnato all’esercito alcune documentazioni fornite dalla Federcalcio francese. Ma quando la chiamata era arrivata Souleyman era in vacanza in Italia, e al suo ritorno i termini per la consegna erano già scaduti. Venne assegnato di stanza in Germania, nella Foresta Nera.

Durante il servizio militare in trasferta giocava per una squadra di dilettanti. Nonostante il livello amatoriale spesso dagli spalti piovevano insulti razzisti: gli gridavano «husch husch neger in den busch», una brutta maniera di accostare il colore della pelle e i cespugli. Samy, cresciuto in un contesto multiculturale come quello francese e protetto dall’involucro che gli cuciva attorno il fatto di non conoscere bene la lingua, subiva con leggerezza. Oggi ridimensiona o, meglio, contestualizza con lucidità: «Erano solo spaventati. All’epoca c’erano davvero pochissime persone di colore in Germania. In certi paesi c’era chi ne aveva visti solo in TV, mai dal vivo. Figuriamoci nel calcio, dove la cerchia era ancora più ristretta».

Il Friburgo lo notò in una partita in cui mise a segno cinque gol in un tempo solo, e lo mise sotto contratto. Nelle tre stagioni passate in rossonero faceva coppia, in attacco, con Joachim Loew: trent’anni più tardi, in una telefonata, l’attuale tecnico della Germania avrebbe informato l’ex compagno della volontà di convocare suo figlio.

Sané e Loew divisi dal portiere del Friburgo.

Quando il Norimberga si dichiarò interessato all’acquisto di questo attaccante esotico, che aveva la media pazzesca di un gol ogni due partite e correva i 100 metri in 10.7’, nella piccola città bavarese ci fu una specie di sommossa. I giornalisti parlavano di lui come di una «questione delicata». I tifosi sommergevano la sede societaria di lettere e telefonate: minacciavano di chiedere il rimborso degli abbonamenti se avessero visto «un negro con la gloriosa maglia del FCN».

I geni della velocità sono ereditari?

Gli anni di Norimberga sono fondamentali nella vita di Samy: nella sua stagione d’esordio in Bundesliga decide che le armi con le quali avrebbe combattuto i pregiudizi sono le prestazioni, e i gol. Segna tantissimo, anche in Europa, in Coppa Uefa, al Flaminio contro la Roma. Michel Platini, allora tecnico della nazionale francese, lo va a trovare in Bavaria, cercando di persuaderlo ad accettare una convocazione per i transalpini. Due settimane prima di quella che sarebbe stata la sua prima convocazione, però, la sua nazione d’origine, il Senegal, lo contatta su suggerimento di Otto Pfister. Per Samy accettare di vestire la maglia dei Leoni della Teranga è una maniera più forte di tante altre di ribadire la sua identità. Nel 2002, molti anni dopo il ritiro, il ministro dello sport lo avrebbe richiamato per convincerlo a partecipare alla prima spedizione mondiale dei senegalesi, sulla scia della storia della gloria camerunense Roger Milla. Non se ne fece nulla, però.

E poi, sempre nel periodo di Norimberga, Souleyman conosce Regina, che sarebbe diventata presto sua moglie.

Regina Weber è stata probabilmente la migliore ginnasta che la Germania Ovest abbia mai avuto. Campionessa nazionale per 32 volte in diverse categorie, è anche l’unica tedesca ad aver mai vinto una medaglia olimpica (quella di bronzo a Los Angeles ’84) nella ginnastica ritmica.

Anche agilità e armonia dei movimenti devono essere codificati nel corredo genetico.

I matrimoni interrazziali, nella Germania del tempo, non erano poi così comuni.

Un giornalista del Nürnberger Boulevardzeitung pensò che attaccare aspetti della vita privata di Sané senior potesse essere una maniera più potente ed efficace di dichiarare il suo disprezzo per il Sané calciatore. Scrisse articoli diffamatori su Regina Weber, uno dietro l’altro. Sané chiese gentilmente alla testata di sospendere la campagna denigratoria. Non successe, e un giorno capitò che il giornalista e Samy si trovassero uno di fronte all’altro, nel parcheggio dei campi d’allenamento del Norimberga, prima di una conferenza stampa.

«Quando mi ha visto si è bloccato, perché i nostri cammini si sarebbero dovuti inevitabilmente incrociare. È stato lì impalato per buoni venticinque minuti. Gli ho detto Io non ho fretta. Quando finalmente mi ha approcciato gli ho chiesto di farla finita, e lui mi ha risposto Questo è un paese libero, e io scrivo quello che voglio. È lì che gli ho dato una testata».

Il giornalista corse in sala stampa con la camicia insanguinata: aveva il naso rotto. Urlò «Vuole uccidermi!».

«Più tardi», racconta Samy, «Hermann Gerland (l’allenatore, NdA) mi ha chiesto: "Cosa è successo?" Gli ho detto: "Se devi cacciarmi saprò farmene una ragione". Lui mi rispose solo: "Voglio solo sapere cosa è successo. Perché non l’hai ucciso?"».

Souleyman e Regina hanno avuto tre figli, tutti calciatori, ma è soprattutto Leroy che sembra aver condensato, nel DNA, l’esatta somma algebrica di caratteristiche e valori dei genitori. Abnegazione e talento, successo e umiltà. E poi, come tutti coloro i quali sono nati, cresciuti o hanno vissuto qualche anno nella Ruhr, una solidità di pensiero monolitica.

«È ancora poco più di un apprendista», ha dichiarato Souleyman in un’intervista alla Bild. «Ci sono molto giocatori che non restano con i piedi per terra, perché sanno che possono guadagnare tanti soldi e subito. Leroy non è così e non lo diventerà. È un ragazzo davvero coi piedi per terra. Se avrà voglia di combattere, allora riuscirà a conquistarsi il posto che si merita».

Mentre a 11Freunde ha confessato: «Ai miei figli dico sempre: non guardate il denaro. È quello il grande problema della nostra società: tutti pensano al denaro. Giovani talenti che magari hanno fatto quattro o cinque buone partite pensano già di essere superstar. Spesso si trovano in Nazionale dopo una mezza stagione. Una volta bisognava dimostrare per anni, di che pasta si era fatti».

A proposito di ereditarietà

Samy accettò di trasferirsi nella Ruhr, e di costruire là la sua famiglia, quando gli arrivò la chiamata di Klaus Steilmann, magnate del tessile e presidente del Wattenscheid 09 neopromosso in Bundesliga. Regina era stata a lungo la punta di diamante della polisportiva TV Wattenscheid 01, sempre di proprietà di Steilmann, che l’aveva poi assunta come designer per l’azienda di famiglia.

Sané è il miglior marcatore della storia dei bianconeri ed è stato eletto calciatore del secolo. Oggi la città di Wattenscheid non esiste neppure più, inglobata dalla vicina e più grande Bochum, ma nel 1991 il piccolo club eliminò dalla Coppa di Germania l’Amburgo. Per tutta la partita i tifosi avversari avevano gridato contro Sané «neger raus». Gli avevano lanciato contro arance e banane. Samy ne aveva raccolta una vicino alla bandierina del calcio d’angolo, e vent’anni prima di Dani Alves l’aveva sbucciata e mangiata. Ma il gesto di maggior rivalsa sarebbe stata la rete con la quale, all’87’, aveva determinato l’eliminazione dell’Amburgo.

La corsa rabbiosa sotto la curva, dopo il goal.

A fine partita aveva commentato con ingenuità - e una certa sagacia: «Nix neger raus - der HSV ist raus!» volendo rimarcare che gli unici ad essere eliminati, quella sera, erano stati i giocatori dell’Amburgo.

Insieme a Tony Yeboah dell’Eintracht Francoforte e Tony Baffoe, Sané scrisse una lettera aperta ai tifosi tedeschi, si intitolava così: "Wir schämen uns für alle, die gegen uns schreien". Significa: «Ci vergogniamo per tutti quelli che urlano contro di noi». A venticinque anni di distanza, nel 1994 l’artista di Francoforte Mathias Weinfurter ha dipinto quella frase sulla facciata di una casa nel quartiere di Niederrad. Si riesce a vederla, con il volto di Yeboah sullo sfondo, anche percorrendo in treno il tragitto tra la città e l’aeroporto.

Se oggi il pubblico tedesco riesce ad amare così apertamente i figli meticci della nuova Germania come Leroy, senza pregiudizi su provenienza o colore della pelle, in parte è anche merito delle battaglie culturali (e delle cicatrici) di gente come Souleyman o Tony.

Leroy è il frutto sano e appetitoso dell’albero dell’integrazione. È un claim formativo, un insegnamento, un messaggio sociale: Leroy Sané è la personificazione della campagna UEFA Unite Against Racism.

Uno di noi.

«Ho realizzato solo ad un certo punto che la gente lo conosceva e rispettava per tutto quello che aveva fatto», ha dichiarato Leroy. «Lì mi sono sentito orgoglioso di essere suo figlio. Da piccolo i miei amici erano sempre felicissimi di vederlo, ma per me era solo mio padre. Ed è ovvio che la sua esperienza mi abbia facilitato la carriera».

Generazione di fenomeni

Resta da capire perché, di tutti i fortissimi calciatori classe ’94, ’95 e ’96 che hanno spiccato il volo verso la prima squadra negli ultimi anni in casa Schalke, Leroy si sia trovato a essere investito, più di Goretzka o Max Meyer e anche Julian Draxler, e per distacco, dell’etichetta di next big thing globale.

Nell’academy dei renani si sono formati Olaf Thon negli anni ’90, Rakitic e Özil negli anni Zero del Duemila, Goretzka e Meyer nelle ultime stagioni.

La meglio gioventù.

Meyer è stato l’MVP dell’Europeo U17 nel 2012; Goretzka, di quella squadra, era il capitano. Entrambi hanno esordito in Nazionale prima di Leroy, e più giovani di Leroy. Eppure Sané è l’unico al quale lo Schalke si è trovato a fare due offerte di rinnovo contrattuale nel giro di tre mesi. Dopo aver venduto Rakitic e Özil per una somma complessiva di sette milioni e mezzo di euro, allo Schalke sembrano aver imparato le lezione di marketing: lavorare sul profilo di un calciatore, saperne commercializzare in maniera intelligente l’immagine, apporta valori aggiunti facilmente monetizzabili.

Il percorso che può portare il ragazzo che nel 2014 guardava la Germania giocarsi la finale del Mondiale di Brasile in piazza a Wattenscheid, con i suoi amici d’infanzia, a vestire la maglia di quella stessa nazionale ai prossimi Europei di Francia, e di un grande club subito dopo, passa tanto attraverso l’implementazione di un bagaglio tecnico mostruoso quanto per la coltivazione dell’hype e la costruzione di un’identità iconica.

Il primo livello è già stato sbloccato. Sarà stupendamente nostalgico, tra dieci anni, ripensare a come la costruzione della figura di Sané sia iniziata da quelle ingenue parrucche che vendevano sulle bancarelle fuori dallo stadio di Gelsenkirchen, nel freddo dell’inverno renano.

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