Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Tutto quello che c'è da sapere sulla questione San Siro
16 ott 2025
Le tappe che hanno portato alla delibera alla vendita e il significato di demolire uno stadio storico.
(articolo)
16 min
Dark mode
(ON)

Mercoledì 30 settembre, Milano si è svegliata con una notizia che costringe a rielaborare la biografia dei suoi tifosi e cittadini. San Siro ha i giorni contati. Uno degli stadi più iconici del mondo, in piedi dal 1926, probabilmente verrà abbattuto. Dopo il voto favorevole del Consiglio Comunale, che forse mette il punto a una trattativa sfinente durata sei anni, Inter e Milan hanno ottenuto la possibilità di acquistarlo, con l’idea di buttarlo giù. Prima però, il vecchio gigante di cemento vedrà sorgere ai suoi piedi un impianto giovane e moderno, a cui lascerà un’eredità impossibile.

Le immagini che arrivano dalla nottata precedente al Consiglio Comunale di Milano, non sono quelle che ci si aspetterebbe da un momento storico. Ci sono consiglieri abbandonati sulle poltrone, altri che sbadigliano senza riserve, e altri ancora che sfiancati da un interminabile tour de force cedono definitivamente a ogni aplomb istituzionale e crollano con la testa sul banco. La questione è delicata e richiedeva tempi lunghi: decidere se San Siro e 280 mila mq di area attigua possono essere venduti per 197 milioni a Inter e Milan - o meglio, ai fondi che li posseggono -, dopo quasi cent’anni di amministrazione comunale. I 239 emendamenti depositati, frutto di anni di scontri, trascinano la discussione in una maratona di 12 ore, animata da discussioni e tensioni. Solo l’introduzione di una tagliola proposta dal PD accelera i lavori, scatenando l’ira delle opposizioni e spaccature all’interno della stessa maggioranza, con il capogruppo Marco Fumagalli (Lista Sala) che non partecipa al voto e annuncia le sue dimissioni. L’approvazione della delibera alla vendita arriva solo alle 4 di notte, con 24 voti favorevoli e 20 contrari.

È la svolta che può segnare la fine di un’epoca.

Foto di Giuseppe Romano.

IL PROGETTO E LE PROSSIME TAPPE
Ora la palla passa finalmente a Inter e Milan, che nel frattempo, in un comunicato ufficiale, hanno espresso soddisfazione per la fumata bianca: «Un passo storico per il futuro». I due club dovranno procedere col rogito entro il 10 novembre - la prima rata è di 73 milioni -, quando scatterà il vincolo della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio (l’ente preposto a tutelare il patrimonio architettonico e culturale) che bloccherebbe la demolizione del secondo anello di San Siro, compromettendo l’intero progetto. A meno di clamorosi colpi di scena, l’acquisto dovrebbe essere concluso, e a quel punto la fase di progettazione entrerà nel vivo. Al momento i contorni di quello che sarà il nuovo stadio di Milano, che sorgerà nella zona degli attuali parcheggi del Meazza, sono piuttosto sfumati. Non ci sono rendering o bozzetti che lasciano immaginare il suo aspetto. Non c’è un nome, nemmeno provvisorio. Sappiamo solo che sarà un impianto all’avanguardia da 71.500 posti, circondato da hotel, negozi, uffici e spazi comunitari che definiranno un ampio progetto all’insegna dell’innovazione e della sostenibilità. Questa catena di parole chiave suona come un mantra per tutti i nuovi impianti che stanno fiorendo in giro per il mondo. Il concetto di fondo è sempre lo stesso: gli stadi come grande speranza della rigenerazione urbana. Un connubio che sotto la narrazione del progresso e dello sviluppo per le città, nasconde effetti diversi in termini di benefici economici, come dimostra una vasta letteratura accademica. Secondo il masterplan presentato dai club, l’investimento complessivo sarà di circa 1,2 miliardi, e dovrebbe generare un indotto di 4,6 miliardi, con la creazione di 18 mila posti di lavoro.

Per farsi un’idea dell’impianto bisognerà aspettare la metà del 2026, quando i club presenteranno il Progetto Esecutivo elaborato dagli studi d’architettura Foster + Partners e Manica, punti di riferimento ricorrenti per chiunque desideri costruire un nuovo stadio secondo i parametri di eccellenza contemporanea (portano la loro firma, tra gli altri, il Lusail Stadium in Qatar e il nuovo Wembley, così come il futuro Old Trafford). L’avvio dei lavori è previsto per il 2027, con l’obiettivo ineludibile di concluderli entro il 2032, quando l’Italia ospiterà gli Europei di calcio. Proprio quest’appuntamento è stato al contempo una minaccia e un acceleratore nella trattativa tra club e Comune. Dopo la notizia che San Siro non rispettava i requisiti Uefa per ragioni di comfort e sicurezza, Milano rischiava di essere tagliata fuori dalle sedi del torneo, un enorme danno d’immagine per la città che più di tutte, in Italia, fa dell’ambizione al progresso il cuore del suo racconto. Ora invece, se tutto andrà secondo i piani, Milano si presenterà agli Europei con il luccicante biglietto da visita di uno stadio nuovo di zecca, che punta a essere il fiore all’occhiello della competizione.

Foto di Giuseppe Romano.

Passata la sbornia per il battesimo in pompa magna della nuova creatura, l’agenda virerà sull’appuntamento più malinconico. Dopo gli Europei, le ruspe entreranno in azione per smembrare il 90% di San Siro, di cui resteranno la torre sud-est e porzioni del secondo anello e della tribuna arancio, destinate a diventare parte di un sontuoso memoriale che celebra la storia dello stadio. San Siro non verrebbe abbattuto di colpo, ma smontato a strati, come un’enorme cipolla di cemento. Terzo anello, secondo, primo. Poi via barriere e parapetti e alla fine, con delle grandi pinze, verrà sradicata la struttura.

Un rituale quasi chirurgico che separa l’acciaio dai ricordi, e che produrrà centinaia di migliaia di metri cubi di cemento da dividere tra discarica e cantiere. Il risultato sarà un manufatto che dovrebbe rievocare i tratti iconici di San Siro, e che sarà integrato a un parco caratterizzato da percorsi pedonali.

Per quanto il programma sia definito, la realizzazione del progetto presenta ancora delle insidie, a partire da alcune clausole di cui si è avvalso il Comune. Tra queste compare anche una condizione risolutiva che prevede la possibilità di annullare la vendita nel caso in cui a un anno dalla presentazione del progetto per il nuovo stadio non dovessero esserci i presupposti per l’avvio dei lavori. Altri ostacoli potrebbero sorgere dall’inchiesta della Procura sulla gestione urbanistica di Milano, che ha già posto degli alert su San Siro. A questi si aggiungono i ricorsi che potranno essere presentati a partire dal 2026. Si tratta di scenari che ancora non fanno dormire tranquilli i due club, ma che sembrano risibili se si guarda al percorso travagliato che ha condotto fin qui.

LE ORIGINI DEL PROGETTO
Era il 2019 quando Inter e Milan hanno avviato i primi discorsi seri sulla costruzione di un nuovo stadio. Entrambe stavano faticosamente provando a riemergere dall’abisso in cui erano piombate negli anni precedenti. Risultati scadenti, progetti tecnici discutibili, cambi di proprietà e soprattutto una situazione finanziaria precaria, avevano intrappolato Milan e Inter in una mediocrità stagnante. Mentre gli altri grandi club europei vedevano crescere il proprio fatturato e consolidare il proprio status, i due club di Milano cercavano di arrabbattarsi con sofisticate operazioni di marketing per sedurre nuovi mercati e provare a rimanere a galla. Ma vendere l’immagine di un club senza stelle, vendere la grandeur perduta è difficile, e non basta per sopravvivere nell’ecosistema del calcio moderno. Per quanto San Siro rappresentasse ancora un elemento attrattivo e identitario, amato e celebrato in tutto il mondo, l’idea di avere uno stadio di proprietà, moderno e multifunzionale, che permettesse di aumentare esponenzialmente i ricavi non poteva più essere rimandata.

Foto di Giuseppe Romano.

L’ipotesi era già stata timidamente esplorata qualche anno prima da Barbara Berlusconi, allora amministratrice delegata del Milan, ma si era incagliata per problemi logistici e per l’opposizione dello stesso Silvio Berlusconi, legato visceralmente a San Siro. L’Inter, invece, aveva sondato la possibilità di rinfrescare il Meazza, prima di scontrarsi con i limiti strutturali di uno stadio che l’anno prossimo compirà un secolo. A quel punto invece, Inter e Milan sembravano unite e pronte al grande passo. Milano sembrava pronta al grande passo, o almeno questo era logico attendersi guardando al processo di modernizzazione che sulla scia di Expo, con una parabola antitetica rispetto a quella dei suoi due club, aveva visto la città crescere e trasformarsi radicalmente, diventando un cantiere a cielo aperto.

Così Inter e Milan, al tempo guidati da Suning e Elliot, hanno bussato alla porta del Comune presentando in grande stile due progetti di stadio diversi ma convergenti nell’intenzione: demolire San Siro e costruire un nuovo impianto nell’area adiacente. Un’idea di stadio che non si limiti a ospitare la partita, ma che offra un’esperienza immersiva a tifosi e visitatori con negozi, ristoranti, e spazi d’intrattenimento, in linea con il modello delle sports entertainment arenas che da anni stanno ridefinendo la geografia dell’architettura sportiva. Il vademecum del nuovo capitalismo calcistico. Nemmeno il tempo di entrare davvero nelle questioni di fattibilità, che i rendering dei due impianti, progettati dagli studi Popolous e Manica-Cmr, iniziano a puntellare i media con i loro design scintillanti e la promessa di un futuro prospero e accessibile. I nomi scelti, “Cattedrale” e “Gli Anelli”, erano pensati con l’idea di omaggiare la cultura milanese e creare un ponte tra tradizione e modernità. Un concept sensato, ma anche un modo per rendere più digeribile l’idea di salutare la storica e adorata casa dei tifosi.

Dopo chiacchiere fumose, suggestioni e progetti dozzinali, per la prima volta la possibilità che a Milano sorgesse un nuovo impianto sembrava concreta. Una prospettiva che aveva acceso subito dibattiti sentimentali e civili, perché costruire uno stadio non significa solo provocare la memoria storica e stuzzicare l’affetto dei tifosi più romantici, ma anche intervenire severamente sul tessuto urbano. Cittadini, tifosi ed esperti si sono subito divisi tra entusiasmo e perplessità. C’è chi pensa che Milano e le due squadre abbiano assoluto bisogno di uno stadio all’avanguardia che si allinei allo sviluppo della città, chi è preoccupato per l’impatto ambientale del progetto - nonostante le garanzie sulla sostenibilità offerte dai due club - e chi non può accettare che San Siro diventi un cumulo di macerie. Tra questi il comitato “Sì Meazza”, che insieme con i residenti del quartiere San Siro, gruppi ambientalisti e associazioni culturali, organizza proteste e petizioni per opporsi alla demolizione di uno stadio che oltre alla sua storia sportiva, rappresenta un patrimonio della comunità e della città di Milano. La stessa discussione si svolge sul piano politico, con il sindaco Beppe Sala costretto a fare l’equilibrista per accogliere le istanze delle diverse fazioni e trovare un compromesso che soddisfi tutti.

LA STOP E LA FUGA DA MILANO
Proprio quando le mediazioni sembravano dare i primi frutti, con la conferma ufficiale della Dichiarazione di Pubblico interesse del progetto da parte della Giunta, nel 2023 il percorso per la costruzione del nuovo stadio subisce una battuta d’arresto significativa. Su richiesta di un parere da parte del Comune di Milano, la Soprintendenza fa sapere che è impossibile negare l’interesse culturale del secondo anello di Milano, per cui sussiste un vincolo che a partire dal 2025 ne impedirebbe la demolizione. È una notizia inaspettata e che sconfessa la rilevazione di tre anni prima, quando la stessa Soprintendenza aveva comunicato che San Siro non presentava alcun “interesse culturale” e poteva quindi essere abbattuto. Da questo momento il progetto si arena, finendo in un groviglio di slittamenti, rinvii e nuove perizie che costano tempo e soldi ai due club, scoraggiati da uno stop inatteso ma decisi a non abbandonare l’orizzonte condiviso. Questa strada però non sembra più percorribile, anche perché a mettersi di traverso c’è pure il Comune, che richiede nuove verifiche su volumetrie e impatto ambientale.

A Milan e Inter non resta che cambiare piano. La volontà di avere uno stadio di proprietà è forte, e il tempo è nemico della sostenibilità finanziaria. L’idea, anche questa condivisa, è di delocalizzare. Dopo sondaggi ed esplorazioni, i club trovano due punti strategici per costruire la loro nuova casa. Il Milan a San Donato, l’Inter a Rozzano. Entrambe a due passi da Milano, ben collegate e già avviate a un processo di sviluppo ed espansione, le due città selezionate, oltre a essere meno vincolanti, sembrano offrire vantaggi logistici e strutturali. I maxi-progetti presentati ai rispettivi Comuni vengono accolti positivamente, e i club muovono passi veloci per iniziare il prima possibile i lavori. Il Milan acquista l’area dove dovrà sorgere lo stadio, l’Inter ne ottiene i diritti esclusivi per un anno, per poi prolungare l’accordo con un investimento di 850mila euro. Ma abbandonare la culla milanese non è un processo semplice. E forse, nemmeno così convinto. Secondo il fronte dei contrari alla vendita di San Siro, infatti, le ipotesi Rozzano e San Donato sarebbero state solo un bluff, un depistaggio pensato per spaventare il Comune. Una tesi che ha trovato un po’ di sostanza proprio pochi giorni fa, quando una sentenza del Tar ha rivelato che sarebbe stato quasi impossibile costruire lo stadio a San Donato.

Per due club storici come Inter e Milan, identità e cultura sono valori - e soprattutto asset - difficili da negoziare, e questi sono legati a doppio filo con San Siro e la città di Milano. A evidenziarne l’importanza sono i tifosi stessi, molti dei quali erano tutt’altro che contenti di trasferirsi in altre località.

Foto di Giuseppe Romano.

IL RITORNO A SAN SIRO
È in questo scenario romantico e opportunistico che si riaprono i discorsi su San Siro. A muoversi in prima persona è lo stesso sindaco Sala, che il 13 settembre 2024 organizza un summit a Palazzo Marino con i due club e We Build, colosso delle costruzioni che presenta un piano di ristrutturazione del Meazza. Per Inter e Milan “i costi non sono accessibili”, e la proposta di restyling viene respinta. Ma il fronte è riaperto, e le autorità comunali sono sempre più disposte a trovare un compromesso per mantenere lo stadio nell’area di San Siro. La svolta cruciale arriva appena un mese dopo, quando in un altro incontro ufficiale, la Soprintendenza ritratta parzialmente sulla rigidità del vincolo e chiarisce che sarebbe possibile intervenire sul secondo anello, seppur in modo limitato. È un’apertura che rimescola le carte e testimonia l’interesse comune di riprendere in mano il progetto su San Siro.

Sull’onda di questa ritrovata comunione d’intenti, l’11 marzo scorso Inter e Milan presentano al Comune il Docfap, ovvero il documento di fattibilità che include la proposta d’acquisto dello stadio di San Siro e dell’area circostante. Tra le alternative progettuali illustrate, la più rigorosa e convinta è quella di costruire un nuovo impianto accanto a quello attuale, e in un secondo momento demolire e ri-funzionalizzare San Siro. Praticamente l’idea di partenza, quella che nel 2019 aveva avviato i discorsi e che poi si era incastrata nelle maglie della politica, della burocrazia e dell’opposizione civica, con l’unica variante che ora i terreni intorno allo stadio possono diventare di proprietà dei due club: «Abbiamo fatto una specie di gioco dell’oca», ha dichiarato il presidente del Milan Paolo Scaroni. L’ultimo ostacolo al voto per la delibera è la richiesta di sospensiva avanzata a luglio dal comitato “Sì Meazza”, che il Tar della Lombardia respinge spianando la strada all’accordo definitivo tra il Comune e i due club.

UN MONUMENTO DA SALVARE?
Nelle ore successive al voto, i social sono diventati un requiem anticipato di San Siro. Foto, memorie personali, messaggi d’amore allo stadio hanno trasformato i feed degli appassionati di calcio in un sito di archeologia emotiva. L’idea di salutarlo definitivamente è dura da digerire. In primo luogo perché San Siro non se la passa così male. Nonostante i segni del tempo è ancora uno stadio magnificente, dove la partita si vede benissimo. Le sue torri esterne, che sembrano ruotare quando vengono percorse, non ha perso la loro carica seduttiva. Così come il tetto rosso che si staglia nel cielo, e che sbuca aguzzo dalle fronde di alberi dei viali da cui i tifosi raggiungono lo stadio, rivelandosi come un’epifania. Al di là del fascino imperituro della sua architettura, San Siro è una creatura viva e pulsante, ancora capace di offrire quello smottamento emotivo e sensoriale che ogni grande stadio di calcio dovrebbe garantire. Se è vero che i luoghi hanno un’anima, il genius loci di San Siro è vivido e distintivo, e riverbera ogni volta che ci metti piede. Non puzza di vecchio, odora di sacro e umano al tempo stesso, come dimostrano i visitatori occasionali che ancora oggi restano abbagliati dalla sua maestosità e scossi dal suo calore. I tifosi lo chiamano Tempio, Cattedrale, ma anche più semplicemente "casa".

Certo i disagi non mancano, come evidenziano compatti i critici. Le file interminabili per i servizi, la loro pessima igiene, la scarsità di offerte di ristorazione e svago. Ma storicamente è proprio questa durezza, sono queste piccole ostilità che hanno alimentato la cultura dei tifosi. Smantellare San Siro significa abbandonare un’idea di stadio che nella sua imperfezione, nella sua ruvidità, definisce un’identità. L’eccellenza estetica dei nuovi stadi che stanno sorgendo a ritmo frenetico in tutto il mondo, rischia di farli somigliare tutti, sia nell’aspetto che nell’atmosfera, portando i tifosi stessi a un processo di omologazione che li allontana dai loro tratti storici. Basti pensare al vecchio Highbury e al nuovo Emirates, un contenitore anonimo e silenzioso. O ancora al Cívitas Metropolitano, un impianto d'élite in cui i tifosi dell’Atletico sono riusciti a trasferire il calore dello storico Vicente Calderón, ma di cui rimpiangono quella precarietà selvaggia che da sempre li connota e li oppone all’aristocrazia dei rivali Blancos. Ma il futuro non è così buio. Ci sono anche esempi virtuosi che fanno sperare a tifosi di Inter e Milan di non dimenticare chi sono. Come il nuovo San Mamés, lo stadio dell’Athletic Bilbao sorto proprio di fianco allo storico impianto - la Catedral, abbattuto dopo 99 anni - e che ha conservato tutto lo spirito e l’identità basca.

Attorno a queste prospettive aleggia una grande domanda, una soluzione che forse avrebbe accontentato tutti e preservato un simbolo di Milano: non sarebbe stato meglio ristrutturare San Siro, come è stato fatto con altri stadi leggendari come il Santiago Bernabéu e il Camp Nou? Le motivazioni ufficiali, contenute nel documento sul nuovo progetto di stadio che Inter e Milan hanno recapitato al Comune, toccano diversi punti. Tra questi i vincoli architettonici che impediscono l’ampliamento del primo e del terzo anello, lo spostamento delle squadre in un altro impianto per tutta la durata dei lavori (3-4 anni) e soprattutto il costo degli interventi strutturali. Qui però, il calcolo non è immediato. Secondo le stime dei due club, ristrutturare San Siro e intervenire sulle aree esterne costerebbe 428 milioni, mentre il progetto del nuovo stadio ammonta complessivamente a 1,2 miliardi. La soluzione finanziariamente più conveniente sembra dunque la prima, ma il discrimine decisivo, sempre a detta dei club, è il rapporto tra i costi e i benefici: l’ investimento non sarebbe compensato da un incremento dei ricavi sufficiente. Inoltre, lo stadio potrebbe non essere in grado di soddisfare tutte le esigenze future di spazio, comfort e tecnologie avanzate. La sensazione è che questi ostacoli siano reali, ma che la volontà di avere uno stadio nuovo in linea con quelli più moderni del mondo prevalga su tutto, facendoli apparire insormontabili.

Nella sequenza finale di Sacrificio, l’ultimo film della carriera di Andrej Tarkovskij, Alexander, il protagonista, brucia la sua casa come atto di purificazione e di fede. Poi si allontana e osserva le fiamme che cancellano il suo passato e la sua identità. È un gesto estremo, un sacrificio per salvare l’umanità dal caos e dalla distruzione imminente.

Forse Inter e Milan hanno davvero bisogno di uno stadio nuovo, ma pensando a San Siro, viene comunque da chiedersi se il sacrificio sia davvero così necessario.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura